Energia: l’accidente di Cernobyl

1 Settembre 2010
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Gonario Francesco Sedda

L’accidente nucleare più grave è avvenuto, come è noto, a Cernobyl. Su di esso il blocco di interessi direttamente coinvolto nell’affare nucleare ha fondato la costruzione ideologica secondo cui “lì è avvenuto ciò che da noi non può succedere”. In un confronto successivo con l’accidente di Three Mile Island (senza dimenticare un altro accidente grave del 1957, l’incendio di Windscale, nel Regno Unito) questo assunto verrà messo alla prova. Intanto vediamo la catena degli eventi che ha portato al disastro di Cernobyl.

La centrale nucleare di Cernobyl, in Ucraina, aveva quattro reattori del tipo RBMK (Reaktor Bolshoi Moshchnosty Kanalnyi/Reattore di Alta potenza a Canali) moderato a grafite – una forma minerale del carbonio non combinato – e raffreddato ad acqua bollente. La potenza elettrica di ogni unità era di circa 1000 MW. Il primo reattore iniziò la sua attività nel 1977, il secondo nel 1978, il terzo nel 1981 e il quarto nel 1983.
Il 25 aprile del 1986 era prevista la fermata del RBMK-4 per normali operazioni di manutenzione. Se ne approfittò per la simulazione di un’emergenza e per una verifica.
L’emergenza consisteva nel simulare un’improvvisa interruzione dell’elettricità necessaria per il funzionamento delle pompe del circuito di raffreddamento con conseguente compromissione della sicurezza del sistema. In tal caso l’alimentazione sostitutiva dell’elettricità doveva essere garantita da generatori diesel di emergenza presenti nell’impianto. Ma l’avviamento di questo tipo di apparecchiatura e la sua sincronizzazione avvenivano in un intervallo di 40 secondi.
La verifica riguardava la capacità del gruppo turbine/alternatore di generare elettricità sufficiente per alimentare i sistemi di sicurezza e di raffreddamento anche in assenza di produzione di vapore nell’intervallo di avviamento e sincronizzazione dei generatori diesel di emergenza.
La simulazione e la verifica aveva già dato esito negativo (cioè l’energia elettrica prodotta sfruttando la sola inerzia delle turbine era insufficiente ad alimentare le pompe) con una precedente esecuzione nel RBMK-3, in condizioni operative diverse e con tutti i sistemi di sicurezza attivi. Dopo alcuni interventi migliorativi sulle turbine, lo spegnimento programmato per l’ordinaria manutenzione del RBMK-4 fu l’occasione per una seconda verifica in una situazione di emergenza simulata.
* Alla data fissata dunque si cominciò a ridurre gradualmente la potenza termica del reattore. Per garantire la sicurezza delle operazioni la potenza non doveva scendere sotto i 1000 MW termici per evitare noti problemi di instabilità. Ma quando già si era raggiunta la potenza termica di circa 1600 MW arrivò la richiesta di fermare le operazioni per supplire a una mancanza di energia elettrica che si era determinata a causa di un guasto in un’altra centrale elettrica regionale. La situazione di stallo durò 9 ore, fino al ripristino della centrale guasta.
* Si fissò un nuovo orario per la ripresa delle operazioni: l’una del mattino (ora locale) del 26 aprile 1986. Ciò ebbe la conseguenza che l’esecuzione dell’esperimento passò agli operatori di un nuovo turno di lavoro che erano del tutto impreparati sia perché non conoscevano le ragioni della prova sia perché non erano stati addestrati a eseguirla.
* Il primo errore venne fatto nel governo delle barre di controllo durante il processo di diminuzione della potenza termica del RBMK-4. Esse furono abbassate eccessivamente determinando un crollo della potenza molto oltre il livello previsto (1000 MW termici) fino a 30 MW, valore molto vicino a quello minimo consentito dalle norme di sicurezza. In una situazione di bassa/bassissima potenza i reattori di questo tipo diventano instabili/molto instabili e dovrebbero essere spenti.
Invece si decise di continuare.
* Alle ore 1 e 5 minuti si procedette secondo il programma all’attivazione delle pompe secondarie di alimentazione dell’acqua di raffreddamento, ma 14 minuti dopo (1 e 19 minuti) la quantità immessa nel reattore aveva superato il limite di sicurezza. La conseguenza fu che la potenza diminuì ulteriormente.
* Contravvenendo alle procedure corrette, per far crescere nuovamente la potenza termica del reattore furono estratte tutte le barre di controllo eccetto 7, incluse molte barre di controllo manuali, ben oltre i limiti delle norme di sicurezza che prevedono di lasciare almeno 30 barre di controllo inserite. La potenza fu così fatta risalire fino 200 MW termici (comunque un quinto del valore di sicurezza prescritto per l’esecuzione dell’esperimento).
* In quella situazione di grande instabilità e pericolosità, con anomali cambiamenti dei parametri di controllo, il reattore si sarebbe dovuto spegnere automaticamente, ma anche lo spegnimento automatico era stato disabilitato manualmente dagli operatori. Addirittura furono disabilitati diversi sistemi automatici aggiuntivi tra cui il raffreddamento di emergenza del nòcciolo e la riduzione di emergenza della potenza.
* Alle ore 1 e 23 minuti (e 4 secondi) si diede inizio all’esperimento vero e proprio. Venne interrotta l’alimentazione delle pompe dell’acqua di raffreddamento e la turbina fu scollegata dal reattore. La conseguenza fu un innalzamento della temperatura che provocò un aumento di vapore nei canali.
