Serge Latouche: la decrescita e…. il protezionismo!

20 Settembre 2011
1 Commento


Rosamaria Maggio

Piazza San Sepolcro è gremita di gente per ascoltare George Latouche su “Economia – Scommessa e provocazione per una felice decrescita”.
Latouche è noto per la sua teoria della decrescita serena (Breve trattato sulla decrescita serena - Bollati Boringhieri), che per lui non è “la crescita negativa ma l’idea di un progetto alternativo per una politica del doposviluppo”. Insomma, lo studioso francese propone di uscire dalla tossicodipendenza dalla crescita in quanto fondata sull’accumulazione illimitata. Non sviluppo sostenibile in quanto ad essere messa in discussione è proprio l’idea di sviluppo in quanto la sovracrescita economica si scontra con la finitezza della biosfera.
La capacità rigeneratrice della terra non riesce a seguire la domanda. La teoria della decrescita è per Latouche sì una utopia, ma nel contempo una fonte di speranza.
Il circolo virtuoso della decrescita si fonda sul alcuni obiettivi ,  precisamente otto, anche se  ne ha esposto solo quattro.
Essi sono Rivalutare, Riconcetualizzare, Ristrutturare , Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare , Riciclare.
Rivalutare inteso come sostituire ai vecchi nuovi valori come l’altruismo, la collaborazione, il piacere per il tempo libero (lavorare meno -lavorare tutti!), il locale sul globale, ecc.
Riconcettualizzare, e cioè sostituire un altro modo di vedere la realtà, per es. ripensare i concetti di ricchezza e povertà, rarità e abbondanza.
Ristrutturare l’apparato produttivo ed i rapporti sociali al cambiamento dei valori.
Redistribuire le ricchezze tra classi, generazioni ed individui.
Rilocalizzare producendo in massima parte i prodotti necessari a soddisfare i bisogni delle popolazioni a livello locale.
Ridurre l’impatto sulla biosfera.
Riutilizzare e riciclare i rifiuti.
Affascinante! Però alcune affermazioni mi hanno lasciata perplessa.
Latouche ipotizza alternative ad un sistema economico che ormai appare fallimentare come il capitalismo. Già il collettivismo era stato liquidato dai più come incapace di creare benessere per tutti compatibilmente con il rispetto delle libertà fondamentali. Il capitalismo è un sistema economico che ha creato grandi ricchezze e benessere per un terzo della popolazione mondiale utilizzando i due terzi delle risorse disponibili.
La crisi economico -finanziaria mondiale porta tutti verso la necessità di un cambiamento.
C’è chi pensa di cambiare per mantenere comunque i livelli di profitto e di benessere immutati e per pochi e chi pensa come Latouche, ma non solo, ad un cambiamento radicale.
E su questo d’accordo.
Piuttosto l’evoluzione del suo pensiero così come esposto l’altra sera ha lasciato me, ma, credo, anche gran parte del pubblico, delusi o perplessi.
Le soluzioni prospettate appaiono, a mio avviso, fortemente eurocentriche e non tengono conto del cosiddetto sud del mondo. Riproporre soluzioni come il Protezionismo, mi è sembrato fortemente anacronistico, inefficace e pericoloso. Il fatto che un paese possa promuovere una politica di Rilocalizzazione non comporta che ogni paese possa essere autosufficiente e questo esclude di per sé la praticabilità del protezionismo.
Inoltre mi è sembrata una soluzione egoistica che non tiene conto del resto del mondo,  quello più sventurato, che non è mai arrivato alla necessità di Rivalutare e Riconcettualizzare la sua società.
Ci sono paesi che fondano certamente i loro valori su un sistema di vita più parsimonioso del nostro per il semplice motivo che le proprie disponibilità sono modeste ed al limite della sussistenza. Come potremo proporre un ragionamento di questo tipo ad esempio ad alcuni paesi africani dove si sopravvive con un dollaro al giorno!?
Mi è sembrato fortemente discutibile anche il discorso sull’abolizione dell’euro ed il ritorno alle monete nazionali. Non a caso alcuni partiti populisti anche in Francia avallano queste posizioni.  Non voglio ricordare le ragioni che ci hanno condotto all’adozione di una moneta unica europea in un area di liberi scambi di beni, persone e mezzi finanziarii e gli innegabili vantaggi in termini quantomeno di pagamenti internazionali anche in aree non euro.
Ricordo che lo stesso John Maynard Keynes ipotizzò l’uso di una moneta unica, almeno come moneta di conto, per risolvere i problemi dei pagamenti internazionali . La questione si risolse con gli accordi di Bretton Woods in cui prevalse una idea più conservatrice, quella dell’economista White che propose quello che divenne il sistema dei pìgamenti internazionali e cioè un sistema di cambi fissi ancorati al dollaro, perchè a quei tempi l’idea di una moneta unica ancorchè di conto, era troppo avanzata (1944).
L’idea di Latouche dal mio punto di vista rinchiuderebbe i singoli Stati in un nazionalismo egoistico e rischioso. In un momento in cui le forze dell’economia, nel bene e nel male, ci spingono a fare i conti con gli altri, dovremmo avere il coraggio di raccogliere le sfide di una globalizzazione in positivo che, nel rispetto delle identità e specificità locali, sappiano conciliare la necessità di ridurre lo sfruttamento delle risorse mondiali e la necessità di redistribuire la ricchezza anche fra chi mai ha avuto accesso a questa ricchezza.
E per far questo l’economia deve essere regolata e nei tempi della economia globale solo un patto di limitazione di sovranità nazionale in favore di organizzazioni internazionali democratiche potrebbe, dal mio punto di vista, metterci al riparo dal rischio non solo delle speculazioni finanziarie alle quali stiamo assistendo, ma anche di altri conflitti mondiali questa volta non per controllare le risorse ma, come dice Giulietto Chiesa, per sterminare quella parte di umanità che è incompatibile con il mantenimento di questo alto livello di consumi del cosiddetto occidente. Ma anche questa, mi rendo conto, è utopia!

