A sinistra tutto si giocò allora: la radiazione del Manifesto

24 Novembre 2009
4 Commenti


Andrea Pubusa

Nel quarantennale della radiazione dal Pci di «quelli del manifesto», il quotidiano Il Manifesto esce oggi in edicola  con un inserto - denso e ricco - che ricostruisce quella vicenda: l’uscita, a giugno 1969, del primo numero di un mensile che criticava «da sinistra» il capitalismo, ma anche il «socialismo reale», ossia i regimi comunisti dell’Est europeo; il processo per frazionismo, approdato nella fatidica riunione del Comitato centrale del 24 e 25  novembre; la fine della rivista a dicembre 1970 e la nascita subito dopo del «quotidiano comunista», che, a 38 anni di distanza, è ancora vivace, anche se non è più legato ad un movimento e se intorno il panorama politico è radicalmente mutato. Allora era in piedi un grande movimento di massa, democratico, operaio e studentesco, con un PCI forte, oggi non esiste più la sinistra e l’opposizione è ridotta alle iniziative e alle dichiarazioni di Di Pietro. 
I primi ad essere radiati furono Aldo Natoli, Luigi Pintor e Rossana Rossanda, membri del Comitato Centrale, nei mesi a seguire sarebbe stata la volta degli altri. E, oggi, sull’inserto riappaiono molte di quelle firme storiche: Rossanda, Castellina, Parlato, Maone, Rieser.
Luciana Castellina, intervistata ieri da L’Unità, allora organo del PCI, oggi di proprietà di un impenditore (ed anche questo è il segno dei tempi!), ha dichiarato che quella fu una radiazione “bellissima” e “dolorosissima”. Bellissima perché “fummo presi sul serio: documenti, discussioni nelle sezioni, un Comitato centrale”. E soggiunge: “Meglio una radiazione così che restare dentro un partito dove, sei fuori o dentro, non gliene importa niente a nessuno”. Dolorosissima perché “non pensavamo ci fosse vita politica fuori dal partito”. E “il dopo fu durissimo, c’era l’ostracismo, sull’Unità apparve un titolo: “Chi li paga?”. Dovevamo cercare agibilità in spazi strani, un tendone del circo Medrano, un collegio fiorentino gestito dagesuiti di sinistra. L’incontro col ‘68 ci ha salvato».
E fu davvero così. In quel Circo, a Milano, nel gennaio del 1971, c’ero anch’io, insieme a tanti altri, come delegato da Cagliari . Si parlava (relatore Lucio Magri) di come organizzare la lotta operaia, mentre i Consigli di fabbrica, che erano sorti e cresciuti impetuosamente nell’autunno caldo del 1969, iniziavano a manifestare i primi segni di difficoltà. Fu in quell’occasione che Luigi Pintor, con un intervento bellissimo, annunciò pubblicamente l’imminente uscita del quotidiano “Il manifesto”, che in effetti apparve in edicola nell’aprile successivo.
Cosa vedevamo noi giovani di allora ne “Il Manifesto” movimento politico e giornale? Una sintesi tra le istanze libertarie, proprie di quella stagione, e del socialismo nella sua essenza, e la radicalità della prospettiva anticapitalista. In effetti, sopratutto in Luigi Pintor, questa sintesi si è  perfino personificata. Forse nessuno più di lui è stato un comunista libertario.
Fu un’esperienza eccezionale perché molti di noi studenti, neolaureati o giovani lavoratori ci trovammo proiettati in una prospettiva nazionale con contatti stretti con un gruppo dirigente esperto e di rara onestà intellettuale e intelligenza. Per molti di noi quell’esperienza ha segnato la vita, non solo sul piano politico.
Anche in Sardegna il movimento si sviluppò vivacemente a Cagliari, dove esisteva un nucleo di alto livello, che si era riunito intorno a Pintor, quando il PCI, prima della radiazione, lo esiliò a Cagliari a dirigere la Commissione regionale agricoltura (sic !). Ma fu forte anche in altri luoghi. A Carbonia, Iglesias e S. Antioco, dove sorse un nucleo operaio che incise sulle lotte del nascente polo industriale di P. Vesme. Nel Nuorese confluirono una parte del gruppo che diresse le lotte di Pratobello e gruppi intellettuali e operai di altri centri (Gavoi anzitutto). A Sassari, Olbia, Lanusei e Oristano e in tanti piccoli centri (Norbello ad esempio). Insomma, esisteva una rete regionale qui come in tutta Italia.
Dall’inserto - come ben dice la Castellina - emergono le origini di questa storia: “questa vicenda aveva radici in tutti gli anni Sessanta, non fu un raptus, né da un parte né dall’altra. All’XI congresso del Pci il dibattito tra le posizioni di Amendola da un lato, Ingrao dall’altro, era già diventato esplicito. E fu da lì che nacque la rivista, anche se il nostro punto di riferimento, Pietro Ingrao, non ci seguì nell’avventura e, anzi, votò poi a favore della nostra radiazione. In ballo c’era il giudizio sulla fase che attraversava la società italiana: era una società arretrata, con le contraddizioni di un’Italia arcaica? Oppure, come dicevamo noi, le contraddizioni del capitalismo maturo già si intrecciavano con quelle arretratezze? Da qui scaturiva il nostro rapporto col movimento del Sessantotto. Perchè i movimenti hanno spesso antenne confuse, ma percepiscono i problemi nuovi”.
Ma - come più volte ebbe a dirci Pintor - il motivo della radiazione non fu questo. Fu il giudizio sulle società del cosiddetto socialismo reale. E fu Breznev in persona a chiedere l’allontanamento. L’invasione di Praga era avvenuta un anno prima e, all’epoca, il giudizio del Pci, riassunto nella formula “un grave errore”, era riduttivo. “Un anno dopo - prosegue la Castellina - ci sembrava che il Pci non avesse tirato le necessarie conseguenze”
«Il manifesto»- rivista, poi quotidiano e gruppo politico - non fu insomma uno dei cento fiori di una stagione movimentista. Nacque «dentro» il Pci e nella sinistra extraparlamentare di quegli anni era un unicum… “C’erano - soggiunge la Castellina - tanti giovani che non volevano essere solo lettori passivi. Né noi volevamo essere solo degli intellettuali. Eravamo anche un po’ impopolari, perché venivamo dal Pci e non eravamo anticomunisti. Avevamo fortissima la cultura del Pci dentro di noi”.
E come non essere d’accordo con la Castellina quando dice che si trattò di una rottura importante storicamente. come ebbe ad ammettere, anni dopo, Natta, divenuto Segretario del PCI, che pure nel ‘69 aveva perorato la radiazione nel Comitato centrale. Natta disse: “Qualche volta le rotture sono utili, perché portano avanti il dibattito”. Non era mai avvenuto nella storia diun partito comunista al mondo che un gruppo eretico venisse riammesso. E non con la procedura che si riserva a dei pentiti, ma reintroducendo i dirigenti che rientrarono ai massimi livelli.
Natta però morì senza vedere il seguito. Alla lunga quell’occasione mancata nel 1969 fu la causa di un ritardo nell’aggiornamento, che poi portò alla deriva del 1989, quando vent’anni dopo il gruppo dirigente del PCI, con Occhetto, D’Alema, Veltroni & C., precipitosamente, buttò via il bambino con l’acqua sporca.  E cioé, non avendo proceduto alla revisione prima, buttò alle ortiche quel grande patrimonio ideale, morale e organizzativo ch’era il PCI, che pure aveva dato all’Italia la Costituzione e concorso a difendere e sviluppare la democrazia. Con la svolta della Bolognina ci si liberò d’un colpo  del PCI, della sua ispirazione socialista insieme ai vecchi arnesi e riti del “socialismo reale”, del comunismo sovietico, che non si era combattuto per tempo. In fondo la scomparsa della sinistra italiana origina da lì. Il PCI aspettò la caduta del Muro a rendersi conto dei gravi ritardi; il PSI, con Craxi, dopo un iniziale segnale di rinnovamento, affogò nel malaffare. Il ’68 avrebbe dovuto consigliare ai primi di riscoprire il messaggio libertario del marxismo, ai secondi il carattere alternativo del socialismo. Al Manifesto si discuteva di questo, ma il movimento, per quanto vivace e presente, non fu esente da errori, e comunque non riuscì ad incidere in modo decisivo sugli eventi. Ed eccoci qua, in mano a un berlusconismo che pervade anche l’opposizione. Senza un partito forte della sinistra e senza prospettiva.

