Che svilimento della politica la scelta dei candidati!

9 Gennaio 2010
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Francesco Cocco

Marrazzo, Soru: bastano questi nomi per indicare gli effetti devastanti delle scelte non meditate e ad effetto, che portano il centrosinistra allo sfascio. Poiché siamo sempre stati per l’apertura delle liste, possiamo ben dire che quando questa non si rivolge a personalità che abbiano dato prova di capacità in campi che siano latamente politici, ad esempio nell’impegno sociale, solitamente gli esiti sono negativi.  Arrivano i Marrazzo, che divengono protagonisti delle situazioni di degrado che dovrebbero combattere, o i Soru, con il conclamato conflitto d’interessi, che usano la clava anziché il dialogo per fare politica, con l’occhio poi rivolto sempre agli affari propri. Che sciolgono nientemeno che l’Assemblea regionale per scansare le primarie. 
Sia chiaro, ben vengano coloro che hanno dato prova di saper fare nelle professioni e nel lavoro in genere. Ma niente conflitto d’interessi,  virus mortale della vita democratica. E massima attenzione al modo di proporsi dei pretendenti la candidatura. Chi viene dall’impresa, è in conflitto d’interessi e si propone a gamba tesa va lasciato ai suoi affari. Se vuol dare un apporto alla vità pubblica, ci sono tanto modi per farlo. Ma non dal governo.
E i Marrazzo? Sia ben chiaro noi siamo per la libertà sessuale. E su questo abbiamo difeso Marrazzo senza tentennamenti. Certo è però che Marrazzo non ha esercitato questa libertà in modo manifesto e onesto, proclamando le sue tendenze prima della candidatura, ma lo ha fatto nel peggiore dei modi, infilandosi in situazioni di degrado, che da presidente del centrosinistra avrebbe dovuto contrastare. Ha gettato il  centrosinistra nel ridicolo. Ha risposto alla fiducia  del popolo democratico col più odioso dei tradimenti.
Quali danni queste candidature hanno arrecato al popolo progressista e alla democrazia italiana! Quanto lavoro paziente mandato a carte quarantotto! Quanto bisognerà fare per ricostruire un tessuto e una fiducia che candidature avventate e avventurose hanno maldestramente distrutto!
Che differenza Vendola! Che reclama le primarie anziché scansarle, che non nasconde la propria omosessualità, ma la vive come la più onesta delle libertà.  Tanto onesta che, contro tutti i pronostici, ha battuto alle primarie l’inconsistente Boccia (sostenuto dai DS e dalla  Margherita) e poi, vincendo tutti i pregiudizi del profondo Sud, ha avuto un grande consenso popolare divenendo Presidente. Aspettativa a cui ha corrisposto con un’azione di governo efficace ed apprezzata. Ed ora, senza primarie e accettando un diktat di Casini, lo si abbandona, votando il centrosinistra a sicura sconfitta. Ma non si è sempre detto che nella buona politica deve essere indissolubile il binomio “primarie - bilancio critico dell’esperienza istituzionale e di governo” a fine legislatura? Perché tutto questo viene precluso a Nichi Vendola? Perchè un sì alla Bonino  e a lui un no?  E non si parli di shieramenti, perché,  per battere Berlusconi, l”alleanza dev’essere fondata su un chiaro patto programmatico, ma anche molto ampia.
 La linearità e la trasparenza sono le virtù più apprezzate dal popolo del centrosinistra, l’oscurità e l’unilateralità delle scelte  il peggior vizio. Queste ultime costituiscono uno svilimento della politica e contraddicono i sentimenti più profondi del popolo democratico, come ben ci dice Francesco Cocco nell’articolo che segue (a.p.).
    

 Ecco ora l’articolo di Francesco Cocco.

Ho conosciuto tempi in cui la scelta dei candidati scaturiva da una diffusa consultazione della base dei partiti. Scegliere un candidato significava mobilitare gli iscritti, invitarli a formulare proposte di candidature e ad esprimersi sulle proposte avanzate da “organismi superiori”. Un po’ accadeva in tutti i partiti, e soprattutto in quelli della sinistra che si richiamavano al movimento operaio.
Con ciò non si deve pensare che vigesse una forma di democrazia perfetta. Nella migliore delle ipotesi agiva l’ascendenza dei leader, ma più spesso a darsi da fare erano i maneggioni che orientavano la scelta su questo o quel candidato. E’ pur vero che alla fine la decisione finale doveva passare al filtro di un organismo di partito, i cui componenti dovevano rispondere ad una logica d’interesse generale che doveva tener conto dei territori, delle rappresentanze di genere, della composizione sociale. Insomma alla fine la volontà di chi voleva “nominare” i suoi uomini finiva per essere fortemente limitata.
Nella mia esperienza personale, ricordo di candidature già deliberate dagli organismi dirigenti regionali e che dovettero essere riviste per il giudizio fortemente critico di un comitato federale. Questo perché le proposte provenivano dagli organismi “superiori” ma poi dovevano essere ratificate da quelli “inferiori”, ed eventualmente potevano essere modificate.
Mille erano i limiti di quel metodo, e non credo sia da rimpiangere. Se qui lo ricordo è perché quel che leggo sulla stampa in merito attuali criteri di scelta dei candidati e quel che mi riferiscono vecchi e giovani militanti mi fa intravedere scelte insindacabili provenienti dall’alto. Insomma i capi-bastone e capi-corrente scelgono i “loro uomini” in una guerra interna protesa all’occupazione delle istituzioni e del potere che dalle stesse deriva.
Francamente la via imboccata non mi pare un miglioramento del metodo precedente, piuttosto uno svilimento di quella nobilissima attività umana che è la militanza politica ed il conseguente “servizio istituzionale” quand’esso è effettivamente finalizzato al bene comune e non già all’interesse personale o di gruppi ristretti.
Mi viene in mente la riflessione di Gramsci. Egli aveva analizzato i limiti della politica personale che ai nostri giorni ha finito per portare al “partito-azienda” ed al partito leaderistico e così scriveva :”..ogni individuo che prescinda da una volontà collettiva e non cerchi di crearla,suscitarla,estenderla,rafforzarla, organizzarla è semplicemente una mosca cocchiera….”
Aveva ed ha ragione Gramsci: i partiti non aperti alla reale partecipazione, al fare collettivo, al progetto diffuso non possono essere destinati a governare in positivo la società. Essi accentuano il degrado sociale, l’atomizzazione individualistica della società e le conseguenti potenzialità di stampo autoritario.
Ecco perché chi animato da seri sentimenti democratici ha scelto di militare in un’ organizzazione partitica dovrebbe far sentire la propria voce e rifiutare di essere terminale del potere prevaricante di un qualche capo-bastone.

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