I referendum del 5 ottobre tra boicottaggio istituzionale, insoddisfazioni e necessità di revisione

30 Settembre 2008
11 Commenti


T.D.

Il 5 ottobre si svolgeranno i referendum regionali su tre quesiti. Due di essi riguardano la gestione delle acque: il primo propone l’abrogazione dell’art. 3 della L.R. 17/10/1997, n. 29, il quale prevede che l’intero territorio regionale sia delimitato come unico ambito territoriale ottimale ai fini della gestione della risorsa idrica; il secondo propone l’abrogazione del successivo articolo 15 della stessa legge, istitutivo dell’unica tariffa d’ambito su tutto il territorio regionale. Il terzo propone l’abrogazione della legge regionale 25 novembre 2004, n. 8, recante ”Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale”.
Tutti e tre i quesiti referendari sono stati promossi dalle forze politiche che si richiamano al PdL. Tuttavia negli scorsi giorni a favore dell’abrogazione delle norme oggetto di referendum si sono pronunciati anche il Psd’Az. e lo SDI. Tra i sostenitori politici dell’attuale Presidente della Regione si è pronunciato per il No il PRC; nel PD lo scontro tra sostenitori e avversari del Presidente della Regione ha assorbito ogni pronunciamento ufficiale su qualsiasi questione, compresa quella referendaria, anche se l’orientamento non potrà che essere quello di contrastare un esito positivo dell’iniziativa abrogatrice.
L’informazione istituzionale sui temi referendari finora è stata pressoché inesistente e ancora una volta sembra che la partita si debba giocare sul filo del quorum partecipativo: l’articolo 2 della legge statutaria n. 1 promulgata lo scorso  10 luglio 2008 stabilisce a questo proposito che “La proposta sottoposta a referendum è approvata se alla consultazione partecipa almeno la metà più uno degli elettori che hanno preso parte alle elezioni per il Consiglio regionale nella legislatura in cui si tiene il referendum”. Per la validità del referendum abrogativo non sarà dunque sufficiente la partecipazione al voto di 482.534 elettori su 1.449.052 (il 33,3% degli aventi diritto), ma occorrerà la partecipazione di almeno 515.934 elettori (essendo stati i votanti all’ultima tornata elettorale regionale1.031.869).
La scelta di puntare sull’astensione è legittima da parte di qualunque soggetto politico, così come è legittimo il comportamento consapevolmente astensionista dell’elettore informato che ritenga di concorrere a  vanificare un’iniziativa referendaria negandole la propria partecipazione. E’ invece un comportamento assai discutibile incentivare l’astensionismo da parte di organi istituzionali che avrebbero piuttosto il dovere di promuovere la massima informazione sui temi in discussione. La democrazia si alimenta di informazione e non si rende ad essa un buon servizio ogni qualvolta si opera in maniera tale da far calare la sordina anziché incoraggiare il dibattito.
Anche perché stavolta, nonostante l’elevazione del quorum partecipativo prodotta dalla legge statutaria (che forse ci si è ostinati a promulgare anche in vista dello svolgimento di questi referendum), l’esito non sembra del tutto privo di alea.
Prescindendo dall’alea generale sulla quale i promotori sembrano far conto, ossia dall’umore diffuso, non propriamente entusiasta, sull’operato complessivo dell’attuale governo regionale, possono infatti giocare  sulla partita referendaria umori e giudizi più specifici, in ordine ai quali una maggiore chiarezza  gioverebbe più che il silenzio.
Prendiamo le vicende legate alla gestione dell’acqua. Che il soggetto affidatario del servizio idrico integrato, Abbanoa SPA (a totale, per ora, partecipazione pubblica), si stia rivelando drammaticamente inadeguato a gestire con efficienza e a costi sostenibili per l’utenza la distribuzione dell’acqua potabile è un fatto talmente indiscutibile che la stessa Giunta starebbe per deliberarne il commissariamento.
La responsabilità è tanto della Giunta quanto del legislatore regionale che ne ha coperto legislativamente l’operato, nell’aver sostituito ai precedenti enti gestori una struttura che assomma la pesantezza e l’onerosità dei primi alla precarietà e alla dispersione delle professionalità derivanti da scelte di politica del personale non troppo dissimili da quelle che ad avviso di molti hanno indebolito l’efficienza delle strutture amministrative centrali della Regione.
