La politica? Una volta “si faceva”, oggi si compra

27 Maggio 2008
2 Commenti


Francesco Cocco

Un tempo la politica “la si faceva”, e l’espressione “far politica” assumeva molteplici significati: “si è ripreso a far politica” stava ad indicare che dopo un periodo di stagnazione si riprendeva l’attività, “sa far politica” si diceva di uno impegnato nella vita di partito o nelle istituzioni che dimostrava capacità di elaborare e sviluppare linee politiche, “cerchiamo di far politica” era l’invito ad uscire dai tatticismi furbeschi per elaborare idonee strategie. Esempi del linguaggio di un tempo in cui, appunto, la politica “la si faceva”. Ed a far politica erano i partiti con i loro dirigenti ed i loro militanti. In tal modo si costruiva tessuto democratico, capace di resistere a terribili prove  come quelle degli “anni di piombo”.
Non era neppure quella l’età dell’oro. Tanto per stare ai maggiori partiti, nella D.C. comandavano i. padroni delle tessere, e nel PCI prendeva sempre più forza certo  leaderismo caporalesco. Ma in entrambi i partiti finiva per prevalere il senso di partecipare ad un grande progetto comune al quale anche i “capi” erano subordinati. Stesso discorso per quanto riguardava le forze politiche minori.
Sbaglieremmo a pensare che quell’antico patrimonio ideale sia del tutto scomparso. Se però vogliamo salvaguardare quel che di positivo rimane, è necessario porre attenzione ai profondi mutamenti che stanno intervenendo e che ci fanno osservare come oggi la politica sempre più si comincia a comprarla, quasi fosse non già un valore immateriale ma una merce esposta alla pubblica offerta.
Naturalmente non è una merce qualsiasi. A caratterizzarla è soprattutto l’acquirente, che deve essere molto ricco. Trattasi infatti di acquisto riservato ai tycoon (poniamo attenzione a questa parola inglese destinata ad essere sempre più attuale nel linguaggio politico), cioè ai grandi magnati, o più semplicemente ai miliardari purché siano tali in euro e non  in lire.
Con questo non voglio dire che ai magnati dev’essere interdetta la vita politica. Sarebbe sciocco e privo di qualsiasi senso logico e storico sostenere una tale tesi. Basta per tutti ricordare il ruolo fondamentale sostenuto nella storia della moderna democrazia da Federico Engels, industriale tessile e finanziatore del movimento operaio, coautore con Marx del “Manifesto dei Comunisti” Ma Engels non si servì mai dei suoi mezzi economici per condizionare il movimento che finanziava.
Ci sono i tycoon che vogliono l’articolo unico e allora preferiscono  costruirselo nuovo e fiammante con tanto di bandiera e di inno. Quasi fosse una squadra di calcio, anzi la formula organizzativa viene mutuata da questo sport popolare. C’è anche chi il partito azienda è riuscito a “farselo” semplicemente impadronendosi di quel che già esisteva, magari infischiandosi del patrimonio di sacrifici ed idealità che esso incorporava.
A meno che non si voglia il pezzo unico, non è necessario “farsi” o “comprarsi” un partito. In fondo quel che conta è una posizione che consenta di controllare o comunque di contrattare, e così salvaguardare le proprie posizioni di dominio.
Basta mutuare le tecniche del capitalismo finanziario che sono un po’ più raffinate di quelle del calcio. Per controllare la Fiat non c’è bisogno di disporre della maggioranza del pacchetto azionario di quella holding, basta controllare la IFIL. Anzi meno ancora: basta controllare la IFI che a sua volta controlla la IFIL.
Così per guadagnarsi una posizione di controllo in un partito, comunque un certo potere d’interdizione per la salvaguardia dei propri interessi, un tycoon potrà, ad esempio, controllare un organo di stampa che sia in qualche modo portavoce di quel partito……ed avrà anche chi lo osannerà come munifico benefattore. Così il gioco è fatto, con buona pace della democrazia interna del partito di riferimento, supponendo che parlare di democrazia interna abbia ancora un qualche senso.

2 commenti

  • 1 GIORGIO COSSU
    27 Maggio 2008 - 20:52

    SINTESI elegante delle scorciatoie di Berlusconi e Soru, qualche dettaglio aiuta a mostrare
    LA POLITICA dovrebbe rispettare alcuni principi generali, avere un PROGETTO, una STRATEGIA generale e produrre risultati positivi per la collettività o per parti sociali consistenti, ma le scorciatoie quando si indeboliscono le forme di controllo sociale e culturale sono il populismo e la cooptazione. Da posizioni di potere, anche piccole ma consistenti, si possono costruire le scatole cinesi del consenso, BERLUSCONI e SORU in forme diverse hanno estremizzato populismo e cooptazione, Forza Italia ha usato i venditori Mediaset e le TV e il nemico da battere, i giornali non sono lo strumento di controllo culturale ma di condizionamento dal ‘90 il Corsera ha inteso le riforme come decisione e presidenzialismo e federalismo per il Nord,
    Soru usa poche idee declinate in forma estrema e demagogica contro i nemici da battere, e utilizza il potere per imporre continui ukase, l’identità giocata contro industria e turismo, il paesaggio contro le attività umane, la statutaria contro i partiti, SE LA CULTURA e la classe dirigente potenziale non avesse omesso di impegnarsi per riforme reali, dentro un progetto, per interventi pubblici efficienti, per un rigore negli interventi, per priorità chiare, senza forzature e bracature non si sarebbe lasciATO UN TERRENO a atti tutti forzati e privi di equilibrio, Troppi non hanno capito o sono saliti sul carro contro altri, senza capire la “derrota” cui sono andati.

  • 2 Andrea Pubusa
    27 Maggio 2008 - 20:57

    Le considerazione di Fracesco Cocco sono come al solito meditate e ineccepibili. Ciò che sorprende è la scarsa consapevolezza del fenomeno della mercificazione in fasce di cittadini per il resto molto avveduti e critici. Così, ad es., i lettori dell’Unità scrivono in questi giorni lettere di plauso e ringraziamento al nuovo proprietario, mostrando così di non rendersi conto della mutazione. Il giornale da organo, se non di un partito, di un’area politica per un’impresa collettiva, si trasforma in merce in mano ad un imprenditore-politico a fini individuali. Si rammaricano così, questi lettori, per la soppressione della Festa nazionale de L’Unità e paventano il possibile mutamento del nome del giornale. Non si rendono conto, invece, che il cambiamento dei nomi, in questi casi, è corretto e addirittura doveroso, stante il mutamento della sostanza delle cose. La Festa naz. del PD è la Festa anche degli ex Margherita per cui chiamarla Festa democratica è più corretto. Così come con l’Unità di Soru un rivoluzionario comunista come Gramsci ha la stessa compatibilità del diavolo con l’acqua santa. Il sentimento che pervade molti lettori de L’Unità dimostra anche quale radicamento profondo, anche affettivo, hanno avuto gli organi del Partito comunista presso larghe fasce di cittadini. Io stesso vivo con estremo disagio questa fase, non potendo evidentemente acquistare più l’Unità sempre e comunque, ma dovendolo d’ora in poi valutare come merce da prenedere solo se utile. Mi rimane il Manifesto (di cui sono stato anche modesto cofondatore nel 1971 insieme a tanti altri compagni). Certo, senza Pintor, è altra cosa, ma almeno è ancora un giornale di una cooperativa, scritto da un collettivo redazionale. Che dio lo salvi!

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