Vendola, le trappole del déjà vu

31 Luglio 2010
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Ida Dominijanni Il Manifesto 27.7.2010

Ecco uno scritto di Ida Dominijanni dell’altro ieri, che analizza alcune delle obiezioni alla candidatura Vendola avanzate da molte parti e apparse anche su questo blog.

Prendiamo le reazioni dei leader di centrosinistra, ma anche quelle di alcuni nostri lettori (cfr. «il manifesto» del 23 luglio) all’autocandidatura di Vendola, facciamo la tara delle ragioni personali e dello stupore per la sua «intempestività», come la chiama Bersani, e analizziamole a freddo.
Le obiezioni sono due, e connesse. Prima obiezione: Vendola è l’altra faccia di Berlusconi: è populista e narcisista, gioca con l’emotività e la seduzione e non usa la testa, fa il poeta ma non ha un programma, punta tutto sulla sua propria persona, non ha un partito ma solo dei comitati elettorali; insomma, con lui non si esce dal berlusconismo ma lo si interiorizza fino in fondo. Seconda obiezione: Vendola punta a elezioni anticipate con la legge elettorale attuale, ma la legge elettorale attuale è lo strumento numero uno di corruzione della rappresentanza e di distruzione dei partiti; bisogna invece tornare al proporzionale, e per tornare al proporzionale bisogna fare un governo di transizione col compito di riscrivere la legge elettorale.
Comincio dalla seconda. Personalmente sono convinta non da oggi ma dai primi anni Novanta,quando il mito del maggioritario conquistò il nuovismo dilagante a destra e a sinistra, che il modello proporzionale tedesco sia quello più adatto a una democrazia parlamentare, nonché a una società contrassegnata da forti appartenenze ideologiche come quella italiana. Però l’esperienza mi ha insegnato che le leggi elettorali, purtroppo, in Italia vengono fatte e rifatte non per il bene del sistema ma per ragioni politiche del tutto contingenti, buone o cattive che siano. Perciò ho segnalato, commentando la candidatura di Vendola, che un’accelerazione trasversale per una riforma proporzionalista potrebbe essere fortemente condizionata dall’urgenza di depotenziarlo, oltre che dalle convenienze del cosiddetto terzo polo. Non solo.
Come al maggioritario venne attribuita la virtù salvifica di dare voce alla società civile contro il potere dei partiti, virtù che com’era prevedibile non ha avuto, così oggi al ripristino del proporzionale viene attribuita la virtù altrettanto salvifica di rivitalizzare i partiti. I quali però sono devitalizzati a prescindere dalla legge elettorale: per resuscitarli, a mio modesto avviso, ci vorrebbe ben altro. Sarebbe bene pertanto ragionare a partire dalla sostanza del problema, la crisi della rappresentanza, e non dalle formule, la legge elettorale. E dunque la domanda è: la candidatura di Vendola può riaprire il circolo della rappresentanza, o lo chiude mimando da sinistra il modello berlusconiano?
Ed eccoci alla prima obiezione. Che andrebbe però anch’essa rimessa con i piedi per terra. E rimetterla coi piedi per terra significa inevitabilmente tornare alle radici del fenomeno Berlusconi. Il quale non è solo l’artefice di un cambiamento, ne è anche l’effetto. Berlusconi nasce e prospera su una crisi della politica che in tutte le democrazie occidentali, dove più dove meno, mette in mora la forma partito e la razionalità politica classica, personalizza la leadership, attiva, via massmedia, l’emotività sociale e il rapporto diretto fra leader e massa. È certo che la versione italiana di questo processo è stata particolarmente estrema e devastante. Ma è altrettanto certo che anche in Italia non ne usciremo con una mossa di ripristino di quello che c’era prima, per la buona ragione che è stata la decomposizione di quello che c’era prima a dare vita a Berlusconi e non viceversa. «Come» se ne esce, e se Vendola sia o no la persona adatta a guidare questa uscita, è il problema di cui si discuterà a lungo da qui in avanti. Sommessamente, intanto, due cose. La prima: nella politica personalizzata, non va dimenticato che alla fine la persona conta davvero e fa la differenza (come peraltro dimostra il caso Obama). Dunque nel nostro caso è giusto rilevare eventuali analogie di stile comunicativo o organizzativo fra modello Berlusconi e modello Vendola, ma solo a patto di non dimenticare una sostanziale differenza, questa: Nichi Vendola non è Silvio Berlusconi, le cose che dice sono stellarmente diverse, la cultura che esprime è tutt’altra, i contenuti programmatici sono opposti, le alleanze sociali idem. La seconda: di fronte al problema delle trasformazioni della politica novecentesca, da venti anni in Italia oscilliamo fra due risposte l’un contro l’altra armate che non si spostano di un millimetro: partiti e politica professionale versus società civile o società civile versus partiti e politica professionale. Che più o meno corrispondono alla guerra interminabile fra Massimo D’Alema e Walter Veltroni.
L’una e l’altra, anzi l’una contro l’altra, non hanno portato grandi risultati. Forse sarebbe il momento di pensare, come si sarebbe detto una volta, una mediazione superiore, che analizzi più seriamente quello che è accaduto in questi venti anni alla società e alla politica, e lo interpreti più efficacemente. Nichi Vendola sarebbe il primo a doversene occupare, se non vuole finire ostaggio di un conflitto già visto, che nessuno ha voglia di rivedere, e che già tende a ridurne la novità a ripetizione.

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