Per uscire dalla crisi più Stato e meno liberismo

10 Novembre 2011
1 Commento


Andrea Pubusa

Non sono un economista. Capisco, a mala pena qualcosa di diritto (che, peraltro, sto dimenticando), però una cosa voglio dirla. La ricetta del FMI e della BCE non potranno che creare recessione. Com’è possibile che la Grecia si riprenda col 30% dei licenziamenti nel pubblico impiego, la drastica riduzione degli stipendi e delle pensioni? Che bella euforia si è creata in quel Paese! E in Italia, sarà lo stesso. Ma chi può essere così folle da credere che coi licenziamenti facili ci sarà la ripresa? Questa si accompagna alle assunzioni facili, cioè all’incremento dell’occupazione, che non può che conseguire alla ripresa dei consumi, della spesa nei servizi pubblici e nelle infrastrutture essenziali.
Ricordate, dopo la grande depressione del ’29, che mise in ginocchio gli USA, il New Deal? Nei primi cento giorni della Presidenza Roosevelt vennero emanati importanti provvedimenti:
l’Emergency Banking Act che, fra l’altro; ha assoggettato le banche al controllo dell’amministrazione federale;
l’istituzione della Federal Deposit Insurance Corporation che assicurava tutti i depositi bancari sino a 2.500 $;
la sospensione del gold standard che comportò la svalutazione del dollaro e rese possibile il ricorso all’esportazione delle merci come sbocco per la sovrapproduzione statunitense;
l’Economy Act che introdusse il bilancio federale di emergenza;
Altre importanti misure furono:
l’istituzione della Tennessee Valley Authority, agenzia che impiegò milioni di disoccupati nella costruzione di imponenti dighe al fine di sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee;
l’istituzione della Work Progress Administration, altra agenzia governativa che gestiva la realizzazione di importanti opere pubbliche;
l’approvazione del Wagner Act che sanciva il diritto di sciopero e della contrattazione collettiva;
l’approvazione del National Industrial Recovery Act che imponeva l’adozione per ogni azienda di un codice di disciplina produttiva limitando la sovrapproduzione, rinunciando al lavoro nero e a quello minorile. La legge prevedeva inoltre dei minimi salariali;
l’approvazione del Social Security Act che istituiva un moderno Welfare state di cui i lavoratori statunitensi erano stati sino ad allora sprovvisti.
Roosevelt intraprese anche una riforma del sistema fiscale ed in particolar modo delle imposte dirette. Venne così modificata l’imposizione progressiva aumentando le aliquote per i contribuenti più ricchi.
L’opposizione dei gruppi finanziari e del conservatori fu durissima. Nel 1935-1936 anche la Corte Suprema dichiarò incostituzionali diversi provvedimenti del New Deal. La critica di fondo era di un’eccessiva statalizzazione nel paese più liberale del mondo. Ma i risultati e il riassorbimento delle sacche di forza lavoro rimasta disoccupata crearono un grande consenso intorno al Presidente e una vasta mobilitazione nel Paese. Il metodo keynesiano, il suo approccio pragmatico all’evento ridiedero spinta ad un paese giunto quasi sull’orlo del tracollo.
Ora, a me pare che questa sia la via da seguire, che è del tutto opposta, a quella imposta dalla BCE, dal FMI, dalla Francia e dalla Germania, preoccupati solo di assicurare il recupero del debito da parte delle loro banche. Il problema centrale sono i milioni di disoccupati. E da qui che bisogna partire, creando occasioni di lavoro di massa, attraverso programmi di intervento pubblici: la riqualificazione del territorio, il rilancio dei servizi, dalla scuola, alla sanità, alla giustizia, all’amministrazione. Riqualificare il patrimonio pubblico, non svenderlo. Ci vuole più Stato e meno privatismo. Si dirà, ma le risorse? Non ci sono le risorse. Qui la riforma fiscale e la decisa revisione di tutte le spese inutili e delle sacche vastissime di privilegio possono liberare migliaia di miliardi. Basta leggere il libro sulla Casta di Stella e Rizzo o quello sui Costi della democrazia di Salvi e Villone per avere le prime utilissime indicazioni.
Infine, la mobilitazione dei lavoratori tramite i sindacati contro la vulgata che è il lavoro la palla al piede del Paese.
Così fece Roosevelt una volta in America. Così dobbiamo fare noi oggi. Le altre sono tutte vie verso il suicidio o meglio verso il massacro ulteriore dei ceti popolari e medi. Con cupi possibili risvolti politici autoritari, di cui si intravedono già i segnali, a partire proprio dalle istituzioni di comando europee e mondiali.
Ed allora? Bene, anzi benissimo la caduta del Cavaliere, che però – si badi - non è stato ancora disarcionato. Appiedarlo al più presto è necessario, ma non basta. Occorre che chi verrà dopo di lui rinegozi con le istituzioni europee un piano di ripresa, che abbia al centro non le esigenze dei grandi gruppi finanziari e bancari, che hanno prodotto la crisi, ma i cittadini e il mondo del lavoro. In questa direzione il New Deal roosveltiano può insegnare ancora molto. Anzi è l’unico esempio di uscita dalla Grande depressione a sinistra. In Europa si uscì col nazismo e il fascismo.

1 commento

  • 1 Ego
    2 Dicembre 2011 - 16:01

    Il debito pubblico greco (le cifre fanno sorridere) era solamente di 340 miliardi di euro..avendo voluto, non ci sarebbe stato nessun problema.
    Invece, per soddisfare l’appetito primordiale dei popoli teutonici e franchi (e per avere il terreno spianato alle elezioni successive) sono state fatte varare delle misure, che dovrebbero chiamarsi cappio.
    Il problema è che, la Grecia, ha un’ economia troppo debole, ed un’alta corruzione.
    Qui bisogna intervenire, e sulla crescita!
    Per quanto riguarda il nostro triste Paese, il discorso è diverso.
    Abbiamo un’economia tra le più forti al mondo, alcuni dei migliori cervelli, e primeggiamo in tantissimi campi.
    Ma cosa ci frena?
    Come evidenziato sia nella ” Casta” di Rizzo e Stella (Le segnalo SOLDI RUBATI- di Nunzia Penelope) il nostro problema sono sprechi, corruzione, evasione fiscale, mafia (che secondo qualcuno non esiste), costi della politica, conflitti di interessi.
    Riducendo due o più di questi parametri, potremmo evitare di penalizzare il 99%, che, a dicembre 2011, ormai non ce la fa più.

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