Mare nostrum

27 Novembre 2010
3 Commenti


Aldo Lobina

Quando avevo dieci anni d’estate facevo il bagno nel “mare nostro”. “Nostro” era un aggettivo possessivo collettivo - riferito alla mia famiglia e a quella degli amici di mio padre - che nella mia mente di fanciullo identificava il pezzo di spiaggia e il tratto di mare, di tutta la distesa d’acqua fino all’orizzonte, che ospitavano i miei castelli nella sabbia e le prime nuotate. Bastava un’onda e venivi “spiaggiato” ad ammirare le rovine del castello appena costruito. “Nostro” identificava qualcosa che sentivo mio e che non escludeva certamente tutti quelli che godevano della stessa immensa grandezza e bellezza. Sapevo che non era solo mio.
Anche i Romani, che lo dominavano, l’avevano definito “nostrum” e vi esercitavano in pace e in guerra un dominio comunque pubblico. Come i Pelasgi, prima di loro, i cui discendenti albanesi continuano a definire “Mare Ionio”, cioè “Mare nostro” , quello che bagna le loro coste.
Cosa c’entra il mare e la sua appartenenza?
La fruizione ideale e pratica di un bene pubblico, privata nel caso del bambino e statuale nel secondo sono perfettamente compatibili col senso comune.
Nel mare magnum delle Istituzioni esiste davvero la realizzazione di una “concezione proprietaria” viziata, diversa da quelle? O è questa una accusa gratuita e interessata, promossa da minoranze arrabbiate, escluse dall’esercizio del potere? Non bisogna sfuggire a porsi questa domanda e tentare di dare una risposta onesta, guardandosi attorno, a 360 gradi, individuando, se esistono, le stigmate proprie di una pervicace volontà di potere senza spirito di servizio, divisa dal bene comune.
Come non sentire odore di bruciato per leggi, o atti aventi forza di legge, indirizzati a determinare effetti più spesso favorevoli per una persona (o un numero ristretto di persone), alleggerendone per esempio la posizione processuale o concedendo altri vantaggi. Se ne è sentito forte il fumo per esempio nella Legge sulle Rogatorie internazionali, la Legge Cirami, il Lodo Schifani, il Decreto salva – Rete 4, la Legge Gasparri, il Condono edilizio nelle aree protette, la Legge ex Cirielli, la Legge Pecorella, il lodo Alfano e via dicendo. Non potrebbero essere queste legg i “leggi ad personam”, con manifesta taccia di privilegio, ordite senza il senso del diritto, vicine ad un assolutismo regale, senza regole, d’altri tempi? E a proposito di tempi, la stessa tempestività di queste leggi nutre più di un sospetto e denota appunto una concezione e una realizzazione proprietaria, che il padrone di turno persegue in modo spudorato. Forte di un mandato popolare legittimante la sua volontà e le sue voglie e, bontà sua, anche quelle degli amici.
Il simbolo della lega, il Sole delle Alpi, esposto per ogni dove nella scuola di Adro nelle strutture e sulle suppellettili ha quasi la stessa valenza sotto questo profilo.
Una considerazione viene spontanea. Senza addentrarmi da una parte in questioni attinenti alla proprietà privata, che è un diritto sancito dalla Costituzione, che non la demonizza, attribuendole anche una funzione sociale, e senza disquisire dall’altra su quella pubblica, anche perché non ne sarei capace, posso affermare, senza tema di smentita, che certa supponenza e certa prepotenza, anche fuori dalle stesse istituzioni propriamente politiche, confonde il ruolo, cioè la funzione o il “ministerium” con l’esercizio di una proprietà privata di ciò che si è chiamati ad amministrare o a gestire. Penso a come talvolta vengono gestite certe aziende sanitarie o certe cattedre universitarie fino alle mille piccole associazioni, le mille burocrazie con le quali tutti spesso ci scontriamo.
Farti ottenere qualcosa che ti è dovuto, come se fosse un favore, è una delle tante sfaccettature di una condizione di disparità iniqua, che mente appunto un atteggiamento deprecabile. Non condivisibile nemmeno a casa propria, figuriamoci quando il burocrate, il politico, l’insegnante opera in nome e per conto anche nostro.
A ben pensare, neanche noi abbiamo piena proprietà di noi stessi. La nostra stessa vita ci può essere tolta in ogni momento. E’ nella nostra disponibilità finché siamo sani o malati coscienti.
Perché il governo del bene pubblico si dovrebbe affidare ad un Mazzarò che quando è tempo di lasciare la roba non sua strilla: “Roba mia, vientene con me” – come se fosse davvero sua, come se si trattasse di anatre e tacchini da ammazzare a colpi di bastone.
E tu, cittadino, che vai lungo il Biviere della Repubblica, non chiederti per ingannare la noia, di chi è la Repubblica: essa è tua, perché è nostra. Essa è di tutti.
E se, anche nel tuo piccolo mondo, nel tuo Comune qualche Mazzarò in miniatura strilla, fallo tacere: non votarlo. Anche il mare te ne sarà grato, massimamente.

