Indipendentismo a parole e federalismo responsabile

28 Settembre 2010
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Gianfranco Sabattini

Dopo la diffusione del testo de “Sa carta de logu pro sa Natzione sarda”, elaborato dal “Comitato firma per la tua Sardegna”, politicamente vicino al PSD’AZ oggi al governo nella Giunta Cappellacci, si poteva pensare che non fosse possibile la formulazione di una proposta riformista più estrema sul piano della rivendicazione dell’Autonomia regionale. Ci si sbagliava di grosso.
In occasione del dibattito in corso di svolgimento al Consiglio regionale per il rinnovo dello Statuto regionale, i consiglieri del PSD’AZ hanno firmato tutti una mozione sull’Autonomia, i cui contenuti vanno ben oltre l’”asimmetria istituzionale” che era possibile cogliere dalla lettura del testa della “Nova Carta”. Nel complesso, dalla lettura era possibile cogliere la proposta di regolare in modo asimmetrico, ma pur sempre all’interno di un quadro istituzionale unitario, i rapporti tra entità comunitarie diverse, con la pretesa dell’entità più debole (la Sardegna) di legittimare l’obbligo per l’entità più forte (lo Stato italiano) di elargire risorse in funzione di non ben individuate ragioni, se non quelle, per l’entità più debole, di essere isolata geograficamente, di essere la base istituzionale dell’entità più forte e di aver versato sangue e sudore per la sua costituzione. Ragioni certamente valide, per le quali varrebbe la pena di addivenire ad un impegno politico unitario per il loro accoglimento.
Ben diversa è ora la posizione che emerge dalla mozione del gruppo sardista al governo della regione. L’On. Paolo Maninchedda, presentatore della mozione, sulla base di argomentazioni prive di consistenza reale, avanza oggi una proposta oltranzista, molto più radicale di quella o di quelle proprie del movimento “Sardinia Nazione Indipendentzia”. L’On. Maninchedda, infatti, propone per la difesa dell’Autonomia della Sardegna, non più la trasformazione dello Stato unitario in Stato federale, ma la sua traduzione, a legislazione vigente, in Stato confederale sulla base di una dichiarazione unilaterale di indipendenza, sul tipo di quella adottata per il Kosovo, come se la Sardegna di oggi debba essere liberata dall’occupazione delle forze armate dello Stato italiano. Tutto ciò, per l’On Maninchedda, dovrebbe essere fatto in quanto la costituzione della Repubblica Italiana è in crisi, per cui il tema della sovranità sarebbe destinato a diventare il centro della crisi dello Stato. La miglior difesa contro questa crisi consisterebbe in una fuga dallo Stato unitario, attraverso la realizzazione di una confederazione di Stati che dovrebbe sorgere dall’estensione della sovranità a tutte le regioni che compongono l’attuale Stato italiano.
L’acquisita sovranità nazionale dovrebbe così assicurare alla Sardegna la capacità di risolvere al meglio il problema dei rapporti tra sovranità, libertà e risorse. In tal modo, diverrebbe possibile per l’Isola, costituzionalmente indipendente, l’autosufficienza nel finanziamento di tutte le sue funzioni statuali, senza alcuna necessità di dimostrare la capacità di un’esistenza autarchica. Ciò, in considerazione del fatto che nessun Stato “vive separato dagli altri, ma non per questo affida la propria sovranità a chiunque o, peggio, a chi se ne disinteressa”. L’acquisita indipendenza dallo Stato italiano, dovrebbe perciò consentire, secondo l’On. Maninchedda, di rinegoziare il patto (?) con lo Stato e di porre fine alla procedura di presentarsi, nei futuri negoziati, con un pensiero autonomistico condizionato dalla posizione di forza in cui normalmente si trova il detentore legittimo della sovranità a cui si chiedono delle concessioni. Come se una data comunità in stato di bisogno potesse presentarsi “col cappello in mano”, davanti a chicchessia, ed essere soddisfatta in tutte le sue richieste solo perché sovrana.
La tesi dell’On Maninchedda e di tutti quelli che le condividono (inclusa una folta schiera di consiglieri del PD) è una pura posizione sterile perché immaginifica; essa manca di realismo e non tiene conto, criticamente, di quanto è avvenuto in Sardegna dalla fine degli anno Quaranta del secolo scorso ad oggi. L’On Maninchedda farebbe bene a documentarsi, per capire che i condizionamenti derivati all’Autonomia della Sardegna devono essere rinvenuti innanzitutto nella natura ottriata dello Statuto e, in secondo luogo, nel modello di crescita e sviluppo che, sulla base dello Statuto ottriato, è stato adottato ed attuato. L’On. Maninchedda sa bene, anche perché lo ha ricordato nel suo intervento nel dibattito l’On. Felice Contu, che le modalità con cui allora è stata istituzionalizzata l’Autonomia sono state oggetto per lungo tempo di una dura polemica tra chi si è schierato dalla parte di un regionalismo centralistico e chi invece si è schierato dalla parte di un federalismo non attuato.
