Casta predatoria o amministratori di aziende?

9 Maggio 2012
1 Commento


Francesco Cocco

Francamente non so trovare altra categoria se non quella della rapina pensando a quanto la “razza padrona” combina nell’amministrazione di aziende centrali nel nostro tessuto produttivo. E’ grandemente disdicevole – abbiamo avuto modo di sottolinearlo - il livello retributivo dell’alta dirigenza della pubblica amministrazione. Qui da tempo è stato superato il rapporto di 1 a 10 tra retribuzione massima e quella minima arrivando talvolta a livelli scandalosi di 1 a 50. Ma quello che accade nella pubblica amministrazione (speriamo presto di poter dire “accadeva” pensando al tentativo annunciato dal governo di porvi rimedio) è veramente un peccato veniale rispetto agli ammorbanti privilegi remunerativi nella gestione delle imprese capitalistiche, sia industriali che finanziarie. E questo senza distinguere tra grandi imprese strettamente private ed imprese a partecipazione statale.
Nonostante l’economia occidentale sia da anni in recessione, c’è un dato che aumenta rispetto al 2010: è la remunerazione ( si fa per dire, altro sarebbe il termine da usare) dei componenti i consigli di amministrazione e segnatamente dei presidenti ed amministratori delegati delle grandi aziende.
Non mi soffermo sui vari casi (Generali, Pirelli, Enel, Finmeccanica, Telecom, etc) sui quali la stampa italiana, negli ultimi tempi, si è in più occasioni soffermata. Cito per tutti il caso di Tronchetti Provera, già in un recente passato discusso amministratore della Telecom ed ora amministratore della Pirelli che per quest’ultima funzione percepisce una remunerazione (si fa per dire) di ben 22,7 milioni all’anno. Cioè oltre 60.000 euro al giorno, domeniche e festivi compresi. Cioè ben tre volte quello che potrebbe essere lo stipendio di tre giovani non per un giorno, ma per un anno intero.
Realtà paradossale in una situazione come quella italiana con tassi di disoccupazione giovanile del 30%, col blocco delle pensioni oltre i 1.500 euro, con una pressione fiscale a due cifre anche per i meno abbienti.
Qualcuno osserva che anche, eliminando queste situazioni scandalose, non si risolverebbe la drammatica situazione della finanza italiana. Pari osservazione viene avanzata per le abnormi spese delle assemblee elettive (segnatamente Parlamento ed altri organi costituzionali o di rilevanza costituzionale dello Stato). Verissimo! E’ certo però che si eliminerebbe una odiosa fonte di sperequazione, che rende inaccettabili i sacrifici che la situazione economica e finanziaria del Paese impone a tutti noi.
Per altro verso quel che accade per l’auto-attribuzione di prebende da parte degli amministratori delegati e c.e.o. delle grandi aziende quotate in borsa è una vera e propria sottrazione di risparmio ai piccoli azionisti. Cioè a risparmiatori che periodicamente e costantemente si vedono sottratta una quota di quanto sono riusciti ad accantonare nel tempo.
A questo punto bisogna chiedersi se e come queste situazioni collimino col dettato dell’art. 47 della nostra Carta costituzionale, dove è espressamente detto “ La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio”. Forse a questo punto tutto ciò sta diventando un vero e proprio problema di ordine pubblico alla luce dei suicidi e degli altri atti che giornalmente vanno scuotendo l’opinione pubblica del nostro Paese.

1 commento

  • 1 RENATO MONTICOLO
    13 Maggio 2012 - 20:00

    Sono fermamente convinto che l’esempio venga dall’alto e sono altresì convinto che il cattivo esempio piovuto dall’alto dilaghi nel basso e determini in termini assoluti più danni del cattivo esempio stesso.
    E’ innegabile che piccole furbizie ( timbrature compiacenti di cartellino, assenze strategiche, premi di produzione immeritati e quant’altro )vengono esercitate in modo quasi automatico ed in molte parti del paese sia nel pubblico (più agevolmente) che nel privato (con maggior difficoltà) dai lavoratori dipendenti di medio e basso profilo.
    Per necessità di sopravvivere potrebbe commentare qualcuno. Forse anche per questo, ma certo per sicurezza di impunità che deriva da episodi illustri arenatisi tra le sabbie del ipergarantismo male interpretato ed ancor peggio attuato. Rappresentanti del popolo trovati con le mani nella marmellata sono difesi ad oltranza per quel principio di immunità parlamentare che i padri costituenti vollero introdurre per più nobili e profondi motivi, memori come erano dei recenti eccessi del fascismo.
    Ma noi, noi no non possiamo e non dobbiamo proteggere con l’usbergo dei santi la maschera di volgari rubagalline. Per questo si devono trovare le soluzioni giuste per azzerare le differenze macroscopiche tra gli emolumenti di manager che hanno polverizzato e distrutto l’impresa che gli era stata affidata ed i lavoratori dell’impresa stessa .Che dire poi quando per “punizione” questi deleteri manager sono collocati in pensione con compensi milionari e di riscontro si trovano migliaia di esodati che si dibattono sulla battigia della riforma come innocenti pesciolini spiaggiati?
    Se non riscopriamo l’etica in tutti gli aspetti dei nostri comportamenti qualsiasi riforma o pseudo tale si infrangerà inesorabilmente sui frangenti del quotidiano vivere che non ammettono errori od omissioni da chi che sia ma ancor meno da chi vuole fregiarsi dei galloni del comando.

Lascia un commento