Quale riforma della giustizia se il legislatore è affetto dalla sindrome di “Don Bastiano”?

16 Aprile 2010
Nessun commento


Carlo Dore jr.

Nelle intenzioni manifestate dai principali esponenti dell’attuale maggioranza di governo all’indomani delle elezioni politiche del 2008, la legislatura in corso doveva assumere i caratteri propri di una “legislatura costituente”: forte di un’ampia base di consenso in Parlamento e nel Paese, il Presidente del Consiglio si proponeva infatti di dismettere i panni del leader di parte per assumere quelli dello statista illuminato, e di procedere ad una serie di riforme di ampio respiro che dovevano riguardare in particolare la materia della giustizia, nel quadro di una complessiva revisione dell’architettura costituzionale.
Questa strategia sembrava peraltro incontrare il consenso di alcuni partiti di opposizione, i quali, in passato, troppo spesso avevano rinunciato a recepire le istanze avanzate da autorevoli settori della magistratura, finendo così con il deludere le aspettative di parte importante del proprio elettorato.
Ciò malgrado, in questi primi due anni, in Italia non ha operato un legislatore “riformatore”; ha operato semmai un legislatore affetto da quella che alcuni commentatori hanno acutamente definito come “la sindrome di Don Bastiano”. Ricordate il personaggio del bellissimo film di Mario Monicelli? Il sacerdote ridotto dal Pontefice in stato laicale che, dinanzi al rifiuto del Papa di restituirgli la tonaca, minacciava di auto-assolversi dai propri peccati?
Ebbene, coinvolto in una serie di procedimenti dall’esito quantomai incerto, il Presidente del Consiglio ha imposto l’approvazione di una serie di leggi volte non a risolvere i problemi della giustizia, ma a paralizzare alcuni processi in corso. Più o meno come Don Bastiano: “i Giudici non mi vogliono assolvere? E io mi assolvo da solo!”.
Ecco quindi approvato in fretta e furia il Lodo Alfano, poi annullato dalla Consulta in ragione dell’esistenza di quei manifesti difetti di costituzionalità più volte denunciati dai principali studiosi del diritto pubblico; ecco la legge sul Legittimo impedimento, la quale può essere definita come l’unico caso di legge ad incostituzionalità autocertificata. Posto infatti che l’interesse al sereno svolgimento dell’attività di governo è interesse di rilevanza costituzionale, lo stesso legislatore ha precisato che la legge de qua cesserà di operare quando lo “scudo” per i processi contro il premier ed i ministri verrà inserito nella Carta Fondamentale. In altre parole: sappiamo che il legittimo impedimento deve essere approvato con legge costituzionale, ma per adesso – finché non riusciremo a mettere mano alla Costituzione, magari con l’appoggio di qualche oppositore dialogante - lo approviamo attraverso una legge ordinaria, pur essendo consapevoli dell’incostituzionalità della stessa.
Tuttavia, in base alle dichiarazioni rese in questi giorni dal Guardasigilli Alfano, la “grande riforma” della Giustizia sta per arrivare, e sarà una riforma basata su due direttrici fondamentali: azzeramento del CSM nella sua configurazione attuale (sezioni disciplinari autonome, divieto di formulare pareri non richiesti, revisione dei criteri di composizione); separazione delle carriere tra giudici e PM, così da imporre agli “avvocati dell’accusa di recarsi dal magistrato giudicante con deferenza e con il cappello in mano”.
Ma, è lecito domandarsi, questa riforma del processo penale contribuisce a risolvere i problemi della Giustizia? Assicura, in altri termini, processi più rapidi, certezza della pena per gli autori di un reato, un più razionale sfruttamento delle (poche) risorse di cui il nostro sistema giudiziario dispone? La risposta è evidente: si tratta (volendo utilizzare le parole di Franco Cordero) non di una riforma della giustizia ma di una riforma dei giudici, di una riforma volta a costringere la magistratura requirente a rinunciare all’autonomia che ad essa è attualmente riconosciuta dalla Carta Fondamentale per abbandonarsi una volta per sempre alla logica del “cappello in mano”.
Ed ecco dunque che un ultimo interrogativo inizia a tormentare il giurista democratico: le forze di opposizione presenti in Parlamento devono accettare l’invito ad aprire un “tavolo delle riforme” con una maggioranza che, risultando più impegnata a tutelare esigenze individuali che ad assecondare l’interesse generale, sembra disposta ad anteporre la “Voce del Principe” alla cultura della legittimità? In altre parole: dianzi ad un legislatore dimostratosi finora affetto dalla sindrome di Don Bastiano, che speranza si può avere di Giustizia?

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento