Il Parlamento costituzionalizza il suicidio economico

19 Aprile 2012
1 Commento


Andrea Pubusa

L’oltraggio alla Costituzione, nata dalla guerra di Liberazione, di cui fra qualche giorno festeggeremo la ricorrenza, continua. E questa volta non si tratta di un attacco alla costituzione materiale, ma di una revisione formale, ai sensi dell’art. 138 Cost., dell’art. 81 con l’introduzione del principio del pareggio di bilancio. Scempio che nasce anzitutto dal fatto che la modifica consegue ai diktat del Fiscal Compact approvato dal Vertice Europeo di marzo. Com’è noto, la particolarità della funzione costituzionale è la sua indole “sovrana”: è un potere libero nel fine, ossia manifestazione di una volontà che non riconosce un superiore. E’ vero che la revisione costituzionale è una funzione “costituita” e, dunque, disciplinata, ma è pur sempre una volontà indipendente, che deve manifestarsi senza imposizioni esterne. Tanto meno da organismi autocratici, espressione dei grandi interessi economico-finanziari mondiali.
Di pari gravità, in questo clima di falsa necessità, è che la revisione dell’articolo 81 della Carta Fondamentale con la costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio, è stata approvata l’altro ieri in quarta lettura dal Senato con 235 sì, 11 no e 34 astenuti; una maggioranza superiore ai due terzi che evita il referendum confermativo, previsto quando non si registra in Parlamento questo quorum. Dunque, su questo vero e proprio vulnus dell’attuale Carta s’impedisce al corpo elettorale, sempre molto attento a scongiurare stravolgimenti della Costituzione, di pronunciarsi  direttamente col voto.
Che si tratti di una falsa necessità e di uno stravolgimento dell’ispirazione sociale e solidaristica della nostra Carta è confermato dalle critiche ferme levate per tempo da autorevoli economisti di scuola keynesiana, fra i quali ben cinque premi Nobel, che contestano il rigorismo fiscale imposto dalla Germania. Le critiche sono state avanzate dopo che, a seguito del diktat dei gruppi economico-finanziari che autocraticamente determinano la politica della UE, tutti i partiti italiani hanno presentato disegni di legge a favore di questa resa all’iperliberismo, vero massacratore soociale: tra le voci dissenzienti quelle di Tito Boeri, Fausto Panunzi e Giuseppe Pisauro. Poche settimane fa, poi, l’appello di cinque Nobel (Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin, Robert Solow), diffuso dal sito Keynesblog.com. Solo gli investimenti, è la tesi, possono far crescere l’economia e rendere anche sostenibile il debito pubblico. Ma Keynes in questo momento di impazzimento iperliberista non gode di buona considerazione in un’Europa a guida Ppe. Tuttavia costituzionalizzare una teoria economica significa mettere una camicia di forza ai governi futuri, vincolandoli a politiche liberiste. Per di più viene stabilito un controllo dei conti pubblici da parte di un “organismo indipendente” dallo Stato (non solo dal governo, ma anche dal Parlamento): una resa senza condizioni ai potentati economici privati.
Non è un caso che a questa capitolazione dello Stato abbia partecipato Mario Monti che, in quanto esponente dei circoli internazionali liberisti, ha voluto solennizzare questo passaggio parlamentare e mostrare ai suoi amici-padroni che stà svolgendo con diligenza ed efficacia il compito che gli è stato commissionato. “Bisognava esserci e io c’ero”. Presenge!, ha detto pomposamente. Ma uno che ne capisce più di lui, premio Nobel per l’economia 2008 per la sua analisi degli andamenti commerciali e del posizionamento dell’attività economica, Paul Krugman, proprio l’altro giorno sul New York Times, ha messo in guardia rispetto al “suicidio politico dell’Europa”. Krugman parla amaramente dell’incredibile autolesionismo dei politici europei, imperterriti di fronte agli effetti devastanti delle loro politiche sulle loro economie e sulla loro gente. Stiamo seguendo “una inutile politica suicida”, ammonisce il Nobel. Ma Monti e il Parlamento italiano tirano dritto: questo suicidio l’hanno addirittura costituzionalizzato!

