Art. 18: ecco perché vogliono cambiarlo

21 Marzo 2012
2 Commenti


Andrea Pubusa

Volete sapere perché Monti, la Fornero, la Mercegaglia e il padronato, di cui sono interpreti, col concorso di Napolitano, non vogliono l’art. 18? E perché sono disponibili a monetizzare, ma non a reintegrare? Perché il reingresso nel posto di lavoro, in fabbrica del lavoratore, dopo l’annullamento del licenziamentio, è la più micidiale e palese scornata dell’imprenditore, la prova che la Costituzione non si ferma ai cancelli della fabbrica, che anche l’imprenditore deve esercitare il proprio potere di direzione sui dipendenti con ragionevolezza e giustizia. La reintegrazione nel posto di lavoro per ordine dl giudice rafforza l’idea dei diritti nei lavoratori. E non solo. Anche nella società la notizia dell’esito vittorioso di una vertenza caratterizzata dal licenziamento (che sono spesso anche molto simboliche) diffonde l’idea che non esistono poteri incontrollati e che la democrazia permea anche la vita della comunità. La conseguenza è una maggior fiducia e disponibilità nella lotta e nella mobilitazion a difesa dei propri diritti.
Potrei citare molti fatti tratti dalla esprienza diretta. Ne cito solo uno. Agli inizi degli anni ‘80 un imprenditore rampante, noto nel territorio per avere atteggiamenti di poco rispetto per i dipendenti, in un sol colpo ne licenziò sei. Si era accorto che fra gli operai serpeggiava il malumore per le condizioni  e i ritmi di lavoro,. Con quell’atto d’imperio voleva spezzare in radice ogni velleità rivendicativa delle maestranze. Fui incaricato della difesa di quei giovani che disperavano di poter battere un padrone così arrogante e presuntuoso, munito di una autorevole difesa. Ma il licenziamento non era fondato su una giusta causa e così il giudice, in applicazione dell’art. 18, annullò i provvedimenti e ordinò all’imprenditore la reintegrazione. Ci fu l’appello, ma il giudice di secondo grado  confermò la reintegra. I due gradi furono definiti in poco tempo (allora il rito del lavoto funzionava!). La decisione ebbe un effetto dirompente. Il reingresso in azienda dei lavoratori mostrò che il potere dell’imprenditore non può assumere contenuti arbitrari.  Incoraggiò le loro rivendicazioni  dentro e fuori la fabbrica. Anche nel paese, dove i laviratoirii vivevano, si diffuse una certa baldanza fra uomini e donne, che negli anni successivi diedero luogo a molte iniziative di movimento in difesa dei diritti, dell’ambiente della parità fra uomini e donne. Ci fu un fermento democratico, che portò alla formazione di una buona lista di sinistra alle comunali e si strappò perfino l’Amministrazione alla DC.
Ciò che i nemici dell’art. 18 vogliono eliminare è proprio questo effetto dell’applicazione della norma: l’idea che il padrone sia battibile, che il suo potere sia comunque disciplinato dalla legge e controllato dal giudice. Che la dignità dei lavoratori non è monetizzabbile. Una società autoritaria ha bisogno che l’idea dei diritti sia sradicata in fabbrica e nella società. E ancor prima nella testa delle classi subalterne. Che il padrone possa monetizzare il licenziamento ingiustificato rientra nella logica del mercato, ossia muove dal presupposto che chi ha i soldi aggiusta tutto, che l’acquisto della merce-lavoro, comprende anche il potere dell’imprenditore di disporre del destino sociale del lavoratore.
Questa sostanziale abrogazione dell’art. 18 impoosta dal governo Monti è una fuoriuscita grave dalla Costituzione, ora non più fondata sul lavoro. La Carta fondamentale viene di nuovo espunta  dai luoghi di lavoro. Monti e Napolitano ne portano una grave responsabilità. Per il Presidente della Repubblica che della Carta è il custode si tratta di un vero vulnus, di  un atto eversivo che proclama il mercato in luogo del lavoro quale fondamento dell’ordinamento.
 
