Lucio, un comunista moderno, eretico e progettuale

30 Novembre 2011
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Tonino Dessì

Nell’immaginario di chi ha trascorso il periodo più importante della formazione e della prima maturità, quello tra i quindici e i venticinque anni, “a pane e Manifesto”, Rossana Rossanda e Luigi Pintor erano come degli archetipi genitoriali, simili ai padri o agli zii che avevano vissuto il ventennio, la guerra, la liberazione, poi la ricostruzione e le lotte operaie e democratiche dell’immediato dopoguerra e degli anni ‘50 e ‘60; erano personalità che venivano dalla storia remota del comunismo italiano. Lucio Magri, almeno ad alcuni di noi, appariva piuttosto come un fratello maggiore, quello che avremmo voluto essere, un comunista moderno, non solo critico, ma anche progettuale, proiettato verso quello che per noi era il futuro. E’ quella parte della mia giovinezza, non solo politica, che se ne va con lui, che per tanti anni ci parlò della “maturità del comunismo” e della possibilità di “uscire non dalla crisi, ma dal capitalismo in crisi” in una fase ormai prossima della storia contemporanea. Io penso che a quella possibilità ci abbia creduto veramente e che la sconfitta di quella possibilità e la polverizzazione dei soggetti sociali e politici che avrebbero dovuto sorreggerla abbiano segnato duramente l’ultima parte della sua esistenza e immagino che non siano state ininfluenti sulla sua decisione finale, quella di andarsene, dalla vita. Una decisione che mi lascia sgomento, per la ferma determinazione e per la modalità apparentemente neutra con la quale Lucio Magri l’ha praticata, ma per la quale sento sinceramente di provare un grande rispetto.

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