Alle radici dell’autonomia dei sardi

1 Agosto 2010
2 Commenti


Andrea Pubusa

Perché in questo mese di agosto intendiamo pubblicare una serie di notizie biografiche di democratici sardi del passato? La ragione è molto semplice. Sessantadue anni fa, il 26 febbraio 1948, l’Assemblea Costituente ha approvato lo Statuto per la Sardegna, dando all’isola un’autonomia speciale legislativa e amministrativa. Comunemente si ritiene che questa preziosa Carta costituzionale dei sardi sia nient’altro che uno Statuto ottriato, concesso, una appendice della Costituzione italiana, approvata ed entrata in vigore poco prima. Lo Statuto affonderebbe le sue radici soltanto nella Resistenza, nella lotta di Liberazione nazionale contro il nazifascismo, senz’alcun significativo e specifico apporto dei sardi. Ed invece non è così. Lo Statuto evoca grandi uomini ed avvenimenti della storia sarda che hanno alimentato l’idea della libertà in collegamento coi grandi sommovimenti che hanno sconvolto e cambiato il mondo. Fu nella Grande Guerra, tra le trincee degli altipiani dolomitici e carsici, che trovarono sbocco positivo e si diffusero velocemente idee di riscatto sociale, di autonomia e di libertà. Ma si trattava di idee in incubazione da secoli e che avevano animato tutto l’Ottocento sardo dopo la scintilla mai spenta, accesa dalla breve epopea angioiana della fine del 1700, a partire dai moti di Thiesi e Santulussurgiu del 1800. Spiccano grande figure: non solo Angioy, ma Francesco Sanna Corda, parroco (vicario) di Torralba e il notaio cagliaritano Francesco Cilloco, caduti nel tentativo insurrezionale per la Repubblica sarda nel 1802. Salvatore Cadeddu e altri due patrioti, Raimondo Sorgia, Giovanni Putzolu, animatori della congiura di Palabanda del 1812, impiccati a Cagliari nella pubblica piazza. Seguono i moti popolari di Alghero del ‘21 e la ribellione del 1832 nel Nuorese contro le recinzioni realizzate «a s’afferra afferra» in attuazione dell’editto delle chiudende. E l’anno successivo (1833) la fucilazione a Chambéry, perché accusato di essere mazziniano, l’ufficiale sassarese Efisio Tola, fratello di Pasquale, magistrato, erudito, rettore dell’Università di Sassari e storico raffinato della Sardegna. E come non ricordare, fra i tanti, alcuni grandi spiriti dell’Ottocento come lo Spano, il Siotto-Pintor, il Tuveri. Quest’ultimo, in particolare, nel 1851 pubblicò il trattato teologico-filosofico «Del diritto dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi», che illustra la sua concezione dello stato federalista, dove il popolo è sovrano. Fu questa battaglia intellettuale a costituire l’humus da cui è nata l’idea dell’autonomia per poi diffondersi e divenire una coscienza di massa durante i terribili sacrifici imposti ai combattenti della Prima Guerra Mondiale, ad opera di uomini come Attilio Deffenu, Camillo Bellini, Emilio Lussu. La rivendicazione dell’autonomia regionale divenne uno dei punti qualificanti del programma dell’associazione degli ex combattenti e poi del PSd’A che si organizzarono all’indomani della Grande Guerra e vide in Emilio Lussu l’esponente più noto e deciso. Problematiche che entreranno anche nei programmi dei grandi partiti nazionali, e segnatamente in quello del Pcd’I quando Antonio Gramsci ne diverrà segretario generale e nel Partito popolare di Sturzo. E’ da qui che, ancor prima della fine del Secondo Conflitto Mondiale, il 27 gennaio del 1944 nasce l’Alto Commissariato per la Sardegna, il primo passo verso la nostra autonomia regionale, seguito dalla Consulta per lo Statuto e finalmente dallo Statuto. Ma oggi a che punto siamo? Sembra paradossale, ma lo Statuto in certo senso non esiste più; è svanito per la spinta congiunta del nuovo titolo V della Costituzione, dell’inerzia del Consiglio regionale e dell’apatia dei sardi. La revisione costituzionale del 2001 ha ridisegnato il regionalismo italiano, assegnando sostanzialmente alle regioni ordinarie potestà legislative e amministrative non dissimili da quelle prima riconosciute solo negli Statuti speciali. Si fanno salve le «condizioni di miglior favore» in essi previste (peraltro spesso cadute in desuetudine). E così per conoscere delle potestà della Sardegna bisogna ricostruire un complesso puzzle fatto di disposizioni del titolo V per le regioni ordinarie e dello Statuto speciale. Un pasticcio. Ed anche una vergogna, se si pensa che stiamo parlando non di una qualsiasi disciplina ma del nostro assetto costituzionale e della «forma di Stato» della Repubblica. Ma se in passato sono stati il regime sabaudo e quello fascista a far tacere i sardi con la forza, oggi siamo noi, con la nostra insipienza, a privarci di un nuovo Statuto adeguato ai tempi e alle nostre aspirazioni. Occorre un sussulto d’orgoglio e d’intelligenza. Il pensiero e l’azione dei grandi sardi di cui parleremo in questo caldo agosto ci sarà di stimolo in quest’opera di rigenerazione.

2 commenti

  • 1 Francesco Cocco
    1 Agosto 2010 - 16:15

    Ottima l’idea del direttore di questo sito di offrire ai lettori una panoramica antologica di quanti nei secoli hanno contribuito a costruire “le radici della nostra autonomia”. Se sapremo leggere senza schemi pregiudiziali sapremo poi trarre elementi che possono aiutarci a difendere oggi la democrazia autonomistica sancita dalla Costituzione repubblicana. La democrazia autonomistica nasce non solo da elaborazioni teoriche ma anche da grandi sacrifici (spesso la vita) che ci impongono di non arrenderci alle strumentalizzazioni di turno.

  • 2 Mario Galasso
    5 Agosto 2010 - 18:28

    Nessuno ricorda Francesco Cilloco e Francesco Sanna Corda con i loro compagni barbaramente giustiziati, squartati e bruciati. I tentativi culminati nel 1802 di porre fine alle vessazioni piemontesi e feudali non sono neanche più un ricordo nei sardi. Vorrei sapere se in qualche posto in Sardegna sono ricordate queste figure con un monumento o una strada. Invece il sanguinario e pazzo Duca dell’Asinara e l’altrettanto sanguinario Marchese Pes di Villamarina sono sempre ricordati. 50 anni dopo, il nipote del primo cercò di acquistare la tenuta della Crucca in nome e per conto di Garibaldi (massoni ambedue) da Simplicio Maffei , il secondo è ben ricordato nel museino dell’azienda Sella e Mosca ad Alghero. Al Barone Manno una grande statua nei giardini di Alghero, i Savoia sempre titolari di strade e piazze, e su tutto scende la livella dell’oblio che accomuna nella comune crassa ignoranza oppressori ed oppressi, servi dei potenti e schiavi dei feudatari. Che pena!

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