Gli esiti dell’attuazione del modello di crescita e sviluppo adottato sono certamente il riflesso dei limiti intrinseci allo Statuto del 1948. Ma per quegli esiti, quanta responsabilità è da ricondursi ai sardi? In ogni caso, il tipo di Autonomia concessa all’Isola non è stata del tutto negativa. Essa è servita a legittimare il miglioramento degli standard di vita, ma non anche gli standard produttivi. E il miglioramento delle condizioni di vita dei sardi in luogo del miglioramento delle condizioni produttive è avvenuto sulla base della totale, piena e democratica legittimazione politica di tutti i partiti regionali, incluso quello nel quale milita ora l’On. Maninchedda. Cosa significa tutto ciò? Da un lato, significa che la presunta autonomia finanziaria della Sardegna è solo una pericolosa illusione, in considerazione del fatto che gran parte delle attività produttive dalle quali dovrebbero originare le entrate fiscali con cui finanziare le funzioni delle Sardegna sovrana sono principalmente il risultato dell’impegno del resto della comunità nazionale, “obbligata” nei confronti della comunità regionale sulla base dei rapporti solidaristici conseguenti all’integrazione della Sardegna all’interno dello Stato nazionale. La solidarietà e i trasferimenti sarebbero destinati a scomparire se la Sardegna decidesse di diventare uno Stato autonomo dotato di sovranità originaria. Dall’altro, significa che l’Autonomia concessa non è stata responsabilmente utilizzata per accrescere la capacità dei sardi di decidere del proprio avvenire, in quanto questi ultimi, anziché pensare anche al potenziamento della propria base produttiva, hanno legittimato il loro conservarsi comodamente sul “libro paga a carico di altri”.
Oggi, una critica costruttiva per accrescere l’Autonomia della Sardegna deve certamente contrapporre la comunità regionale allo Stato-nazione italiano, intendendo però la comunità regionale non secondo i canoni tradizionali, ovvero come insieme di soggetti sulla base di un origine comune e di caratteristiche immutabili ereditate da ciascuno dei suoi membri, ma come comunità di destino storico assieme alle altre comunità regionali consimili, ovvero come prodotto mai finito di un processo costantemente in corso, aperto quindi al pluralismo e al multiculturalismo, nella prospettiva di un ritorno a più piccole unità di vita collettiva, lontane dai grandi apparati istituzionali che hanno perso il loro ruolo di struttura di integrazione. In questo senso, perciò, la comunità regionale dovrà tendere a realizzarsi come il “nuovo contenitore” di una democrazia di vicinanza, fondata su una partecipazione attiva di tutti i suoi cittadini all’assunzione di decisioni rilevanti per il loro futuro. All’interno di tale contenitore, l’insieme dei soggetti che vi insistono potrà finalmente affermare responsabilmente la sua identità senza negare la sua appartenenza, all’interno di una struttura istituzionale federalista, ad una più vasta comunità nazionale.

1 commento

  • 1 Bomboi Adriano
    28 Settembre 2010 - 14:17

    Cito la frase di Sabattini: “…potrà finalmente affermare responsabilmente la sua identità senza negare la sua appartenenza, all’interno di una struttura istituzionale federalista, ad una più vasta comunità nazionale.”

    E dove sta scritto che le minoranze non hanno il diritto di statualizzare una nuova (o pre-esistente) nazione?
    Perché far parte sempre e comunque di una sola nazione e non di uno stato federale PLURI-nazionale?

    Un’altra frase dall’articolo: “La solidarietà e i trasferimenti sarebbero destinati a scomparire se la Sardegna decidesse di diventare uno Stato autonomo dotato di sovranità originaria.”

    In uno Stato federale non è detto. Nel pianeta oggi ci sono svariate tipologie di federalismo. In parecchie di queste, il bilancio federale si somma a quello dei singoli stati federati, in un quadro di interdipendenza.
    La forma federale insomma non ha criteri univoci ovunque.

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