Il governo Monti e l’Autonomia

13 Dicembre 2011
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Andrea Raggio

A un anno di distanza la sessione straordinaria del Consiglio regionale dedicata allo Statuto ha partorito solo un diversivo, la proposta del taglio del numero dei consiglieri. Intanto la situazione economica e sociale è precipitata e la crisi mondiale ha assunto in Europa ampiezza e acutezza tali da mettere in discussione l’euro e da scuotere le stesse fondamenta dell’Unione europea. E’ in questa realtà che occorre calare oggi il dibattito sullo Statuto.
La grave crisi mondiale non deve indurre al catastrofismo. Se davvero la crisi fosse desinata a cronicizzarsi, avrebbe poco senso discutere di Autonomia. Invece ha senso perché dalla crisi è possibile uscire e si dovrà inevitabilmente uscire con l’avvio di un nuovo modello di sviluppo e con nuovi stili di vita. In questa direzione premono la fragile salute fisica del pianeta e la salute sociale altrettanto fragile dell’umanità. La stessa considerazione vale per l’Europa: o si disfa o si fa. Se si disfa, non è per niente vero che gli Stati nazionali recupereranno, con le vecchie monete, la piena sovranità. Si troveranno, invece, tutti più deboli. Occorre, perciò, riprendere rapidamente il cammino, del quale la moneta unica era solo una tappa, verso l’unità economica e politica. Le decisioni recenti della Conferenza di Durban sul clima e del vertice UE di Bruxelles, ancorché ancore timide, guardano a questa prospettiva.
Solo in quest’orizzonte la Sardegna può costruirsi un futuro di sviluppo. Il punto dipartenza è però drammaticamente debole: l’emergenza che stiamo vivendo. Bisogna intervenire su di essa per dare risposte immediate alla domanda sociale e per saldarla alla prospettiva. Il governo Monti si è assunto la responsabilità del difficile compito di far fare all’Italia un passo in questa direzione, portandola fuori dal pantano in cui è stata trascinata. Le misure adottate sono, però pesanti, poco eque e scarsamente finalizzate alla crescita. Si poteva fare meglio? Certo, infatti qualche miglioramento si sta apportando. Il giudizio sul lavoro fatto e sui cambiamenti possibili deve, però, tener conto sia dell’esigenza di intervenire con urgenza, sia del fatto che il Governo è retto da una maggioranza anomala, politicamente eterogenea e divaricante, scossa da spinte diverse e opposte, minata da tendenze ricattatorie. Anche quest’anomalia è eredità della precedente maggioranza berlusconiana la quale non solo si è dimostrata incapace di contrastare l’emergenza dopo aver contribuito a determinarla, ma ha impedito, con la forza dei numeri in Parlamento, la formazione di una maggioranza diversa. Se non ci fosse stata l’iniziativa pressante del centrosinistra e quella del Presidente Napolitano saremmo ancora all’immobilismo berlusconiano, allo sfascio totale. L’attuale anomalia politica potrà essere superate solo dagli elettori alla prossima occasione.
Intanto occorre sostenere criticamente lo sforzo di risanamento del Governo, perché questa è la premessa per la ricostruzione del Paese. Sostegno critico non vuol dire rassegnazione, limitarsi ad alzare il tono della denuncia, vuol dire lotta. E’ quel che sta facendo il centrosinistra in Parlamento e il sindacato nel Paese. Vuol dire partecipazione alle decisioni regionali, nazionali ed europee, assunzione di responsabilità a tutti i livelli. Ecco perché la riforma statutaria oggi deve tendere principalmente alla trasformazione della Regione da Ente neo-centralistico in ordinamento di autonomie e di partecipazione.
Continuare a discutere è importante, ma non basta. Non dobbiamo stare ad aspettare Godot. Occorre una forte iniziativa che prema sul Consiglio regionale per smuoverne il torpore. E occorre, in attesa della riforma, esplorare i margini di azione degli ordinamenti vigenti ancora non interamente sfruttati. L’Autonomia, infatti, è non solo Statuto ma anche il modo in cui è sentita ed è vissuta dalla collettività. Nei primi decenni l’Autonomia è stata rivendicazione verso lo Stato e impegno volto a finalizzare la crescita economica al progresso sociale. E’ stata vissuta dall’intero popolo sardo come una grande prova di democrazia. Nei decenni successivi, di fronte al rallentamento della crescita economica, è stata invece vissuta prevalentemente in chiave difensiva: Regione come fortezza a difesa degli assalti della globalizzazione, l’identità come rifugio. Ai falsi miti del decisionismo, dell’efficientismo, della governabilità coatta, abbiamo pagato il prezzo di una minore vitalità democratica della Regione. Abbiamo subito persino il presidenzialismo regionale, ieri vestito di sardità, oggi di subalternità – la Regione amica del Governo amico.
Oggi molte cose stanno radicalmente cambiando e al passato non si tornerà. Sono maturi i tempi per una nuova fase dell’Autonomia vissuta essenzialmente come partecipazione, assunzione piena di responsabilità. Non basta perciò lo Statuto, occorrono anche una visione e un esercizio dell’Autonomia adeguati ai tempi. Oltre a quella statutaria, questa è la grande riforma culturale, politica e morale di cui anche in Sardegna abbiamo bisogno.

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