Tecnici o cretini?

5 Aprile 2012
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Amsicora

Sapete cos’ha partorito il governo dei tecnici sul licenziamento per motivi economici? Che la reintegrazione nel posto di lavoro può essere disposta dal giudice, ma solo “nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”. Insussistenza manifesta, dunque, questa la nuova figura giuridica partorita dai prof.. E la semplice insussistenza, dà luogo al reintegro o no? Ora “insussistenza” del fatto significa che… il fatto non sussiste. E manifesta insussistenza, vuol dire che il fatto… non sussiste. Dunque delle due l’una o il fatto sussiste o non sussiste. La manifesta insussistenza è un non senso sul piano logico prima che su quello giuridico. Una cretinata, per dirla con terminologia popolare.
Sul piano processuale cosa significa “manifesta insussistenza”? Che non devono esserci dubbi sulla sua sussistenza. Se ci sono dubbi, che il padrone non ha dissipato, il giudice non potrebbe reintegrare, in barba al principio dell’onere della prova, che impone all’imprenditore che ha disposto il licenziamento di provare l’esistenza del fatto posto a base della risoluzione del rapporto. Insomma, siamo in presenza di un licenziamento legittimo “per insufficienza di prove”. Ricordate nel processo penale l’assoluzione “per insufficienza di prove”? Il giudice la dichiarava quando la prova della colpevolezza dell’imputato non era data, ma la vicenda non era stata del tutto chiarita. La cultura giuridica svolse una critica sacrosanta, severa e costante contro questa figura. La ragione? E’ molto semplice: l’onere della prova della colpevolezza dell’imputato grava sul Pubblico ministero, che promuove l’azione penale. Se la prova non è fornita, logica e giustizia vogliono che l’imputato sia assolto con “formula piena”. L’insufficienza di prove lasciava un’ombra e un’onta sull’imputato per un difetto probatorio non suo ma del Pubblico Ministero. Oggi, l’insufficienza di prove non esiste più: o il fatto sussiste o non sussiste, o esiste prova che l’imputato lo ha commesso o non lo ha commesso. Tertium non datur. Non esiste una formula intermedia.
Qualche dottore in utroque jure può obiettare che la manifesta infondatezza è figura conosciuta nel diritto. Il giudice deve rimettere gli atti alla Corte costituzionale, ad esempio, se ritiene che la questione di legittimità costituzionale su una legge da applicare nel giudizio “non sia manifestamente infondata”. Ma qui la formula è utilizzata perché il giudice funge solo da filtro sulle questioni di legittimità, la cui decisione spetta alla Corte costituzionale. E’ sufficiente il dubbio a rendere doverosa la rimessione degli atti alla Consulta. Quando invece il giudice è competente la manifesta  (o non manifesta infondatezza) non esiste: è il giudice a stabilire se la domanda è fondata o no, e in conseguenza ad accoglierla o a rigettarla.
Ora, i tecnici per il licenziamento, dimentichi di tutto questo, sembrano prevedere tre ipotesi: il fatto sussiste, il fatto non sussiste, il fatto non sussiste manifestamente. Ebbene, solo se il fatto non sussiste manifestamente si dà luogo alla reintegrazione nel posto. Se il fatto semplicemente non sussiste, è come se sussista. Una cretinata e una mascalzonata. Un imbrogliare le carte manifesto e indecoroso. Un’offesa all’intelligenza e alla civiltà giuridica mossa da un ostentato misconoscimento della dignità del lavoratore e del rispetto dei suoi diritti. Più che di tecnici siamo in presenza di cretini e per di più mascalzoni, intellettualmente parlando, s’intende (che per dei prof., però, è il massimo).

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