4 commenti

  • 1 Sergio Ravaioli
    24 Novembre 2009 - 11:21

    Perfetto!
    Aggiungerei un altro po’ di sale sulla pochezza del gruppo dirigente del PCI, comprendendovi non solo le grigie figure di Luigi Longo e Alessandro Natta, ma anche l’intermezzo di Luigi Berlinguer – dal 1972 al 1984 – il quale aveva tutta l’autorità per compiere con circa 15 anni di anticipo l’operazione poi compiuta nel 1991, dopo la Caporetto del comunismo, da Achille Occhetto.
    Non voglio semplificare troppo la complessa storia Italiana degli anni 70, né sottovalutare le devastanti trame tessute (ed, ahimé, realizzate) da NATO, CIA, P2, servizi segreti, etc.
    Ma la storia giudica la grandezza di un leader in base a ciò che è stato capace di realizzare, nonostante le forze che cercavano di impedirglielo. Non in base alla qualità dei suoi comizi o dei suoi scritti, seppur meritevoli di un qualche premio letterario.
    E, per tornare al Manifesto, anche Berlinguer non fu capace di svolgere l’autocritica, nella storia del comunismo molto praticata e spesso a torto.
    Ogni terapia valida comincia con una buona diagnosi, e la vicenda del Manifesto rappresenta un ottimo campo di riflessione.
    Sempre che il male di cui soffre la sinistra politica (non solo in Italia) sia curabile.
    Esistono anche malattie con prognosi infausta!
    E pure pazienti che rifiutano la terapia necessaria.

  • 2 Marco B.
    25 Novembre 2009 - 22:52

    Berlinguer sarebbe passato alla storia solo per i suoi comizi e per i suoi scritti??? Caro Prof. Pubusa, ma come può, in ragione della sua storia, tollerare che su un sito come questo si facciano affermazioni del genere? Dello strappo da Mosca ci siamo dimenticati? E del Compromesso storico? E dell’eurocomunismo, processo storico volto a far approdare le principali forze comuniste d’Europa nell’area della socialdemocrazia? E della questione morale, con cui Berlinguer pronosticava l’avvento di tangentopoli? Si tratta solo di aria fritta buona solo per vendere libri (che peraltro Berlinguer non ha MAI scritto) e giornali?? Ma per carità…. Tuttavia, la sorpresa è relativa: da uno che confonde ENRICO Berlinguer (segretario del PCI dal 1972 al 1984) con LUIGI Berlinguer (capogruppo della Camera del PDS dal 1994 al 1996, poi Ministro dell’Istruzione dal 1996 al 2000), cosa possiamo aspettarci?

  • 3 Sergio Ravaioli
    26 Novembre 2009 - 21:06

    Siamo alle solite!

  • 4 Marco B.
    26 Novembre 2009 - 21:15

    e già: leggo spesso dem.oggi, e i suoi post non deludono mai. Prima le spara grosse, e poi fa l’offeso se qualcuno prova a replicare!

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