Benigni immenso, fratelli d’Italia

19 Febbraio 2011
8 Commenti


Gianna Lai

Così dentro una nuvola di fiori,/ che dalle mani angeliche saliva,/ e ricadeva in giù dentro e di fori,/ sopra candido vel cinta d’oliva/ Donna m’apparve sotto verde manto,/ vestita di color di fiamma viva
E’ qui in Dante,  nel Purgatorio, Canto xxx: apparizione di Beatrice. che nasce il tricolore italiano, che la nostra Costituzione solennemente dichiara bandiera della Repubblica. Divina commedia - Costituzione - Risorgimento - Resistenza - Rivoluzionari italiani dell’Ottocento - Rivoluzionari del Novecento - Democrazia fondata sul lavoro da difendere oggi.

Bello, a tratti commovente, lo spettacolo di Benigni l’altra sera al Festival di Sanremo. Di natura squisitamente politica dall’inizio alla fine, sembrava cogliere l’inquietudine dei nostri tempi anche quando i toni si facevano più leggeri, e lo sguardo più ironico e divertito sul mondo, anche quando teneramente si ricordavano i grandi del passato come fossero nostri attualissimi interlocutori. Dire Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, polemicamente rivolto ai nostri governanti che, in nome del liberismo, vogliono fare scempio di questa Italia, ci ricorda la fratellanza come primo vero germe dell’uguaglianza fra gli uomini. Quando i rivoluzionari francesi inneggiavano alla fraternità,  volevano la fine di un regime di diseguali fondato sulla prepotenza del padre sui figli, del sovrano assoluto cioè sui sudditi sottomessi, del vecchio paternalismo autoritario e dispotico sul popolo. Ucciso il padre-sovrano dai rivoluzionari inglesi e francesi, il mondo si poteva ricostruire ora tra pari, tra fratelli, uguali e liberi in nome di leggi e Costituzioni atte a distribuire tra diversi organi il potere prima concentrato unicamente nelle mani del re-padre. Possiamo dire che se la libertà e l’uguaglianza erano, e sono, l’utopia di un mondo a venire per la quale combattere tutta la vita, la fraternità era già, ucciso il sovrano, la pratica di rapporti nuovi in uno Stato nuovo fondato sul reciproco riconoscimento dei cittadini. Fratellanza è più della solidarietà e dell’amicizia, è un sentimento che dà all’egalité e alla liberté  la molla permanente per un’uguaglianza libertaria e una libertà nell’uguaglianza contro un uguaglianza senza libertà ed una libertà senza uguagliamza.  
Nasce nella cultura illuministica e nella civiltà dei diritti la nostra identità di popolo europeo, e per i grandi della letteratura, da Kafka a Svevo, è la morte del padre despota e oppressore che permette al figlio di crescere e di diventare adulto, così come, nella storia, è la rivolta dei figli-fratelli a innescare processi rivoluzionari contro i governi saldamente incarnati dentro la figura paterna.

8 commenti

  • 1 Bomboi Adriano
    19 Febbraio 2011 - 12:36

    Uno spettacolo indecente pagato anche con i soldi dei contribuenti Sardi e delle altre minoranze linguistiche che si sono viste insultare e declassare al rango di dialetti. Per Benigni le minoranze, tutelate dalla stessa Costituzione, possono al massimo arrovellarsi a fare canzonette, ma solo le lingue possono scrivere “la critica della ragion pura” e la “divina commedia”. In più ha confuso il nazionalismo con lo sciovinismo, quando egli stesso ne ha dato prova nel suo discorso. Abbiamo assistito quindi ad un condensato del peggior razzismo ottocentesco (di cui l’inno d’Italia fu apice) a danno di chi non si omologa a quest’assimilazionismo imperante: lo stesso che il Consiglio d’Europa ha ben condannato nelle sue carte a tutela del multiculturalismo. L’aspetto grave è che Napolitano abbia lodato questo fascismo ideologico che a Sanremo ha addirittura sostenuto la presunta italianità (più nazionale che geografica) di Scipione (menzionato nell’inno).

    Mentre in Québec i francofoni chiedono un nuovo sistema radiotelevisivo, a Bolzano anche la provincia autonoma ha chiesto una sede RAI per farne un vero sistema plurale, libero dal mito risorgimentale e seriamente rispettoso della comunità.

