Il coraggio della democrazia

23 Marzo 2010
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Andrea Raggio

Il nuovo attacco di Berlusconi al ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica richiama argomenti dibattuti anche in occasione del decreto legge salva – liste. Le differenze emerse allora nella sinistra, purtroppo frettolosamente accantonate, hanno coinvolto, in particolare, il comportamento del Presidente Napolitano, al punto da oscurare in qualche momento le responsabilità del Governo. Non mi riferisco, ovviamente, alle critiche, legittime e sempre utili anche per chi, come me, rimane convinto che nella complessa vicenda Napolitano ha agito con rigore formale e saggezza politica. E, aggiungo, con coraggio. Se non avesse firmato, avrebbe certamente ricevuto dalla sinistra più applausi e meno sconsiderate reazioni. Queste, tuttavia, non devono portarci a trascurare la delusione di quella parte dell’opinione pubblica che attendeva una decisione diversa, nell’errato convincimento che il pericolo incombente sulla democrazia italiana giustifichi, nella sua difesa, la rinuncia allo scrupolo costituzionale. Napolitano, perciò, non dovrebbe limitarsi a esercitare un “potere neutro”, ma andare oltre. Sentimento, questo, che scaturisce dalla miscela di rassegnazione e di esasperazione alimentata dal perdurante attacco alla Costituzione e dal persistente vuoto di governo.
Giorgio Napolitano, in diversi interventi, ha chiarito il senso di “potere neutro” affermando di “considerare fuorviante attribuirmi la tendenza a una salomonica equidistanza, come se a me spettasse dividere i torti e le ragioni tra due parti in conflitto e non richiamare tutti al rispetto di regole, esigenze, equilibri che il nostro ordinamento repubblicano ha per tutti reso vincolante”. E ha ricordato che nel disegnare la figura del Presidente della Repubblica i Padri Costituenti si sono ispirati al principio enunciato da Benjamin Constant due secoli fa, principio secondo il quale il potere neutro è “un potere di equilibrio e di limitazione degli eccessi degli altri poteri”. Potere neutro, dunque, come snodo e garanzia dell’equilibrio dei poteri. Il giudizio sulla costituzionalità degli atti spetta invece, come sappiamo, alla Corte.
Berlusconi mira a scardinare l’equilibrio costituzionale per fondare una democrazia autoritaria, nella quale il Capo del governo sia sovraordinato agli altri poteri e le Autonomie regionali ridotte a mero decentramento amministrativo. Ha già addomesticato la maggioranza parlamentare, ha costretto i candidati del centrodestra nelle imminenti elezioni a sottoscrivere il suo disegno ed esaspera l’attacco alle altre Istituzioni. A maggior ragione la risposta alla trama eversiva deve anteporre la salvaguardia dei principi costituzionali alla convenienza politica contingente. D’altro canto per estirpare il berlusconismo, non basta cacciare il traballante Berlusconi. Occorre una lotta politica, culturale e moralizzatrice di lunga lena e a tutti i livelli, possibile solo se la democrazia costituzionale sia salda.
Una battaglia, questa, che si vince a Roma se si combatte anche in Sardegna, dove il degrado della vita pubblica ha raggiunto livelli insopportabili, l’Autonomia è stata mortificata dalla suggestione servile della “Regione amica del Governo amico” e il trasformismo dilaga al punto che gli uomini di fiducia del Cavaliere si travestono impunemente da contestatori della politica del Cavaliere. La colpa è del popolo sovrano, del torpore politico e morale che lo avvolge? E’ vero, capita anche al popolo di sbagliare. Ma la responsabilità è sempre della classe dirigente, che abdica al suo ruolo. La classe dirigente regionale – politica, sociale, amministrativa, intellettuale – ha avuto il grande merito di aver guidato il popolo sardo nella lotta per la Rinascita. Da vent’anni a questa parte è andata, però, via via scadendo e oggi si è ridotta a vivacchiare, in parte cortigiana e in parte terzista, all’ombra del Prepotente. E a scaricare le proprie difficoltà e responsabilità, in stile prettamente berlusconiano, sulle Istituzioni, Unione europea compresa, Ecco, dunque, tutti a Bruxelles, in massa per dimostrare che i sardi sono uniti, capeggiati dal Presidente della Regione. A Far cosa? A premere per il riconoscimento dell’insularità. Ma a cancellare questo principio dal Trattato di Amsterdam sono stati i governi, quello italiano compreso. Dov’era, allora, la nostra classe dirigente? A spiegare che la democrazia è solo un optional, e che quel che conta è il presidenzialismo. E perché oggi non si rivolge al Governo, il quale condivide con gli altri governi il potere legislativo dell’Unione?
D’accordo, occorrono politiche nuove, grandi riforme statutarie e nuovi piani di rinascita. Ma se non si comincia dalla classe dirigente, si continuerà a masticar brodo.

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