1 commento

  • 1 Adriano Bomboi
    20 Settembre 2011 - 15:59

    Buongiorno,

    Anchio non condivido l’ipotesi di un ritorno alle divise nazionali su base protezionistica. Un rischio che comunque la Comunità internazionale sta cercando di evitare, essendo noti i benefici di una divisa unica ed in particolare in una delle aree più ricche del pianeta quale è l’Europa. Il discorso di Giulietto Chiesa è oggettivamente campato per aria e fa leva sul sensazionalismo popolare, basti pensare che ha sostenuto l’ipotesi di un conflitto tra Cina e occidente senza considerare che proprio la Cina è uno dei maggiori acquirenti dei titoli pubblici occidentali e non converrebbe a nessuno (nè alla Cina, nè all’occidente), perché nessuno avrebbe interesse a danneggiare il mercato verso il quale vende/compra i rispettivi prodotti (dal settore primario al terziario). Ma paventare organismi sovranazionali capaci di ridurre le disparità nel mondo non significa giocoforza che si debbano limitare le attuali prerogative della sovranità nazionale, perché è proprio quest’ultima a garantire i livelli minimi indispensabili di rappresentatività delle minoranze in un mercato estremamente competitivo (nonostante uno dei futuri possibili dell’economia mondiale sia il regionalismo tra produzione e consumo). Per fare un esempio che ci riguarda direttamente come Sardi, basti pensare che l’assenza di sovranità della Sardegna oggi ci impedisce di tutelare e avere voce in campo economico su diversi settori: pensiamo alla concreta assenza a Bruxelles per quanto riguarda l’agricoltura. O pensiamo ai limiti nei trasporti, nell’amministrazione diretta della fiscalità, ecc. Servono certamente nuove regole a livello internazionale, senza ritornare ad un obsoleto protezionismo ma anche senza comprimere ulteriormente i già esigui spazi di sovranità che proprio minoranze come quella Sarda pagano in termini di benessere.

Lascia un commento