3 commenti

  • 1 Michele Podda
    27 Novembre 2010 - 09:40

    Articolo molto apprezzabile, in cui tocchi quattro temi:

    1. I ricordi d’infanzia, col senso della proprietà comune; “PROPRIETA’” e “COMUNE”, due termini che, nonostante l’apparente contraddizione, come dici tu sono in perfetta sintonia. Termini che forse avevano lo stesso senso fra i nostri AVI NURAGICI, gelosissimi dei propri diritti e proprietà individuali e comuni/collettivi.
    2. L’uso privato della cosa, anzi della FUNZIONE PUBBLICA. L’impiegato che può aiutarti in un tuo diritto o negartelo, il poliziotto che può multarti per una inezia o lasciar correre reati gravi, il ministro che “si” fa, o fa per gli amici, leggi dello Stato, sono tutti aspetti che minano la fiducia del cittadino nelle Istituzioni, spingendolo di fatto ad agire anche lui allo stesso modo, nel suo piccolo. Oltre a ciò l’impunità garantita assesta il colpo finale alla credibilità dello Stato.
    3. La durata del MANDATO ELETTORALE, che solo in teoria può essere sospeso o revocato per gravi motivi, anzi ora si tende a garantire ulteriormente la sua integrità con i vari lodi. Tutti i governi e tutti i politici al contrario dovrebbero annualmente rendere conto del loro operato e sottoporsi al giudizio popolare, o di larghe rappresentanze, che ne approvino la prosecuzione. Scarsa continuità? Pazienza, sempre meglio che subire danni più gravi.
    4. Il tuo invito finale, “NON VOTARLO”, è un pio desiderio che solo “per caso” potrebbe avere effetto, come azzeccare un 6 o un 5+1 al superenalotto. Troppe dovrebbero essere le condizioni concomitanti per rendere davvero efficace il voto, perchè confusione e disinformazione imperanti rendono quasi impossibile il coagulo di voti rivolti a determinare obiettivi comuni. Ho sempre votato e voterò ancora, ma non ci credo molto.

    Almeno che non prendiamo esempio … dai NURAGICI, ANCORA. Insofferenti di comandi unici, erano strutturati (dice qualcuno) in Assemblee rappresentative in cui tutti i villaggi (MAI CENTRI TROPPO GROSSI E INGESTIBILI) alla fine riuscivano ad avere ciascuno la sua porzione di “voce in capitolo”. Così famiglia e parentela costituivano una bella entità, lo stesso il quartiere o vicinato (”su chirru/bichinau nostru”), il villaggio che si confrontava con quello vicino, ma che all’occorrenza si univa in una questione di regione (Barbagia - Ogliastra), per ritrovarsi tutti uniti per questioni estreme, riguardanti l’intera Isola Nostra.
    Se questi “nostri ” giuristi studiassero la cosa, chissà…

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