XIII legislatura: un abbraccio con Soru che ha mandato tutti a fondo

21 Maggio 2010
2 Commenti


Andrea Raggio

Pubblichiamo le considerazioni finali sul governo Soru, tratta dal volume di A. Raggio, “Cronaca di una legislatura. Da Renato Soru a Ugio Cappellacci”,  in libreria in questi giorni.  

Riflettendo sulle vicende della legislatura una domanda sorge insistente:
come mai la sinistra - tutta la sinistra, quella laica e quella cattolica - è rimasta invischiata nel sorismo? È il mistero politico della XIII legislatura, non ancora esplorato. La cronaca di questi anni aiuta ma non basta a dare una risposta. Occorre allungare lo sguardo, evitare di ridurre il fenomeno ad un incidente, una parentesi sgradevole da chiudere sbrigativamente. Il sorismo, infatti, non è un corpo estraneo alla sinistra, è figlio della sua crisi. Efficientismo, decisionismo e stabilità politica, da conseguire anche a costo di mortificare la democrazia, sono i falsi miti agitati anche dalla sinistra nella difficoltà del rispondere alla sfida dei mutamenti epocali che hanno interessato, a partire dal 1989,il mondo, l’Italia e la Sardegna. Lo stesso presidenzialismo regionale è stato introdotto nella Costituzione nel 2001 con l’assenso della sinistra nazionale e subìto dalla sinistra sarda, benché la modifica costituzionale lasciasse aperta la strada a un diverso assetto della Autonomia regionale.
Questa possibilità non è stata colta neppure nel programma di Sardegna Insieme del 2004 e il presidenzialismo è stato addirittura riconfermato e accentuato nella legge Statutaria, cancellata recentemente dalla Corte Costituzionale. L’abbandono della cultura dell’Autonomia, incardinata sul rapporto democrazia-sviluppo, a favore della cosiddetta cultura del fare, si spiega anche con la difficoltà dei partiti del centrosinistra sardo a colmare il vuoto strategico seguito all’esaurimento della politica di rinascita e con la loro conseguente tendenza a ripiegare su diversivi, evocando nuovi stravaganti modelli di autonomia, sempre più ai limiti dell’etnocentrismo, e riforme statutarie sempre più grandi e radicali, senza tuttavia avere la forza di realizzarle.
In questa situazione di confusione, accentuata dall’instabilità delle giunte regionali, sia di centrosinistra sia di centrodestra, e dalla conflittualità interna ai partiti, Renato Soru ha avuto partita facile nell’interpretare il diffuso malcontento e nel proporsi come un rinnovatore.
Di sua iniziativa? È evidente che è stato sollecitato da personalità del centrosinistra nazionale senza la cui copertura non avrebbe sfidato con tanta sicurezza i partiti sardi. Roma aveva urgente interesse a un successo elettorale nell’isola e non si fidava dei gruppi dirigenti locali. Ma perché questi, benché avessero il successo elettorale sicuro, hanno ceduto di schianto, al punto da firmare una cambiale in bianco? Innanzitutto perché Soru aveva minacciato di presentare sue liste, fatto che avrebbe portato alla sconfitta, e poi perché i DS non erano in condizione di sventare la minaccia a causa delle pressioni interne pro Soru e della concorrenzialità tra i suoi possibili candidati.
In conclusione, i DS e il centrosinistra in difficoltà si sono aggrappati a Soru come a un’ancora di salvezza e Soru si è aggrappato al centrosinistra per averne il sostegno elettorale. Strumentalismo da una parte e dall’altra. Così non c’è stato l’auspicato e possibile allargamento del centrosinistra ma ha preso piede la tendenza a sostituirlo ipotecando il nascente Partito Democratico e, nello stesso tempo, è rimasta latente la riserva di scaricare Soru alla prima occasione. È quest’ambiguità che ha avvelenato la legislatura e portato alla sconfitta.
Il rifugio di entrambi nell’ambiguità ha provocato un’altra conseguenza.
Il sostegno a Soru era animato da un sentimento diffuso nella società sarda e nella sinistra in particolare: la critica ai partiti, la preoccupazione per le condizioni economiche e sociali, l’insofferenza verso l’assenza di un progetto, l’esigenza di moralizzazione. Era questa l’occasione per rianimare il dibattito politico-culturale da tempo eclissato, condizione indispensabile per portare l’impegno politico al livello del tempo presente e porre su chiari fondamenti identitari il Partito Democratico.
L’occasione è stata bruciata ed è per questo che il sorismo
non ha avuto la lucidità politica necessaria per avviare un moderno e più esigente sardismo e ha finito con l’arroccarsi in una sorta di vetero-sardismo, impastato di decisionismo senza consenso, e di stabilità politica da caserma.
Il modello soriano è riproponibile? No, perché è stato bocciato senza possibilità di appello dagli elettori e perché in questi anni tutto è cambiato e la crisi globale pone nuove sfide. L’ipotesi di una rivincita soriana, quindi, è un’illusione che porta all’immobilismo. Il sorismo, oggi, non è un problema. Il problema è il PD, la sua capacità di trarsi fuori dalle difficoltà e vivere come un partito  effettivamente nuovo e realmente democratico.

2 commenti

  • 1 Andrea
    21 Maggio 2010 - 21:19

    Il “sorismo” è morto, l’abbiamo capito. Le istanze e le speranze di quella stagione politica NO. L’attuale classe dirigente dell’intero centrosinistra sardo sta lavorando per rilanciare quanto di buono c’era in quella esperienza? Non mi sembra proprio. Partirei da qui per cercare di costruire qualcosa per un futuro che ci attende piu incerto che mai, oltre che discettare ad libitum sul passato.

  • 2 Michele
    22 Maggio 2010 - 11:59

    Non sarei tanto convinto di questa presunta morte.
    Gli elettori hanno sconfitto in primo luogo i partiti del cs, o ci siamo già dimenticati del risultato elettorale?
    Esiste attualmente in Sardegna, chi lo ignora dimostra ancora una volta di non capire la propria terra, una base forte e ferma dell’elettorato di cs che si riconosce a vario titolo nel sorismo o cmq in quello che l’operato di Soru ha prodotto, aldilà degli errori che ci possono essere stati.
    Chiudo con una domanda: cosa s’intende per moderno e più esigente Sardismo?

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