Che fare per il dopo Monti?

9 Ottobre 2012
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Red 

Pubblichiamo uno stralcio del Documento del Comitato di coordinamento nazionale dell’Associazione per il rinnovamento della Sinistra - Ars, che propone un’importante riflessione sulla fase politica attuale e sulle azioni necessarie per un’alternativa progressista. 

La scadenza delle elezioni politiche si sta avvicinando. Il loro risultato può avere un ruolo importante per fare uscire il nostro paese dalla crisi, per contribuire ad una svolta in Europa.
Le elezioni sono presentate come occasione per un attacco speculativo all’Italia. Eppure senza iniziative qualificate per la ripresa economica, come solo un esito elettorale può tentare di dare, l’Italia sarà sempre più debole e quindi esposta agli attacchi speculativi di una finanza senza regole, senza controlli. Gli stessi effetti delle pesanti misure di risanamento finanziario fin qui adottate (tagli alla spesa pubblica e aumento delle imposte) rischiano di essere vanificati dall’aumento degli interessi sul debito pubblico e dai contraccolpi della crisi economica. 
Lo stock del debito pubblico è quasi 2.000 miliardi di euro, il 124 % del Pil. Nel 2013 arriverà al 126 %. Il livello più alto mai raggiunto, proprio perché il Pil si è fortemente ridotto.
Per il risanamento sono state fatte scelte che impongono troppi sacrifici alla parte più debole del paese. Per di più senza ottenere il risultato dichiarato e indebolendo la capacità di ripresa del nostro paese. Non a caso è proprio l’assenza di prospettive di ripresa per l’Italia il punto di attacco oggi dei mercati finanziari.
Risanamento, equità e sviluppo sono gli obiettivi dichiarati da Monti all’insediamento del suo Governo. Di questi è evidente il risanamento dei conti pubblici, ma è insidiato proprio dall’assenza di equità e politiche di sviluppo.
Il paradosso è che le misure adottate hanno reso il nostro paese più debole, esposto alle incursioni della speculazione finanziaria. Accettare il terreno della destra europea si è rivelato un errore.
Parte delle classi dirigenti del nostro paese e dell’Europa vorrebbero continuità del Governo Monti con quanto avvenuto durante questa transizione. E’ una vera e propria Opa delle classi dominanti sul risultato delle prossime elezioni in Italia, che punta a condizionare l’esito del voto. E’ un pesante tentativo di condizionamento politico.
Per questo è apprezzabile che il segretario del Pd abbia dichiarato conclusa - con le elezioni - la fase del Governo Monti, mentre è un serio limite il tentativo di tenere insieme la fase di transizione, che ha forti caratterizzazioni conservatrici, con una nuova prospettiva politica ed economica. Non a caso non sono pochi i provvedimenti del Governo Monti accettati da chi lo sostiene contestualmente all’impegno a modificarli.
Chiudere questa fase di transizione è necessario e le iniziative che si muovono in questa direzione sono da incoraggiare.
La “foto” di Vasto a distanza di un solo anno sembra dissolta. La divaricazione tra le forze politiche ha assunto toni talmente aspri che sembra difficile ricomporla. Il nucleo di un Governo di alternativa sembra finora fondarsi su Pd e Sel. Sarebbe un errore trascurare il ruolo di altre forze, che potrebbero essere coinvolte nella costruzione della coalizione. A partire - ad esempio - dai socialisti, dai Verdi e dai vari settori della sinistra.
Il nucleo politico composto da Pd e Sel nei sondaggi è poco oltre il 30% dei voti. Troppo poco per governare una fase economica, politica, sociale e morale difficile e complicata, anche con l’aiuto di un premio di maggioranza. Questo schieramento rischia di non poter contare sulla maggioranza in parlamento e di non avere l’ampiezza necessaria per governare.
Nel paese la sfiducia ha raggiunto livelli sconosciuti. L’allontanamento dalla politica, il diffuso timore per il futuro prevalgono. L’antipolitica è diffusa e ha raggiunto livelli sconosciuti.
