La Sardegna, le riforme, la mobilitazione popolare

13 Gennaio 2010
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Andrea Raggio

Districarsi nel dibattito sulle riforme non è facile. Non dobbiamo, tuttavia, tirarci indietro. Le riforme sono, infatti, indispensabili per rimettere l’Italia sulla via dello sviluppo. Sostenere che solo dopo aver mandato a casa Berlusconi si potrà parlare di riforme, separare cioè le due questioni, significa tirarsi indietro, mentre invece sui provvedimenti utili al Paese bisogna far leva anche ai fini della lotta al berlusconismo. A questo serve il confronto, che non è chiacchiericcio salottiero, ma è politica, lotta anche aspra attorno a linee alternative. La controparte è il diavolo? L’ha scelto, purtroppo, la maggioranza degli elettori. Comunque, per sconfiggerlo non serve l’esorcista. Se bastasse la sola denuncia il cavaliere sarebbe a casa da un pezzo. In realtà la sola denuncia non lo disturba più di tanto e non gli impedisce di manovrare a suo piacimento la maggioranza di cui dispone in Parlamento; soprattutto non è sufficiente a incidere in misura consistente sul consenso al berlusconismo. Ecco perché occorre elevare robuste barricate contro le leggi ad personam e a difesa della Costituzione e nello stesso tempo sviluppare un forte azione politica alternativa rispetto ai metodi di governo e alla visione della società. A questo serve il confronto il quale, perché raggiunga risultati, deve poter operare in un clima non di violenza verbale e di rissa (in questo Berlusconi è maestro) ma di civiltà e di correttezza democratica. In questa direzione è venuto dal Presidente della Repubblica un prezioso contributo col messaggio di fine d’anno. Di Pietro non condivide? Pazienza.
In Sardegna il Presidente della Regione e il segretario del maggior partito di opposizione si incontrano per discutere dei problemi dell’isola. Dove sta “l’ambiguità non condivisibile” lamentata da IdV? In realtà una forte sollecitazione ad un maggiore impegno di maggioranza e opposizione, ciascuno nei rispettivi ruoli, sui principali aspetti della politica regionale viene dalla grave situazione economica, dalla crescente protesta sociale e dalle incerte prospettive di sviluppo. E viene anche dalla esperienza negativa del rapporto col “governo amico”. Non si tratta, dunque, di mettere in dubbio o addirittura negare l’utilità del confronto, ma di coinvolgervi i cittadini e di non limitarlo agli aspetti della politica regionale in senso stretto. Per fronteggiare l’emergenza e avviare uno sviluppo nuovo è, infatti, indispensabile che la Regione utilizzi al meglio competenze e risorse e che, nello stesso tempo, contribuisca efficacemente a orientare la politica nazionale verso le riforme di cui il Paese ha urgente necessità. Stiamo parlando di ammortizzatori sociali, di politica industriale, di infrastrutture, di fisco, di scuola e ricerca, di giustizia, di diritti: sono questi i principali nodi da sciogliere per avviare uno sviluppo nuovo del Mezzogiorno e della Sardegna. Anche l’iniziativa per un nuovo Statuto di Autonomia può avere successo se è accompagnata dalla difesa della Costituzione, di cui l’ordinamento regionale è parte essenziale. Il cambiamento della Carta nella direzione di un regime autoritario, perseguito da Berlusconi, ridurrebbe l’Autonomia a mero decentramento amministrativo. Difesa della Costituzione, dunque, e sua piena attuazione sviluppando l’ordinamento regionale in una prospettiva federalista. Maggiori competenze alle Regioni e Senato delle Regioni ma anche contestuale rafforzamento di Governo, Parlamento e organi di garanzia Costituzionale, più decentramento e più centralità (non centralismo). Confronto sulle riforme nazionali, insomma, per non rimanere intrappolati nel nostro orticello.

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