Costo dei politici e rimedi… (im)possibili

18 Luglio 2011
1 Commento


Andrea Pubusa

 

Se si pensa alla dilagante disoccupazione e sottoccupazione oppure al fatto che persone con quarant’anni di lavoro prendono spesso non più di 800 euro di pensione, le indennità e il vitalizio dopo pochi anni di legislatura sembrano scandalosi.  Le notizie di stampa di questi giorni segnalano, dunque, un’esigenza certamente sentita. Ma, per scongiurare facili demagogie, occorrere articolare l’analisi e le risposte in varie direzioni. Ecco le questioni essenziali.
La prima riguarda l’entità del trattamento. Personalmente sono sempre stato contro l’idea del parlamentare o del consigliere regionale con “le pezze in culo”.  Tuttavia, l’ammontare dell’indennità di carica è ormai slegato da qualunque relazione di congruità con la funzione. Non è necessario al dignitoso svolgimento dei compiti del consigliere regionale un compenso così alto, basta la metà o poco più. Semmai dovrebbero rinforzarsi le strutture consiliari di supporto all’attività legislativa.
E il vitalizio? La questione riguarda i consiglieri regionali e i parlamentari nazionali ed europei. Ho sempre pensato che questa sia una disciplina ingiusta e volta a creare odiosi privilegi. Ma c’è un’alternativa? Penso di sì, credo ci si possa ispirare alla legge Bacchelli, ossia a quella legge che prevede un sussidio per i letterati ed artisti in povertà, senza adeguata pensione di vecchiaia. Anziché prevedere un vitalizio per tutti, occorrerebbe limitarlo a quelli ultrasessantacinquenni bisognosi, equiparandolo al trattamento pensionistico di un buon funzionario. In altri termini, se l’ex parlamentare o l’ex consigliere regionale hanno di loro un adeguato trattamento pensionistico (poniamo 2.500 euro) non avranno alcuna integrazione. Se, invece, hanno maturato una pensione inferiore, avranno diritto all’integrazione fino al limite massimo di 2.500 euro.
E’ sempre una disciplina di favore, ma l’abbattimento dei costi sarebbe considerevole. Si tratterebbe sopratutto di una disciplina accettabile.  
Infine, ma non meno importante: quale organo deve deliberare i trattamenti? Credo che il difetto del sistema stia proprio qui: sono gli stessi beneficiari a decidere i compensi. Si dovrebbe pensare invece a istituti della democrazia partecipativa. Un’assemblea di elettori estratta a  sorteggio e senza compenso potrebbe essere l’organo adatto a deliberare sui compensi ai consiglieri, che il Consiglio regionale dovrebbe solo proporre. L’assemblea sorteggiata ogniqualvolta c’è una proposta di variazione del compenso dovrebbe lavorare pubblicamente e in modo immediato e molto semplice: approvando o rigettando le proposte, senza possibilità di apportare emendamenti.
Ecco questo dei consiglieri che si deliberano il compenso è un conflitto d’interessi che una seria legge statutaria o lo Statuto speciale stesso dovrebbero risolvere. Ma chi mai farà questa proposta? Ci si può provare con  una proposta di legge popolare. Ma poi chi l’approverà? Comunque, la questione è in campo. Bisogna allargare l’iniziativa e farla divenire un punto programmatico di un più vasto movimento di riforma delle istituzioni, ormai completamente mortificate e screditate.  

 

 

 

 

1 commento

  • 1 Cristian Ribichesu
    18 Luglio 2011 - 08:55

    Il problema sta nel fatto che si deve diventare rappresentanti politici per un breve tempo, e non rappresentanti politici di professione. Un contributo per un breve periodo della propria vita per la gestione della cosa pubblica. Inoltre, altro aspetto, come dicevo da tempo e come leggo anche qui, è che esiste un conflitto di interessi se l’eletto deve decidere sulle proprie retribuzioni: è giusto quindi che sia la gente comune, anche con formule referendarie, a indicare le retribuzioni del ruolo di politico eletto,ovviamente garantendo stipendio congruo e spese, e nel caso garanzie per la pensione. In realtà, a mio parere, la Costituzione indica anche in questo una misura, quando recita all’art. 36 “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.” In questo esistono numerosi studi e dati su quantità e qualità della politica odierna, nazionale e regionale, e certo non possono essere i pochi virtuosi a fare la regola. Se l’articolo vale per ogni prestazione ritenuta lavoro, considerando, poi, che la stessa politica ha prodotto leggi che vanno ad incidere sulla ricchezza e i redditi di molte altre centinaia di migliaia di lavoratori italiani, non vedo perchè proporzionalmente non vi debbano essere riduzioni di retribuzioni o privilegi degli eletti, ma come già scritto, sono problemi che dovrebbero essere risolti con formule di coinvolgimento popolare, anche referendarie.

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