Ecco ora una scheda sul nuovo testo dell’art. 81 della Costituzione.

Cosa dice il nuovo articolo 81? Afferma che “lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. “Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta, al verificarsi di eventi eccezionali”. La controriforma demanda poi a una legge ordinaria di attuazione il compito di definire quali sono gli “eventi eccezionali” che permettono lo sforamento di bilancio, tra cui sono annoverate “gravi recessioni economiche, crisi finanziarie, gravi calamità naturali”. In caso di sforamento ci dovrà però essere anche un “piano di rientro”. Insomma, se un anno finisce in deficit poi andrà recuperato e non finirà per accrescere il debito. E comunque la legge attuativa indicherà anche quale sarà il “limite massimo dello scostamento ciclico cumulato rispetto al Pil, al superamento del quale occorre intervenire con misure correttive”. Il che significa che se il deficit supererà tale limite, sarà obbligatorio per il governo in carica fare una manovra, senza temporeggiare o demandare la grana a chi gli succede. E nella legge di attuazione ci sarà la seconda grande novità, cioé l’istituzione “presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio”. Qualcosa di analogo al ‘Congressional Budget Office’ (Cbo) che esiste nel Congresso degli Usa. La Ue aveva chiesto un organismo indipendente dal Governo, ma anche dal Parlamento, per meglio assicurare la resa dello Stato ai potentati economico-finanziari privati.

1 commento

  • 1 Emanuele Pes
    19 Aprile 2012 - 20:50

    Ma sì, questa volta, tutto sommato, la responsabilità è di Monti, ma soprattutto del Parlamento, che vota con la stessa leggerezza con la quale nei decenni scorsi s’è creato il debito.
    Una cosa è certa: al di là di ogni valutazione politica ed economica, che per forza di cose è negativa, del neoliberismo si può dire anche che non è un sistema logico. E particolarmente il neoliberismo, come chiamarlo, d’esportazione, o neoliberismo coloniale, o neoliberismo d’accatto.
    L’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico (sempre che si riesca a capire di quale indebitamento si tratti), quando la sostanza delle cose è che al debito si ricorrerà sempre per pagare il debito pregresso. Che in assenza di una vera politica economica anticiclica, il rapporto debito/PIL crescerà con la stessa inesorabilità, è il caso di dirlo, delle tasse.
    Le nuove leggi, a meno che non siano a costo zero, non indicheranno più i mezzi di copertura, ma provvederanno direttamente a reperirli. Con gli strumenti inesorabili di cui sopra, è facile immaginare. Si potrebbe equivocare e scambiare per responsabilità l’assunzione di questi principi. E’ vigliaccheria. Sia nei confronti di chi ha imposto la cosidetta costituzionalizzazione sia nei confronti di chi si appresta a subirla (cittadini/e noi tutti/e in definitiva, e in termini più generali, ma non meno concreti, gli enti in cui s’articola la Repubblica, e lo stato sociale, il tessuto produttivo). Non ho dubbi che chi ha avviato questa revisione sia anche convinto che i diritti siano più che altro degli auspici, che i diritti costituzionali non si presentano con la stessa marmorea cogenza di attuazione che ha questo obbligo di pareggio.
    Beati loro, e poveri noi. Qualche anno fa, non molti, un compagno abbastanza antipatico e che ha fatto comunque molti danni come D’Alema, riusciva a fare di uno dei principi della nostra Costituzione (del rifiuto della pena di morte) l’elemento centrale d’una forte inizativa politica a livello internazionale.
    E’ semplicemente assurdo che ci venga detto come scrivere, quando scrivere, cosa scrivere nella Costituzione.

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