Tre no annunciati. E adesso che fare?

13 Gennaio 2012
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Amsicora

Confesso. Le sceneggiate di Di Pietro non mi piacciono. Sono un insulto all’intelligenza degli italiani e anche di chi le fa. La Corte costituzionale non è ottima quando annulla le leggi ad personam e pessima quando non ammette i referendum. E’ sempre la stessa Corte, le cui sentenze vanno discusse e, se del caso, criticate, ma senza inutili eccessi o dietrologie. Finora almeno la Corte ha svolto le sue funzioni con un equilibrio apprezzabile, anche quando le sentenze non ci hanno del tutto convinto. In generale è stata un organo che ha contribuito enormemente alla crescita democratica del Paese, annullando tante leggi fasciste o antidemocratiche.
Nel caso dei due referendum in materia elettorale, la giurisprudenza della Corte era ben nota:
- l’annullamento di una legge da parte della Corte o l’abrogazione mediante referendum non determina la reviviscenza della legge precedente;
- in materia elettorale non può crearsi un vuoto, perché la disciplina delle elezioni è un indefettibile strumento per l’esercizio dei diritti democratici.
Ero e sono convinto che si tratti di posizioni ragionevoli e condivisibili. E per rendersene conto, basta pensare cosa accadrebbe in caso contrario. La Corte in passato ha annullato molte leggi fasciste, ma - per fortuna - ciò non ha determinato la resurrezione delle leggi ottocentesche abrogate da quella annullate dalla Corte. Analogamente, i referendum popolari determinano un vuoto che va riempito con l’interpretazione sistematica delle restanti leggi vigenti. Il vuoto creato dalla Corte o dai referendum spesso ha costretto il legislatore a fare nuove leggi in sintonia con la Costituzione. In materia elettorale, poi,  è preferibile una pessima legge, che tuttavia consenta al corpo elettorale di votare, ad un vuoto normativo, foriero di ogni avventura. Immaginatevi una situazione del genere oggi con un parlamento bloccato e le elezioni alle porte. Deus s’indi campidi!, diciamo in sardo: Dio ce ne scampi e liberi!
Detto questo, o i promotori hanno irresponsabilmente inteso suscitare aspettative destinate immancabilmente (o molto probabilmente) ad essere deluse oppure hanno voluto con le firme creare un fatto politico importante per indurre il parlamento a cambiare legge. Personalmente son convinto che questa sia stata la funzione di questa raccolta di firme e sotto questo profilo non è stata certo inutile. Bene farebbe, dunque, Di Pietro a ricomporsi e ad affrontare questa nuova fase della battaglia per un nuovo sistema elettorale. C’è molto da lavorare.  Le sceneggiate non servono, anzi sono nocive.
E poi perché non dire anche un’altra verità. Non è la Corte che deve togliere le castagne dal fuoco agli italiani, sono gli italiani stessi a doverlo fare, innanzitutto con la spinta diretta e col Parlamento. Conosco l’obiezione. Questo Parlamento è una palude, non c’è da aspettarsi niente. Ed è vero, ma quel milione e duecentomila elettori sono già una bella forza da cui partire. Estendiamo la mobilitazione. Moltiplichiamo l’impegno e le forze.
Qui però occorre un chiarimento: per far che? Quale nuova legge elettorale? Il bipolarismo ha mantenuto le sue promesse? E’ uno strumento adeguato a risolvere i gravi problemi del Paese?
Lo spettacolo sotto i nostri occhi consente, senza forzature e pregiudizi, di rispondere negativamente. Il bipolarismo non consente di far uscire il paese dalla crisi, anzi ne ha favorito il degrado e non dà neppure maggiore governabilità. Ostacola le convergenze nei momenti di crisi.  Immaginatevi l’emergenza terroristica di fine anni ‘70 oggi! Ed allora? Allora, occorre ripensare al proporzionale. Ad esempio, a quello tedesco, un proporzionale corretto, con sbarramento al 5%, che consente alla locomotiva dell’Europa di correre più degli altri paesi. Se funziona lì perché non dovrebbe dare buoni risultati anche da noi?
Ci sono già dei sostenitori di questa proposta fra studiosi e nelle forze politiche. Perché non approfondirla? E’ la più rispettosa della volontà popolare e anche quella che all’occorrenza consente ampie convergenzze nell’interesse del Paese. Risultati che il bipolarismo preclude. 
Il terzo no preannunciato è quello del Parlamento all’arresto di Cosentino. Del resto in un Paese in cui la questione morale è stata irrisa anche da coloro che per tanto tempo l’hanno predicata, dalla rappresentanza parlamentare c’è poco da aspettarsi. Prevale l’omertà di partito o di casta, l’idea che la magistratura debba arrestarsi davanti a coloro che per essere stati eletti sono affrancati dalla legge penale, sono espressione della sovranità popolare e dunque legibus soluti come i principi dell’Ancien Régime, sciolti dalle leggi.
Anche qui occorre una battaglia di lunga lena per riaffermare l’etica pubblica e renderla prevalente. Il punto è che su questi problemi, che poi sono i temi della democrazia, non esistono spazi per falsi realismi e reali lassismi. Occorre riprendere la strada maestra della fermezza e del rigore. Ma è una lotta che non può essere disgiunta da quella per la difesa del lavoro e dell’eguaglianza. Se ci pensate bene, è da qui che occorre partire per cercare le risposte.

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