Difendiamo l’indipendenza, non il lassismo dei giudici

1 Ottobre 2009
3 Commenti


Andrea Pubusa

Spedire a sentenza una causa vuol dire mandarla finalmente in decisione. Il termine “spedire” allude ad un’attività finale veloce. Ma se – come accade in Corte d’appello civile a Cagliari – l’udienza per la spedizione dal 2009 è fissata nel 2012, il termine “spedire” diviene del tutto improprio, meglio sarebbe usare i verbi “aspettare”, “pazientare” e simili. Chiedo al consigliere istruttore, un vecchio collega d’università, il perché di così lunghi rinvii; perché non  anticipare la “spedizione”? La risposta è sorprendente. Non si può, perché ogni anno la Corte deve anzitutto fare circa 120 sentenze, più o meno 10 al mese, ai sensi della legge Pinto; sono le cause di risarcimento promosse da cittadini per il ritardo nella decisione di cause precedenti. Una causa sulla causa. Il classico gatto che si morde la coda. Il ritardo genera ritardo in una sequenza ininterrotta ed infinita.
Ed allora se il cittadino s’incazza con la giurisdizione, che colpa possiamo addossargli? Ha ragione e basta.
E quando il giudice, dopo tanti anni di istruttoria e tanti cambi di magistrato istruttore, decide la causa senza leggere gli atti o leggendoli sommariamente, cosa possiamo rispondere al malcapitato che sente un’istintiva ripugnanza verso la giurisdizione? Niente.
Ecco allora il paradosso: noi democratici dobbiamo difendere la giurisdizione come ordine, dobbiamo preservarne l’indipendenza dal potere politico come proteggiamo la pupilla dei nostri occhi, ma spesso non possiamo difendere l’operato dei singoli giudici. Non possiamo in molti casi esimerci dal criticarne le sentenze. Non possiamo non rilevare la scarsa operosità di non pochi magistrati, la loro supponenza, la loro superficialità, la non comprensione della vita reale in cui si calano le loro sentenze.
Ed è sull’agire concreto della giurisdizione che gioca furbescamente il Cavaliere, sovvertendo un antico costume della destra, che invece, difendeva i giudici come tutori principali, insieme ai corpi militari, dell’ordine costituito. Berlusconi attacca perché vede nella giurisdizione l’argine alla sua indole geneticamente volta all’illegalità e al dominio. Ciò che non tollera è che l’ordine giudiziario sia fuori dal suo controllo e in molti settori non sia in vendita. Non gli piace la fedeltà alla Costituzione del grosso dei magistrati, che la difendono rinviando alla Consulta le sue leggi immonnde. Vede come il fumo negli occhi i giudici che coraggiosamente combattono la criminalità organizzata e difendono i diritti fondamentali dei cittadini e le loro libertà democratiche. Gioca a criticarne l’inefficienza, mentre taglia le risorse per gli uffici giudiziari. E Brunetta giunge all’assurdo di criticare l’organizzazione degli uffici giudiziari, che, com’è noto, rientra nei compiti del governo e nella competenza del Ministro di grazia e giustizia, non del CSM, che invece dospone in ordine al rapporto di  servizio dei magistrati (assegnazioni, trasferimenti, provvedimenti disciplinari ecc.).
Questi paradossi mostrano tuttavia come i progressisti debbano mettere in campo un lavoro sulla giustizia che riesca a coniugare la difesa dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, ad un vaglio critico serrato, puntuale e severo delle procedure e delle sentenze e ad una pretesa di risorse per gli uffici giudiziari. Occorre poi una verifica puntuale della “produttività” degli uffici giudiziari e dei singoli giudici, poiché non pochi fra essi intendono le garanzie dell’ordine giudiziario come lasciapassare per ogni pigrizia e trascuratezza. Ci sono non pochi giudici che intendono la loro posizione come una sine cura, garantita dalla Costituzione.
Una battaglia di questo tipo fecero un po’ i radicali qualche anno fa. Ricordate la lotta per una “giustizia giusta”? E’ questa ottica che a sinistra dovrebbe farsi strada con forza e decisione, se non vogliamo che la difesa sacrosanta dell’indipendenza della magistratura venga scambiata per una difesa delle loro lentezze, disattenzioni e, talora, delle loro nefandezze. E’ una prospettiva difficile da praticare e da far capire, ma è l’unica a consentire alle forze democratiche di salvare l’indipendenza della magistratura e insieme stimolarne l’azione, senza coprirne le  opere e le omissioni concrete, talora indifendibili.