I principali problemi da affrontare sono: il dramma della disoccupazione che, nel caso dei giovani è appesantito proprio dalle misure del Governo; la crisi di settori fondamentali dell’economia nazionale abbandonati a sé stessi, comprese le energie rinnovabili; la prostrazione della scuola, della ricerca, dell’Università; il netto peggioramento dello stato sociale a vocazione universalistica proprio nella fase di maggiore bisogno delle persone e delle famiglie; la crescita della povertà; la diminuzione dei salari e dei diritti dei lavoratori; l’erosione delle pensioni; l’assenza di una politica pubblica di sviluppo.
Occorre rimettere al centro il ruolo del lavoro e i lavoratori, i meno abbienti, operare per avviare un cambiamento dei rapporti di forza sociali, invertendo la tendenza alla divaricazione.
La vocazione maggioritaria deve essere quella che punta a rappresentare le forze sociali fondamentali del nostro paese, a partire dai lavoratori, dalle risorse intellettuali, dalla scuola, dall’Università, dalla ricerca.
Un paese più moderno, più equo deve essere al centro del prossimo confronto elettorale, per realizzare una convergenza ampia, senza pregiudiziali e senza lasciare nulla di intentato. Realizzando convergenze parziali quando convergenze generali, pur ricercate, non sono possibili.
Il rapporto con i settori fondamentali dei lavoratori, delle imprese che accettano un sistema di relazioni avanzate, della società che si batte per innovazioni nel campo ambientale e delle relazioni sociali, va visto come la chiave fondamentale del futuro. E’ una scelta di fondo.
Occorre stabilire un nuovo rapporto con la società, con le sue rappresentanze, anche con l’obiettivo di farsi aiutare nell’affrontare le difficoltà di questa fase, in larga misura da addebitare alla destra.
L’esperienza positiva dei referendum del giugno 2011 non è stata messa a tema dalle forze poltiche della sinistra. Ha prevalso la tentazione di annettersi il risultato, senza peraltro riuscirci, senza riflettere sulle ragioni di un risultato positivo che ha portato ad abrogare leggi con la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto, rompendo anche la tradizionale divisione tra destra e sinistra.
Nei referendum ha prevalso il merito dei problemi. La coerenza tra dichiarazioni e fatti e la nettezza dei risultati in gioco ha mobilitato formidabili energie, malgrado il clima dilagante di antipolitica.
Per stabilire un rapporto coerente e forte con le forze sociali non basta dichiarare che la concertazione è un metodo da seguire, ma occorre definire un quadro di proposte forti, tali da coinvolgere e mettere in moto le forze fondamentali del nostro paese, a partire dai lavoratori.
Le nuove iniziative referendarie su articolo 8 e articolo 18 pongono l’esigenza di reagire all’attacco portato ai diritti dei lavoratori e per questo vanno sostenute. Nella consapevolezza che il programma politico alternativo deve contenere gli impegni per risolvere per via legislativa questi problemi, come del resto per riformare rappresentanza e rappresentatività sindacale, garantendo democrazia nei luoghi di lavoro. 
Il programma è l’occasione fondamentale per questo coinvolgimento. Pochi punti, chiari e innovativi debbono caratterizzare il ruolo dell’Italia nel quadro europeo, che resta il riferimento fondamentale, da riformare in profondità insieme alle altre forze progressiste europee.
Nella costruzione di un quadro di svolta la convergenza sul merito può essere più larga della coalizione che si candida a governare, sia sotto il profilo politico che sociale.
Le attuali divaricazioni nel campo del centrosinistra sono aspre e nascono da errori e differenze reali e rischiano di portare ad un quadro di alleanze riduttivo. Le difficoltà del compito di governare il paese in questa fase avrebbero bisogno di un’alleanza politica più ampia, forte, radicata di quella finora identificata.
Per questo occorre riaprire un confronto a tutto campo con l’obiettivo di comporre le divaricazioni. Va ricordato che l’Idv ha svolto un ruolo importante nei referendum vittoriosi del giugno 2011 e fu l’unico partito ad essere alleato del Pd nel 2008.

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