Riflessioni sull’epoca del Cavaliere

12 Luglio 2011
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Gianluca Scroccu

Diceva Giorgio Gaber: “Non temo Berlusconi in sé ma Berlusconi in me“. E in effetti il grande cantautore milanese aveva colto un elemento centrale del potere dell’attuale Presidente del Consiglio, e cioè il suo essere un fenomeno al di là della sua stessa persona. Perché l’uomo che ha così potentemente condizionato gli ultimi diciotto anni della vita pubblica italiana, senza dimenticare il periodo precedente in cui edificò il suo potere televisivo, è davvero destinato a diventare oggetto di analisi come fenomeno storico dotato di una sua fisionomia, una sua cultura e un suo modo di rappresentare i tempi. Certo non in maniera sistematica, ma in grado di interpretare tensioni e orientamenti propri della società italiana capaci di suggestionare anche la sinistra, ad esempio con l’esasperata personalizzazione della politica o il condizionamento del mondo dell’informazione. Ecco perchè già oggi, quando la sua stella appare in declino dopo l’ultima tornata amministrativa e i referendum, è forse possibile iniziare a riflettere sulla sua figura in maniera scientifica. Ci hanno provato gli autori del volume Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere (Laterza, € 16, pp. 254) curato da Paul Ginsborg, professore di storia dell’Europa contemporanea dell’Università di Firenze, e la giovanissima ma già apprezzata storica di origine cagliaritana Enrica Asquer. Il libro, che raccoglie gli atti del convegno omonimo organizzato da Libertà e Giustizia nel capoluogo toscano nell’ottobre 2010, ha il merito di riflettere nel concreto sulla genesi e la fenomenologia berlusconiana. Gli autori dei saggi tra cui, oltre i curatori, si possono citare Gustavo Zagrebelsky, Marco Revelli, Giovanni Gozzini, Guido Melis, Gabriele Turi, Gianpasquale Santomassimo, Antonio Gibelli, Amalia Signorelli, non sono certo tra i sostenitori dell’attuale Presidente del Consiglio. Sbaglierebbe, però, chi pensasse di trovarsi di fronte ad un libello meramente antipremier perché il tratto che emerge dalla gran parte dei contributi vuole analizzare seriamente il berlusconismo, ritenendolo dotato di elementi distintivi concreti e di una sua precisa fisionomia politica, a partire dalla categoria del patrimonialismo. Si spazia così dall’analisi del retroterra della sua ascesa a partire dagli anni Ottanta, un decennio oggi al centro di una feconda stagione di studi, all’universo dei centri culturali nati per supportare l’ideologia del fondatore di Mediaset. Per arrivare al rapporto con la Chiesa Cattolica e ai cambiamenti della società italiana in questi ultimi decenni, caratterizzati dall’emergere di una marcata tendenza individualista, irrorata da una ricezione acritica del sistema dei beni di consumo su cui la cultura berlusconiana ha saputo agire in maniera decisa e proficua e che sembra destinata a restare al di là della parabola politica del Presidente del Consiglio. Centrali, sotto questo aspetto, le modificazioni impresse sul ceto medio, diviso tra chi rifiuta in maniera assoluta quella che giudica una deriva populista e chi invece si identifica nel messaggio mediatico berlusconiano, condividendo l’insofferenza verso le regole e l’acquiescenza verso un modello culturale come quello impostosi con la rivoluzione neoliberista. Importanti sono anche i contributi che dimostrano come gli anni berlusconiani abbiano portato ad un’alta conflittualità, assimilabile ad una concezione calcistica della politica che divide in tifosi dell’uno o dell’altro schieramento, forse anche superiore rispetto a quella della Prima Repubblica dove pure c’era un minimo comune denominatore nonostante la Guerra Fredda. Berlusconi si pone in questo senso in una condizione di alterità rispetto alla classe politica del passato, utilizzando anche i canoni di quella che viene definita una personale neolingua, per cui chi lo avversa è necessariamente un nemico. In questa cornice trovano spazio i suoi problemi giudiziari e la devastante conflittualità con la magistratura, ma anche la rappresentazione spregiudicata del corpo femminile come mero oggetto sessuale e merce da vendere in tv o da utilizzare nelle logiche di potere rette dallo scambio tra potente e sottoposto. In sostanza, dal libro emerge il profilo di quello che i curatori definiscono un “populismo culturale” espresso anche sul piano dell’estetica e della valorizzazione di stili di vita resi popolari dalle tv e questo mentre la società, al di là delle rappresentazioni mediatiche e delle favole dei reality, si impoverisce e si polarizza. Il berlusconismo si segnala quindi come un’esperienza politica frutto dell’intreccio tra nuovo e vecchio con cui, lo vogliamo o no, dobbiamo e dovremo fare i conti anche nei prossimi anni.

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