La proposta di Krugman per uscire dalla crisi è realmente di sinistra?

29 Ottobre 2012
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Gianfranco Sabattini

Abbiamo chiesto  al Prof. Gianfranco Sabattini, autorevole economista dell’Ateneo cagliaritano, un’opinione sulla formula del Nobel Krugman per uscire dalla crisi, esposta nel suo recente libro, di cui abbiamo pubblicato una recensione sabato. Ecco le considerazioni dell’economista sardo.

La tesi che Krugman sostiene nel suo ultimo libro (Fuori da questa crisi, adesso!) è antica; per come la ripropone ha il difetto di essere insufficientemente contestualizzata. La tesi com’è noto è di derivazione keynesiana e la sua validità sul piano della politica economica ben si adattava alle condizioni del tempo e al perseguimento dell’obiettivo per cui era stata formulata. Inoltre, Keynes era un liberal nel senso anglosassone, per cui a ragione, considerate le implicazioni anti-crisi della sua famosa “Teoria”, poteva essere ritenuto un “liberal di sinistra”. Questa qualifica, dal punto di vista della tradizione dell’Europa continentale, può essere estesa anche a Krugman? Per rispondere non è sufficiente condividere la proposta antidepressiva del premio Nobel, solo perché nell’immediato è percepita a supporto dell’alleggerimento delle condizioni di vita di chi sta peggio e, in particolare, del suo possibile contributo alla “lotta” contro la disoccupazione. Occorre anche e soprattutto entrare nel merito riguardo al modo in cui Krugman la giustifica.
Sin dall’Introduzione al libro, l’ecomista di Princeton “scopre le carte”, mettendo in chiaro i limiti istituzionali e temporali del suo discorso; egli non intende mettere in discussione il modo capitalistico di produrre e non considera affatto, come non dovrebbe fare un’opinion leader meritevole d’essere considerato “di sinistra”, il problema del come evitare che in futuro possano verificarsi altre crisi sistemiche del tipo di quelle da lui paradigmaticamente indicate (La Grande Depressione del 1929-1932 e quella attuale che ha preso il via negli USA nel 2007-2008 con la crisi dei mutui subprime).
Krugman non si chiede come sia potuta accadere la “catastrofe attuale; si chiede invece cosa si possa fare adesso, dato che al presente la terapia costituisce l’aspetto che maggiormente preoccupa: la ripresa perciò deve essere la priorità numero uno.
Per Krugman, sfortunatamente, molte persone che contano hanno scelto di dimenticare le lezioni della storia e le conclusioni di un’analisi economica ormai consolidata; queste persone, con comodi pregiudizi ideologici e politici, avrebbero dimenticato il dettato di Keynes: “l’austerità va praticata nella fase di espansione, non in quella di crisi”. Nella fase attuale, invece, sono adottate politiche di austerità che distruggono posti di lavoro e impongono sacrifici inutili.
La disoccupazione è alta e la produzione è così bassa, afferma Krugman, perché le imprese ed i governi nel loro insieme non spendono abbastanza; si può pertanto uscire da questa situazione incrementando l’offerta monetaria, per ridare così lavoro ai disoccupati. Operando in questo modo si è sempre usciti dalle crisi depressive; questa volta però l’offerta di moneta non funziona, a causa del persistere della “trappola della liquidità”, che impedisce alle misure antidepressive di risultare efficaci perché, nonostante l’alta disponibilità di mezzi monetari, la domanda complessiva resta bassa. Per uscire dalla crisi occorre allora un rilancio della spesa pubblica per stimolare le imprese ed il pubblico ad indebitarsi, approfittando della larga disponibilità finanziaria che rende possibile un’alta propensione da parte del sistema delle banche a concedere credito. Per Krugman, l’idebitamento non rende più povero un sistema sociale nel suo complesso, in quanto il debito di uno non è altro che il credito di un altro, per cui la ricchezza totale non viene minimamente intaccata. Krugman però riconosce che questa condizione d’indifferenza vale per l’economia nel suo complesso e non per i singoli soggetti che la compongono e, mutatis mutandis, per i rapporti di debito e credito tra i singoli sistemi economici integrati nell’economia mondiale. Tuttavia, lo stesso Krugman riconosce che un indebitamento elevato crea molti problemi, sia per i singoli che per i sistemi economici, quando accade qualcosa di imprevisto come, ad esempio, lo “scoppio di una bolla speculativa”.
La spesa pubblica avrebbe, perciò, lo scopo di rompere lo stato di quieta e di inerzia del pubblico (imprese e famiglie), in quanto per effetto della trappola della liquidità i debitori a causa della crisi non possono spendere e i creditori non vogliono spendere. E’ quanto accade nei Paesi dell’UE: i Paesi che si sono indebitati negli “anni buoni” sono ora tutti vittime di una profonda crisi finanziaria che li costringe ad adottare “duri programmi” di austerità, mentre i Paesi creditori, preoccupati per i rischi del debito, adottano anch’essi identici programmi, anche se meno “duri” di quelli adottati dai Paesi debitori.
La spesa pubblica, perciò, nella prospettiva della proposta di Krugman avrebbe solo lo scopo di consentire il superamento degli effetti della trappola della liquidità; egli infatti manca di prospettare, a causa della preferenza riservata al momento presente, la necessità che il superamento della trappola della liquidità sia accompagnato da opportune trasformazioni del modo capitalistico di produrre, utili ad evitare che le “crisi cicliche” catastrofiche e non possano ancora verificarsi. La sua preoccupazione per l’immediato è senz’altro giusta e condivisibile; le misure di austerità sono certamente penalizzanti, anche perché mancano d’essere giustificate in funzione della rimozione o del contenimento della cause di crisi future del tipo di quelle sinora sperimentate. Per questo motivo, la proposta di Krugman, finalizzata solo a rilanciare il sistema economico in assenza delle necessarie riforme strutturali e delle regole utili alla stabilità economica e sociale, è insufficiente per attribuirgli la qualifica di opinion-leader“ di sinistra

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