Dibattito statutario: che vergogna! Ci vuole altro

29 Settembre 2010
2 Commenti


Andrea Pubusa

Un tempo si diceva “praticare l’obiettivo” per indicare quell’azione politica o sindacale mediante la quale lo scopo che si intendeva raggiungere lo si anticipava con un’attività concreta e diffusa di forti movimenti sociali. Ora, il dibattito in Consiglio regionale sullo statuto speciale e le impostazioni indipendentiste in quella sede emerse avrebbero una qualche credibilità se fossero accompagnate da una pratica diffusa di autonomia e indipendenza dallo Stato. Sennonché, ahinoi!, come già abbiamo avuto modo di dire, ci troviamo di fronte ad una maggioranza regionale incentrata su un partito, il PDL non solo centralizzato e centralista, ma dotato non di un leader ma di un padrone. Un partito che sanziona con l’ostracismo anzitutto morale prima che politico coloro che avanzano la più naturale delle pretese: poter discutere le posizioni espresse dal leader e formularne di diverse.
Il Psdaz è collocato in seno a questa coalizione e, dunque, al di là delle parole, mutua anzitutto la posizione di subordinazione del PdL configurandosi così  come servitore di secondo grado, non del padrone centrale, ma dei valvassori regionali. Sono, insomma, solo valvassini. Ed allora che senso ha parlare di indipendenza se si è scelto il più piatto dei conformismi? Certo, si può parlare di tutto, ma sono solo parole, come ben ha detto ieri in questo blog Gianfranco Sabattini.
Un lettore ci ha rimproverato la scarsa attenzione verso il dibattito sulle riforme istituzionalli in seno al Consiglio regionale ed ha ragione. Ma quale interesse può destare una discussione nella quale si parte da ben otto mozioni. Segno di ricchezza propositiva? Più realisticamente e prosaicamente potrebbe parlarsi di documenti buttati giù per dire che si dice qualcosa, ma senza alcuna pretesa di indurre processi reali di riforma, i quali presuppongono coerenze e condotte pratiche antitetiche a quelle attuali. Ad essere sinceri sotto il sole di Sardegna regna il più noto e classico fenomeno italico: il trasformismo.
I grandi processi di radicale cambiamento presuppongono e sono il frutto di movimenti sociali nei quali esistono gruppi, ceti, classi che fanno della riforma lo strumento per la soddisfazione dei propri interessi materiali e morali in antitesi agli interessi combattuti. Ora, in Sardegna questi soggetti semplicemente non esistono né a livello imprenditoriale nè in seno ai ceti popolari. L’imprenditoria locale vive sui trasferimenti statali e non riesce neanche a intercettare questi, poiché nelle grandi commesse pubbliche cede il passo ai grandi potentati economici nazionali e, al più, ne raccoglie le briciole. In questo contesto poi l’ambizione è orientata verso maggiori trasferimenti finanziari dallo Stato sul presupposto che solo l’incremento di questi flussi e non l’autonomia o peggio l’indipendenza  possa dare ossigeno all’imprenditoria sarda. A livello popolare, per la mancanza di una politica economica adeguata, non si riesce a porre argine allo sfascio dei settori produttivi che genera sfascio anzitutto politico fra i lavoratori e i disoccupati. Quale autonomia può esprimere una massa lavoratrice che vive ormai nella precarietà o nella disoccuppazione?
Ecco allora le ragioni del nostro disinteresse, anzi del fastidio, verso quelle esercitazioni oratorie che si sovrappongono ad una sostanziale azione clientelare e corrutrice a livello sociale. Sarebbero coinvolgenti e credibili le mozioni in discussione al Consiglio regionale se fossero espressione di movimenti sociali e, in tal caso, forse sarebbero meno di otto e con più facilità si ridurrebbero ad una come è stato nella stagione costituente della nostra Repubblica e del nostro Statuto speciale.
In questa situazione, caro Paolo Maninchedda, come e chi proclamerà l’indipendenza della Sardegna agli organi statali nazionali? Cappellacci? E’ lui il Cavour dell’indipendenza sarda? E il nostro Garibaldi chi è? Giacomo Sanna?
No - credetemi - è meglio parlar d’altro. Per lenire il dolore e nascondere la vergogna.

2 commenti

  • 1 Bomboi Adriano
    29 Settembre 2010 - 09:31

    Che ci sia molta oratoria è evidente, tanto quanta indifferenza sociale. Ma quindi stronchiamo sul nascere un discorso istituzionale per coinvolgere proprio l’economia e la società Sarda?

  • 2 Michele Podda
    30 Settembre 2010 - 19:20

    Dico che un blog come questo, seguito credo da tanti lettori, non può esimersi dal trattare un tema così scottante e attuale qual è quello su Autonomia, Statuto e, perchè no, Indipendenza, in occasione del dibattito in Consiglio.
    E giustamente il Direttore interviene, sebbene lo faccia con troppa ironia ed asprezza, e qualche giorno dopo la chiusura di quel dibattito, in tempo comunque per quello sul federalismo, incandescnte anch’esso.
    Dissento alquanto, tanto che ho raccolto delle osservazioni in un breve articolo pubblicato sul blog del Psdaz, Federazione di Cagliari (www.psdaz-cagliari.it,).
    Qui voglio ricordare soltanto che DOVERE degli intellettuali di alta competenza ed esperienza è quello di contribuire in ogni modo a fornire strumenti e informazione al popolo, perchè esso possa essere più consapevole di quanto accade sopra la sua testa, o sulla sua pelle.
    Non è anche questa una funzione di questo blog?

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