Perché non torniamo al proporzionale?

26 Novembre 2011
1 Commento


Luigi Ferrajoli

Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato, come stimolo alla riflessione sulla nostra democrazia, uno scritto di Ferrajoli di critica serrata al bipolarismo, i cui disastri sono sotto i nostri occhi in questi giorni. Torniamo sull’argomento oggi con un altro scritto (tratto da “Poteri selvaggi, Laterza, 1911) dello stesso autore sui pregi del sistema proporzionale, ricordando che nella locomotiva dell’Europa, la Germania, esiste un sistema proporzionale, con soglia di sbarramento al 5%. Un correttivo, questo, che ai pregi del proprorzionale aggiunge quello di favorire un’aggregazione delle forze minori.  

In primo luogo, a tutela dell’uguaglianza in quello specifico diritto fondamentale che è il diritto di voto e contro le tentazioni e le derive populiste che sempre insidiano la democrazia politica, si richiede una riforma elettorale in grado di rifondare la rappresentatività del sistema politico. La legge elettorale n. 270 del 21.12.2005, è stato uno dei principali fattori di dissoluzione della rappresentanza popolare. Oltre alla nomina dei parlamentari da parte di un piccolo numero di capi-partito, essa prevede infatti un forte premio di maggioranza ed alte soglie di sbarramento per le minoranze, il cui effetto è quello di falsare totalmente il risultato delle elezioni. Stabilisce, precisamente, l’assegnazione del 55% dei seggi della Camera alla maggioranza relativa, cioè alla maggiore minoranza’, e l’esclusione dal Parlamento delle forze politiche le cui liste non raggiungano da sole il 4 % dei suffragi. In questo modo può accadere che la lista di maggioranza relativa raggiunga per esempio il 30% dei voti, equivalente, se si tiene conto delle astensioni, a poco più del 20% degli elettori, e ottenga tuttavia una maggioranza assoluta di seggi così massiccia da essere accreditata dalla propaganda come espressione del «popolo sovrano».
Il solo precedente di una simile truffa è la legge Acerbo n. 2444 del 18.11.1923, poi confluita nel testo unico n. 2694 del 13.12.1923, che consegnò il potere a Mussolini: essa preve-deva l’assegnazione dei due terzi dei seggi (356 contro 179) alla lista che avesse ottenuto il maggior numero di suffragi, purché in numero superiore al 25% dei voti (anziché al 10% richiesto dalla legge attuale).
Una riforma democratica di questo assurdo sistema dovrebbe in primo luogo impedire, attraverso uno specifico divieto, l’indicazione anche nelle schede elettorali, prevista dalla legge attuale, del nome del capo della coalizione. Questa banale e sciagurata operazione, consistita nell’assumere il nome del capo come simbolo e messa in atto da quasi tutti i partiti italiani, è stata un fattore non secondario della personalizzazione della politica, della trasformazione dei partiti in comitati elettorali del capo e, soprattutto, della deriva populista della nostra democrazia: al punto da essere invocata a sostegno di quella pretesa modifica sostanziale del sistema costituzionale che sarebbe consistita nell’identificazione della scelta di una maggioranza con la scelta di un capo quale espressione della volontà popolare e che, come si è visto, consente di gridare al «colpo di Stato» in presenza di qualunque possibile soluzione parlamentare delle crisi di governo.
Ma soprattutto occorrerebbe reintrodurre il metodo elettorale proporzionale, a garanzia del sistema parlamentare tuttora disegnato dalla Costituzione del 1948. Soltanto la democrazia parlamentare basata sul metodo proporzionale, favorendo lo sviluppo dei partiti e, per il loro tramite, la rappresentanza di interessi sociali e di opzioni politiche diverse e tra loro in virtuale conflitto, è idonea a garantire il pluralismo politico. Sotto questo aspetto, essa è una condizione necessaria della rappresentatività dell’intero elettorato, e non solo di maggioranze più o meno fittizie, e il più sicuro antidoto alle fallacie ideologiche e alle involuzioni organicistiche, populistiche e monocratiche della rappresentanza generate invece dalla sua verticalizzazione e personalizzazione nei sistemi variamente maggioritari, bipolari e presidenziali. Solo il metodo proporzionale è infatti in grado di rappresentare la pluralità delle opinioni politiche, la diversità degli interessi e i conflitti di classe che attraversano l’elettorato: in breve la complessità della società, il cui riconoscimento e il cui rispetto formano i presupposti elementari della democrazia politica. Per questo, come scrisse Kelsen, «il sistema della rappresentanza proporzionale costituisce la maggiore approssimazione possibile all’ideale dell’autodeterminazinne in una democrazia rappresentativa e quindi il sistema elettorale più democratico».

1 commento

  • 1 Marilisa Zaccheddu
    27 Novembre 2011 - 23:55

    Ci riappropriamo con qualche anno di ritardo di Kelsen!!!!!

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