L’acqua ha una funzione di raffreddamento, ma interferisce anche con lo sviluppo della reazione nucleare perché ha la capacità di catturare neutroni. Diventando vapore l’acqua perde questa capacità di cattura. Una diminuzione critica dell’acqua liquida che si trasforma in vapore porta a un aumento del flusso neutronico efficace, accelerando la reazione nucleare e aumentando la potenza termica del reattore. Si entra in un circolo vizioso: aumentando la temperatura dell’acqua, aumentano le bolle di vapore, che accelerano la reazione con una ulteriore liberazione di calore che determina un ulteriore aumento della temperatura dell’acqua; e così via.
* Alle ore 1 e 23 minuti (e 40 secondi) venne premuto il tasto per l’arresto di emergenza del reattore con l’abbassamento di tutte le barre di controllo (gran parte delle quali erano state disabilitate). Ma per avere un abbassamento completo delle barre di controllo erano necessari 18-20 secondi: probabilmente troppi in quella situazione estremamente critica. Tuttavia ciò che fece precipitare gli eventi fu un errore di progettazione delle barre stesse. Esse avevano le estremità in grafite, cioè proprio di quella forma minerale di carbonio che nel reattore serviva per facilitare la reazione nucleare (moderatore). La conseguenza fu che, quando le barre cominciarono a entrare nei canali, la reazione venne accelerata ulteriormente con un aumento enorme di potenza termica. Si ebbe un aumento di temperatura tale che si deformarono i canali delle barre di controllo che stavano scendendo ed esse si bloccarono a circa un terzo del loro cammino.
* Alle ore 1 e 23 minuti (e 47 secondi), cioè 7 secondi dopo l’inizio dell’arresto di emergenza, la potenza termica – che da 30 MW era stata portata a 200 MW ignorando le norme di sicurezza – ebbe un balzo diventando (in meno di un secondo) oltre 10 volte più grande di quella massima (3200MW) per cui era stato progettato il reattore. L’incamiciatura di sostegno e protezione del combustibile venne danneggiata e il combustibile stesso cominciò a fondere. Il vapor d’acqua cominciò a reagire chimicamente con la lega al zirconio dell’incamiciatura che conteneva il combustibile producendo una grande quantità di idrogeno.
* Alle ore 1 e 24 minuti, quando il combustibile fuso venne a contatto con l’acqua di raffreddamento si ebbe uno sviluppo esplosivo di vapore. L’espansione del vapore dentro i canali del reattore fece saltare il pesante coperchio d’acciaio (circa 500 tonnellate) lasciando il nòcciolo a diretto contatto con l’ambiente circostante. La grafite (presente nel reattore come moderatore) cominciò a bruciare essendo venuta a contatto ad alta temperatura con l’ossigeno dell’aria. L’incendio della grafite durò alcuni giorni e contribuì ad aggravare molto l’inquinamento radioattivo. I contaminanti radioattivi si dispersero nella zona circostante e si diffusero nell’atmosfera anche a grande distanza.
* L’evacuazione della popolazione attorno a Cernobyl cominciò 36 ore dopo l’accidente e in alcuni mesi tutti i residenti nel raggio di 30 km dall’impianto (116.000 persone) erano stati trasferiti. Negli anni successivi altre 220.000 persone furono trasferite dalle loro zone di residenza della Bielorussia, della Russia e dell’Ucraina.
Secondo il rapporto del Chernobyl Forum (ONU) sarebbero 65 le morti accertate con sicurezza e la stima – su liquidatori (coloro che procedettero alla bonifica delle macerie e dei luoghi circostanti subito dopo l’accidente e negli anni successivi), su evacuati e su popolazione residente (5 milioni) a lungo raggio – delle presunte morti aggiuntive in eccesso per leucemie e tumori su un arco di 80 anni sarebbero 4.000. Ma un rapporto alternativo del Partito Verde Europeo (presente al Parlamento europeo), pur confermando il numero di 65 morti accertate con sicurezza, dà una stima di ben 9000 morti presunte invece delle rispettive 4000 e di ulteriori 30.000-60.000 su scala mondiale. Addirittura un rapporto di Greenpeace (2006) dà una stima tra 100.000 e 270.000 morti presunte nelle zone più o meno contaminate e fino a 6 milioni su scala mondiale.
* Un grossolano lavoro di bonifica del sito e delle zone in raggio di 30 km (e anche oltre) venne svolto negli anni fino al 1990, in condizioni di precaria protezione dei lavoratori dalle radiazioni.
* Per isolare i resti del reattore e i detriti dell’esplosione (180 tonnellate di combustibile e pulviscolo altamente radioattivo e 740.000 metri cubi di macerie contaminate) fu progettata la costruzione di un involucro di contenimento (sarcofago). Poiché la struttura portante del sarcofago è in parte costituita dalle macerie del RBMK-4 e in parte da nuove armature metalliche, la sua stabilità e sicurezza sono dubbie. Nell’involucro eterogeneo e costruito in fretta con materiali non sempre adeguati si sono già aperte delle grandi fessure e le sue fondamenta vanno sprofondando a causa delle infiltrazioni di acqua piovana. Si teme la contaminazione delle falde acquifere.
Allo scopo di mettere in sicurezza per circa un secolo il reattore distrutto e le macerie dell’impianto è stata costituita una fondazione internazionale per raccogliere i fondi (oltre un miliardo di dollari) che serviranno alla costruzione di un nuovo sarcofago.
Il RBMK-2 fu messo fuori servizio nel 1991 in seguito a un incendio. Nel 1996 cessò l’attività il RBMK-1 e nel 2000 il RBMK-3.

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