Contro il monocratismo un ampio fronte autonomistico

6 Settembre 2008
1 Commento


Pietro Maurandi
 
Dal Coordinatore regionale di Sinistra Democratica riceviamo e volentieri pubblichiamo. 

Gli articoli di Giovanni Lobrano e Omar Chessa, comparsi di recente sulla Nuova Sardegna, hanno posto con efficacia il problema del rinnovamento delle istituzioni autonomistiche. In particolare mi pare che sia fondamentale la questione della procedura di approvazione dello Statuto che, insieme ad una nuova definizione dei poteri, sancisca un rapporto pattizio fra Stato e Regione. Trovo anche appropriata la distinzione di Chessa fra due tipi di norme, che richiedono sistemazione e  trattamento diversi: quelle che regolano il rapporto con lo Stato e quelle relative all’ordinamento interno, al sistema elettorale, alla forma di governo.
La riflessione sulla riforma delle istituzioni autonomistiche non è diversa e non è lontana dal dibattito politico corrente, intorno alla coalizione di centrosinistra, al programma di governo e alla designazione del candidato Presidente per la prossima legislatura regionale.
In mezzo alle cortine fumogene e al cinismo delle lotte di potere, si confrontano due modi di concepire e di praticare il governo delle istituzioni autonomistiche.
Da un lato c’è chi ritiene che l’unico modo per sgravare le istituzioni dei guasti della vecchia partitocrazia e per sottrarle ad un possibile declino, sia il ricorso ad un Presidente forte, dotato di ampi poteri, sostanzialmente una figura monocratica cui gli assessori sono chiamati a rispondere, in grado di piegare alle proprie scelte la maggioranza del Consiglio Regionale.
Dall’altro lato si sostiene che la rottura con le vecchie regole partitocratriche è sbagliato affidarla all’uomo solo al comando, anzi che questa sarebbe in qualche modo la fine dell’Autonomia; che il modo per salvare le istituzioni sia più democrazia nell’articolazione del potere fra esecutivo e legislativo, verso le autonomie locali e verso le espressioni della società sarda.
La prima concezione comporta una piena conferma dell’attuale situazione e per conseguenza la ricandidatura secca dell’uomo che in questi anni l’ha interpretata nel modo più coerente e determinato, Renato Soru.
La seconda concezione richiede che si lavori in prospettiva per modificare il rapporto squilibrato fra Presidente e Consiglio Regionale, ridando a quest’ultimo la centralità che deve avere l’assemblea legislativa del popolo sardo; per conseguenza comporta candidature alternative che si facciano interpreti della necessità di un governo democratico e non monocratico delle istituzioni autonomistiche.
La prima concezione ha ricevuto in queste settimane una forte accelerazione, portata avanti con grande determinazione, fino a provocare scontri e sconquassi all’interno del Partito Democratico, forieri di lacerazioni difficilmente ricomponibili con l’intera coalizione di Centrosinistra.
La seconda concezione invece, se sul piano della riflessione teorica è nitida e agguerrita, sul piano delle conseguenze politiche si presenta piuttosto sterile, come afflitta da una sorta di complesso di impotenza, non riesce a passare dalle enunciazioni teoriche alle scelte conseguenti.
Ci si aspetterebbe proprio da questo fronte un contributo a costruire piattaforma politica e candidatura per le primarie di coalizione, che renda credibile il confronto, soprattutto che non lo riduca a scontro fra persone ma lo collochi al livello delle due diverse concezioni delle istituzioni autonomistiche e del loro governo.
Il dibattito sul candidato Presidente si riannoderebbe così a quello sulle riforme dell’Autonomia, sulla scorta dell’esperienza di questi quattro anni, affrontando un problema di portata generale e strategica, che va al di là del travaglio attuale del Centrosinistra.
Invece, proprio su questo versante assistiamo a risposte timide, balbettii che accompagnano ragioni fragili per rassegnarsi alle iniziative altrui. Particolarmente fragile è l’argomento che non si arriverà alle primarie di coalizione se preventivamente non sorgono candidature alternative. È vero esattamente il contrario: non sorgeranno candidature se non si definiranno con convinzione, da parte di tutto il Centrosinistra, tempi e modalità per le primarie, tali da garantire che si tratti di primarie vere, in cui i candidati partono alla pari e si fanno portatori di diverse concezioni. Inconsistente è l’argomento che non c’è tempo: dedichiamo il mese di settembre alla presentazione delle candidature, il mese di ottobre alla campagna elettorale, ai primi di novembre si può votare per le primarie.
Come Sinistra Democratica abbiamo proposto e manteniamo l’idea delle primarie di coalizione e invitiamo tutte le altre forze di Centrosinistra a muoversi coerentemente su questa strada.
Certo sarebbe meglio se tutto fosse più limpido: se i sostenitori della monocrazia come rimedio alle vecchie pratiche non cadessero a loro volta prigionieri di riti e manovre degni di quelle pratiche, a volte delle loro versioni peggiori; se sull’altro fronte si evitasse di lasciarsi trascinare in una critica rassegnata e impotente dell’esperienza di questi anni.
Sfortunatamente non tutto è limpido, troppo spesso le cose sembrano diverse da quelle che sono, proprio perché si intrecciano e si confondono anche interessi e obiettivi di piccolo cabotaggio di singoli e di gruppi. Ma appunto per questo è sbagliato lasciar cadere questa occasione per riproporre con efficacia la questione della natura dell’Autonomia, al di là delle cortine fumogene e delle lotte di potere della cattiva politica.

