Comunismo e canto corale

30 Marzo 2012
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Luigi Sotgiu

Negli anni ’70, dopo il “biennio rosso” dei movimenti studenteschi e operai del 1968 e 1969, la maggior parte dei giovani era di sinistra; i ventenni di allora aderivano soprattutto alle formazioni della “nuova sinistra”, chiamata così per distinguerla dalla sinistra storica, costituita dal Partito comunista italiano (PCI) e dai socialisti. Io ho fatto parte del gruppo del Manifesto-Pdup, una formazione a cavallo tra sinistra storica ed extraparlamentare, che cercava di unire il meglio della tradizione e dell’innovazione. Seguendo l’insegnamento di Luigi Pintor, Magri e Rossanda, lottavamo per una idea di comunismo molto diverso da quello realizzato nella Unione sovietica.
I giovani di quegli anni successivamente hanno preso le strade più disparate: qualcuno ha mantenuto le stesse posizioni, altri sono diventati più moderati, altri ancora hanno rinnegato totalmente il loro passato transitando nel fronte opposto, come Ferrara e Liguori. Personalmente non rinnego niente della mia storia: certamente abbiamo commesso molti errori e ingenuità giovanili ma eravamo animati da un forte impegno per rinnovare la società. Oggi, senza tessere di partito, mi riconosco nell’area democratica della sinistra di governo. Non me la sento più di definirmi comunista ma questo non significa che abbia rinunciato alle idee e agli ideali del socialismo e della uguaglianza. Certamente quelle idee vanno attualizzate alla società di oggi, difficilmente interpretabile con le categorie dei secoli scorsi.
Oggi viviamo in un periodo storico caratterizzato da una forte competitività a tutti i livelli: le spinte ugualitarie e l’agire collettivo trovano minore spazio. All’età di 60 anni è stata per me una sorpresa ritrovare molti dei miei ideali giovanili all’interno di un gruppo di canto corale. Nel coro viene esaltato il collettivo, si vive una importante esperienza comunitaria, le capacità del singolo sono indirizzate e piegate all’obiettivo del gruppo. Anche chi si sentisse il migliore tenore al mondo o la più brava soprano, se canta in un coro deve autolimitarsi, fondere la propria voce all’interno della propria sezione e trovare l’armonia (in senso musicale ma anche più generale) all’interno del gruppo. Si tratta di una bella esperienza che coltivo con molta cura.
Mi viene da fare una riflessione. Se queste dinamiche potessero essere estese dal campo musicale ad altri settori, se anche nel mondo del lavoro, al di la della fisiologica competizione, si riscoprisse l’importanza del lavoro di gruppo, della cooperazione e della ricerca di finalità condivise, il mondo in cui viviamo sarebbe sicuramente migliore.

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