  • 2 accasioneri
    19 Febbraio 2011 - 14:28

    bè, levati gli eccessi, sono sostanzialmente d’accordo con bomboi.
    il che non è bello

  • 3 Efis
    19 Febbraio 2011 - 20:08

    Ognuno ha diritto alle proprie opinioni, in una Democrazia. Ha anche il diritto di non sentirsene partecipe e continuare a vivere. Ma criticare il tentativo di celebrare (e quanto ce n’è bisogno, oggi!!) l’anniversario dell’unità d’Italia e di ravvivare quel po’ di senso patriottico che forse cova ancora sotto molta cenere di sogni infranti, è davvero come essere atei e al tempo stesso bestemmiare la Divinità. Ci si può sentire paladini di qualsiasi separatismo (o nazionalismo sardo) e di ogni minoranza linguistica e culturale del Mondo. Ma il buon gusto, il garbo e l’equidistanza, cari miei, sono un dovere di ogni essere umano. Non del sirbone, senz’altro.

  • 4 Bomboi Adriano
    19 Febbraio 2011 - 21:21

    Ciò che dovremmo trovare meno bello forse è il clima di indifferenza col quale dalle nostre parti non si reagisce a come vengono usati i soldi dei contribuenti Sardi in RAI. Paghiamo anni di ritardo culturale in cui la Lingua Sarda è diventata qualcosa di “inutile”, di cui vergognarsi e nascondere.

  • 5 Davide Corda
    20 Febbraio 2011 - 02:13

    Il discorso di Benigni, credo in buona fede è assolutamente contraddittorio con la realtà dei fatti: il “Canto degli italiani” divenne l’ inno ufficiale solo nel 1946, ovvero alla proclamazione della Repubblica.
    L’ inno regnicolo era “Cunservet Deus su Re”, in lingua sarda, dei sardi Angius e Gonella.
    Con buona pace di Benigni, anche i supposti dialetti possono quindi essere di pubblica utilità.

  • 6 Maurizio Feo
    20 Febbraio 2011 - 11:45

    Una democrazia permette il dissenso. Quindi si può essere in disaccordo ANCHE con Benigni e la Rai. Specialmente nel merito della protezione di alcuni punti particolari di principio, irrinunciabili, come quelli sottolineati dal sig Bomboi. Ma credo - per equidistanza - si debba osservare che Benigni non “operava” certo da politico programmatico demandato dal governo, bensì come uomo di spettacolo, e in prima persona. Ha certamente commesso alcuni errori (i più gravi dei quali sono altri, passati sotto silenzio), ma ha il merito di avere riportato l’attenzione, nelle case italiane, per un inno sul quale si erano ormai stratificati molto spirito fuori luogo e molta indifferenza. E tutto considerato, lo ha fatto con un certo garbo e con grazia. Criticarlo è lecito, quindi, ma senza troppo inelegante astio.
    Sono certo che - interpellato di persona - non sarebbe insensibile alle istanze delle minoranze etnico-linguistiche: ma in fondo non erano quelle il tema della serata. “Noi siamo da secoli calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi”, in fondo - con le debite distanze, si adatta in parte anche alla Sardegna, o sbaglio?

  • 7 Maurizio Feo
    20 Febbraio 2011 - 16:00

    Pubblicate proprio tutto, democraticamente, eh?

  • 8 Michele Podda
    21 Febbraio 2011 - 17:08

    Se si lasciano da parte i luoghi comuni, bisogna ammettere che:
    - La performance di Benigni è stata un po’ meno divertente (noisetta direi) ma più “innovativa e ricca di contenuti” di altre volte. Che gli italiani si sentano orgogliosi di essere tali è giusto quanto lo è per noi sentirci orgogliosi di essere sardi.
    - Il discorso è lungo e complesso, ma per secoli da Dante a Manzoni il senso di patria e nazione ha generato opere di alto valore artistico e morale.
    - Dopo tanta vergogna, un sussulto di sano patriottismo alla sua maniera (di Benigni) ci voleva pure.
    Mi trovo dunque sostanzialmente d’accordo con Feo per quanto riguarda Benigni, non certo sulla RAI.

    Caro Bomboi, prima di prendercela con gli altri, dovremmo acchiappare ben bene i nostri “politici e responsabili regionali” sulla questione della lingua sarda e della nostra CULTURA in generale.

    Infine non ho ben chiaro il senso del secondo ntervento di Feo.

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