3 commenti

  • 1 andrea raggio
    1 Ottobre 2009 - 19:51

    Condivido. La doverosa difesa dell’indipendenza della magistratura non deve essere scambiata per difesa dell’operato di singoli giudici. Mi è capitato recentemente di leggere una sentenza del TAR della Sardegna del cinque maggio 2009 che accoglie il ricorso di una cittadina contro l’amministrazione di un comune piccolo come abitanti ma ricco di coste e di spiagge. In sintesi: l’attuale sindaco, nel 2000 consigliere comunale, era componenete di una commissione consiliare per lo studio del piano di utilizzo del litorale e, d’intesa con un suo collega, ha usato questa funzione per far revocare alla cittadina in questione l’autorizzazione ediliizia precedentemente rilasciata per la realizzazione di un punto ristoro in una spiaggia nella quale anche il consigliere e il suo collega erano titolari di concessioni demaniali e, quindi, interessati, al suo sfruttamento economico. Un chiaro caso, insomma, di conflitto di interessi e di revoca illegittima. Ebbene la sentenza è arrivata dopo ben nove anni. E’ vero, la magistratura, anche quella amministrativa, è purtroppo lenta nonostante l’impegmo dei singoli magistrati, i sindaci furbacchioni possono avvalersi di avvocati non solo bravi ma influenti, tanto paga il comune. Ma nove anni sono nove anni! Il sindaco del comune in questione è noto perchè millanta potenti protezioni. Non è che il gruppo di potere cagliaritano riesce a influenzare anche qualche settore della magistratura?

  • 2 Pluro
    27 Ottobre 2009 - 22:50

    Una testimonianza. Procedura di divisione tra coeredi in disaccordo per la suddivisione di immobili. Dopo 18 anni, il giudice ha deciso per l’asta, e la divisione in moneta. Ha depositato la sentenza dopo 2 anni. Partita l’asta, subito conclusa, (maggio 2008) ha incassato le somme -rilevanti- ma, pur in assenza di obiezioni dei coeredi- i soldi sono ancora bloccati. Ripeto: non ci sono più formalità da espletare. Manca solo la firma del giudice per autorizzare i pagamenti. Non esiste modo di avere notizie sulla liquidazione. Il sottoscritto, in attesa di pensione e senza reddito, dovrà ricorrere a prestiti per poter sopravvivere. Probabilmente, si troverà in condizione di dover utilizzare i servizi sociali. Non esistono commenti appropriati. 22 anni di attesa. E’ civile?…

  • 3 Rita Sanlorenzo
    30 Dicembre 2009 - 19:15

    Buon giorno. Sono un magistrato, stavo cercando materiale per uno scritto sull’indipendenza della magistratura e mi sono imbattuta in questa nota, e nei successivi commenti. Non voglio fare difese corporative, ci mancherebbe. I problemi sono tanti e l’insofferenza dei cittadini è nella maggior parte dei casi più che giustificata. Bisogna che i magistrati si sottopongano alle critiche, rilanciando però il dibattito (e l’informazione) sulla giustizia, in troppi casi strumentalizzato e distorto. Mi permetto di rinviare (scusandomi per l’ineleganza) ad un articolo a mia firma comparso sul n.51 - 52 / 2009 del settimanale Left, in cui cerco di tracciare possibili percorsi di riforma. Non credo di poter inviare allegati, ma il testo spero sia reperibile su internet. Grazie per l’attenzione, auguri per un buon 2010
    Rita Sanlorenzo

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