1 commento

  • 1 GIORGIO COSSU
    8 Settembre 2008 - 14:01

    E’ chiaro che i rapporti con lo Stato e quelli interni postulano forme diverse. Ma sia chiaro che il livello dell’autonomia non dipende dalla FORMA di approvazione delle norme, che rischia di sganciare lo Statuto dalla sua funzione e accreditare una versione muscolare, ma dalla capacità di risposta ai problemi di sviluppo della regione, quindi dal livello di pluralismo nuovo funzionale all’emergere di progetti e innovazione fermati dal verticismo centralistico.
    Ricordo che la impostazione monocratica, che si è qualificata come scorciatoia conservatrice, decidere è più importante che innovare, presto e non bene è la richiesta del sistema, si estende alle forme elettorali per cui la partecipazione viene ridotta e svuotata al solo voto di delega configurando una piramide rovesciata un candidato su cui si fonda il programma e la squadra. L’alternativa pluralista e democratica non ha disegnato finora in tutte le sue componenti un metodo alternativo, per le debolezze culturali e quell’insieme di conformismo politico che non affronta un vero disegno alternativo che implica
    far precedere da una ampia verifica di linea culturale e politica la definizione di un programma e di una squadra da cui emerge una leadership. Se le primarie non si devono ridurre ad uno scontro di persone, di fatto tra notorietà e potere rispettivi, per primarie vere tra concezioni, si discuta tra riformatori e conservatori, non riducibili ai presidenzialisti e ai difensori del ruolo del Consiglio e dei Partiti, ma tra partiti chiusi e partiti aperti, tra istituzioni monocratiche e pluraliste. Se si accetta l’inizio dalle candidature si accetta un metodo falsato da chi ha il controllo della comunicazione e del potere.
    Una linea alternativa si può affermare e coagulare una squadra dirigente credibile per livello ed etica se si parte da un confronto sulle istituzioni come strumento delle scelte democratiche di sviluppo, non accettando che solo la notorietà e le relazioni diano tutta la delega ad un candidato. Uno slittamento di ruoli che ignora quanto sia diversa la funzione progettuale da quella esecutiva, si può rafforzare il ruolo esecutivo, ma non concentrare il ruolo di progetto e innovazione, che dipende sempre più dal contributo di diverse competenze dentro istituzioni autonome, nella forma del pluralismo istituzionale.

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