Grillo: l’eversività della pretesa di normalità

8 Marzo 2013
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Andrea Pubusa

Colpisce nel programma del M5S  e nelle dichiarazioni dei grillini, al di là della stravaganza dei modi, l’assoluta normalità delle pretese e, per converso, l’incredibile presentazione della stampa del carattere eversivo del Movimento.
A ben vedere il comico nient’altro chiede che non sia già stato nei programmi del PD e di altri: una nuova legge elettorale, una riduzione dei privilegi dei politici e dei manager pubblici e privati e una amministrazione efficente e altre simili proposte di buon senso e di buona politica. Niente del programma massimo dei movimenti estraparlamentari degli anni ‘70 e ‘80, molto meno di quanto chiedeva il PCI, che prefigurava, almeno come obiettivo di fondo, una società socialista. Niente di più di quanto proposto dal buon Di Pietro nella sua opposizione al governo Monti e da Ingoria in campagna elettorale.
E allora c’è in Grillo radicalità? Paradossalmente la radicalità del M5S sta nella sua pretesa di normalità. E il suo carattere extraparlamentare sta nel fatto che Grillo queste riforme le vuole (o dice di volerle) davvero, mentre gli altri, a partire dal PD, ne hanno parlato nei loro stanchi interventi ai talk show, senza mai battersi per essi nelle aule parlamentari o di governo.
La radicalità di Grillo è l’altra faccia della medaglia del conservatorismo dei partiti, PD compreso, che, anche quando ne hanno avuto la possibilità, non hanno approvato una dignitosa legge elettorale, non hanno introdotto nell’ordinamento una normativa contro il conflitto d’interessi, non hanno ridotto gli intollerabili costi della politica. Anzi ne hanno abusato, come mostrano le vicende di tutti i consigli regionali d’Italia.
Anche la preferenza di Grillo verso la rappresentanza parlamentare con vincolo di mandato riprende una antica discussione di ordine costituzionale, che ha opposto pensatori favorevoli al vincolo, nella convinzione che questo ancori gli eletti agli elettori, e coloro che, invece, ritengono preferibile l’assenza di vincolo di mandato, lasciando agli elettori, col voto, l’eventuale sanzione al cambio di casacca in corso di legislatura.
Come si vede, anche qui niente di eversivo e niente di nuovo. Così come non c’è nulla di stravagante, costituzionalmente parlando, nel conferimento a Grillo dell’incarico di governo? E’ questo - come molti nei media indicano - il massimo degli stravolgimenti istituzionali? Non è forse Napolitano che ha dato l’incarico di formare il governo a Monti? Quanti deputati aveva dietro di sé il prof.? Nessuno. Ed allora se dà l’incarico al leader del partito di maggioranza relativa, quanto ai voti, alla camera dei deputati, cosa c’è di strano? In realtà, anche su questo punto, si omette di dire che Napolitano una forzatura delle regole e della prassi costituzionale l’ha posta in essere nel nominare Monti, mentre non la farebbe nell’incaricare Grillo, che ha un vasto seguito parlamentare, falsato solo dal porcellum. Per di più Monti è stato onorato della nomina a senatore a vita, senza averne i requisiti costituzionali. Non è certo uno come la Montalcini!
Ed allora torniamo alla banale normalità: i parlamentari che rispettano il vincolo con gli elettori della propria lista,  i programmi enunciati agli elettori che si applicano e  l’incarico di formare il governo che si dà a chi ha un vasto consenso popolare e non a chi viene indicato dai potentati bancari e finanziaria a livello europeo e mondiale. E perché il Presidente della Repubblica non dovrebbe esortare il PD a dare la fiducia a Grillo? Non ha forse indotto il buon Bersani a darla, autocastrandosi, ad un uomo della destra dura e pura come il Prof.? E perché Bersani non dovrebbe votare le proposte avanzate dal comico genovese, dopo aver approvato, senza battere ciglio, le più carognesche misure montiane contro i lavoratori e la povera gente? Ma Napolitano avrà il coraggio di fare scelte normali? E Bersani di fare con Grillo ciò che ha fatto con Monti? E, per converso, perché Grillo non dovrebbe col PD fare ciò che dice di volere, se questo partito è d’accordo? Anche questo sarebbe banalmente normale, se si vuole cambiare il Paese.
Ma il M5S solleva altri quesiti, questi sì, inquietanti: un movimento al guinzaglio del padrone, con una democrazia interna più apparente che reale. Ma di questi aspetti un’altra volta.

1 commento

  • 1 Aldo Lobina
    8 Marzo 2013 - 11:08

    Un movimento al guinzaglio del padrone è pericoloso per la democrazia, perché alla fine arriva a negarla. Un movimento che si dice democratico deve testimoniare al suo interno la trasparenza delle decisioni, che siano frutto di un dibattito maturo nelle sedi all’uopo preposte. Le istanze che arrivano attraverso il web sono importanti, ma chi le elabora e come? La vera democrazia è quella che tiene conto di chi, in carne ed ossa, esprime un pensiero ed un indirizzo e puà valutare il risultato del suo “consiglio”.. Concordo col Professore Pubusa sui contenuti dell’articolo pubblicato oggi e anche io mi preparo a mettere a fuoco atti, comportamenti dissonanti con le conquiste civili fin qui raggiunte, che cerchiamo di difendere sempre da chiunque cerchi di offenderle. Che siano gli attori della vecchia politica, che siano i nuovi protagonisti a stelle.

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