Ecco perché non bisogna mollare, bisogna ancora una volta resistere, resistere, resistere.
 

2 commenti

  • 1 giacomo meloni css
    21 Marzo 2012 - 10:18

    Carissimo Avvocato,ho pubblicato il suo commento sulla mia pagina di facebook perchè non solo ne condivido il contenuto,ma credo che sulla decisione del Governo Monti del via libera al licenziamento si debba aprire un fronte di lotta molto duro eil più ampio possibile.
    Il ministro Fornero nella conferenza stampa di ieri 20 marzo 2012 cercava di indorare la pillola,scivolando tra l’altro in molte imprecisioni, come quando ha presentato come una grossa novità l’estensione a tutti i lavoratori -anche al di sotto dei 15 addetti-del divieto del licenziamento per motivi discriminatori-facendo finta di ignorare o forse ignorando che ciò già avviene in Italia dal 1990. Dov’è allora la novità ?
    La novità sta nel fatto che il licenziamento per motivi economici -ora regolamentato dall’art.18 L.300 (Statuto dei Lavoratori ) per cui il Giudice del Lavoro può decidere o per il reintegro obbligatorio del lavoratore o per l’indennizzo- viene d’ora in poi regolamentato solo ed esclusivamente coll’indennizzo.
    Se si conferma questa decisione del Governo ed il Parlamento-sotto il ricatto della crisi-approva questa modifica dell’art.18 ,di fatto viene a cadere la certezza del diritto nel campo del lavoro e si apre la strada per il licenziamento facile.Anzi sono convinto che la maggior parte delle Aziende ricorrerrà al licenziamento per risolvere i problemi di eccedenza d’organico e la fascia più colpita sarà proprio quella dei lavoratori che-in procinto di essere esodati-si son visti allungare il tempo di pensionamento anche di 7 anni.Come dire:non puoi andare in pensione,ma puoi uscire dalla produzione perchè ti dichiaro in esubero e ti licenzio.
    Qualcuno mi ha fatto osservare che gli imprenditori ed i proprietari delle Aziende non sono dei mascalzoni e non sono certamente facili al licenziamento.Nella mia esperienza sindacale in periodi normali ho verificato la buona fede di moltissimi imprenditori che,soprattutto nelle piccole e medie aziende,difendevano per primi i lavoratori su cui avevano investito e scommesso le sorti dell’impresa.Ma oggi che c’è la crisi lunga e la tentazione è forte per cui il licenziamento-seppur doloroso-diventa uno strumento percorribile.Stiamo assistendo ad un vero mutamento genetico della nostra Costituzione.Il diritto al lavoro non è più un diritto indisponibile,ma diventa un diritto condizionato al mercato.
    Se a cambiare la nostra Costituzione ci pensa il Presidente della Repubbliva Napolitano,il Presidente del Consiglio Monti,il Ministro Elsa Fornero e la maggioranza del Parlamento con una legge ordinaria,qualcuno dovrà pure eccepire e ricorrere alla Corte Costituzionale.La verità è che l’Italia non è più una Repubblica fondata sul lavoro,bensì una Repubblica fondata sul mercato.C’è il tanto per ribellarci e tornare in piazza
    per una nuova resistenza.

  • 2 Andrea
    16 Luglio 2012 - 22:37

    Tutti gli operai italiani hanno paghe da fame da terzo mondo e non hanno diritti legali !
    Nelle ditte private italiane negli ultimi 30 anni gli operai si possono licenziare senza problemi con ogni scusa anche la più assurda !
    Mi chiamo Andrea ciò che ho scritto è la pura verità e lo potrei dimostrare in qualsiasi tribunale serio è onesto al mondo !
    Ovviamente sono da escludere i tribunali italiani che sono mafiosi e sono di destra !
    Nei tribunali italiani la legge non è uguale per tutti e vige l”ingiustizia sociale in maniera evidente !

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