Sulla gestione del servizio idrico integrato è perciò comprensibile che si scaricherà il disagio di tanta parte dell’utenza sarda, che finora ha riscontrato prevalentemente disservizi e bollette tanto onerose quanto sovente “pazze”.
Tuttavia i quesiti referendari con questo non hanno molto a che vedere: essi si propongono di cancellare un principio giusto (quello secondo cui l’acqua è un bene di tutta la comunità regionale e non è di proprietà di chi ha competenza amministrativa nei territori ove sono ubicate le sue fonti di approvvigionamento) e due strumenti necessari: l’ambito unico regionale e la tariffa unica per tutti i cittadini, indipendentemente dal territorio di residenza. Una vittoria del Sì comporterebbe il ritorno ad una gestione frammentata della risorsa, incompatibile con la stessa legislazione nazionale del settore oltre che contro ogni principio di equità.
Una seria discussione sulla gestione del servizio idrico forse servirebbe anche a correggere sia legislativamente che politicamente una situazione ormai divenuta insostenibile, chiarendo anche (perché questo non è scontato: non lo è nelle ispirazioni culturali dei proponenti l’iniziativa referendaria, ma non lo è nemmeno dall’altra parte, posto che dalla gestione pubblica disastrosa di una risorsa possono derivare persino stati di necessità tali da alimentare spinte in direzioni diverse) se si vuole e chi vuole che l’acqua resti una risorsa in mani pubbliche, gestita con criteri di efficienza mai disgiunti da criteri di socialità.
La questione della “legge salvacoste” ha analoghi connotati.
E’ dubbio –nonostante quanto sostenuto da esponenti della Giunta- che l’abrogazione della legge regionale n. 8 del 2004- sia ininfluente sulla tenuta del Piano Territoriale Paesaggistico.
La legge sottoposta a referendum ha modificato alcuni articoli fondamentali della legge urbanistica regionale (la n. 45) del 1989, relativi ai contenuti e alle procedure di formazione degli strumenti di pianificazione territoriale regionale e il venir meno delle nuove norme a seguito della loro abrogazione referendaria farebbe sorgere il problema della copertura legislativa dell’intero PPR in una materia (quella urbanistico-ambientale) sulla quale insiste una competenza esclusiva della Regione autonoma della Sardegna e nella quale le norme regionali non possono essere sostituite dalla applicazione tout court, senza mediazione, della normativa statale (analogamente a quanto ha rilevato il Consiglio di Stato nel caso di Tuvixeddu).
La questione è quindi intrigante, anche per quanti, pur storicamente impegnati a favore di una rigorosa politica di tutela dell’ambiente (costiero e non), ritengono che l’attuale PPR non solo non sia adeguato a tale finalità, ma presenti elementi di arbitrarietà che con quel rigore poco hanno a che fare.
Ancorchè taluno parli impropriamente di “sostanziale tenuta del PPR” di fronte alle contestazioni in sede giurisdizionale, proprio l’enorme mole di sentenze favorevoli ai privati, registrabile dall’entrata in vigore del Piano fino ad oggi, si è incaricata di dimostrare tutte le incongruenze dello stesso.
Senonchè le azioni giudiziarie sono sostenibili prevalentemente da chi ha i mezzi economici (spesso ingenti) per affrontarle e tra questi certamente le imprese che possono includere il costo delle cause, ancor più se ad alta probabilità di successo, nel finanziamento delle proprie iniziative, soprattutto se così lucrose come quelle immobiliari.  Altri, la maggior parte dei singoli privati, ma anche molte amministrazioni comunali, non hanno questi mezzi e il referendum apparirà a tanti come l’unica arma di difesa dei propri interessi.
Gli elementi di arbitrarietà tuttavia non originano dallo strumento legislativo, bensì da un impianto dello strumento di pianificazione discutibile non solo sul terreno disciplinare, ma, come dimostrano proprio le sentenze relative a controversie originate dal PPR,  sul terreno della coerenza con la stessa legge regionale n. 8 e con le altre normative che regolano la materia,.
Non è però il PPR a costituire oggetto dei quesiti referendari: l’Ufficio regionale per il referendum, con una discussa decisione -non condivisa dal TAR Sardegna, ma successivamente convalidata dal Tribunale Civile, al quale è stata riconosciuta la competenza dal Consiglio di Stato- ha ritenuto infatti non ammissibile l’iniziativa abrogativa del piano a suo tempo promossa dai medesimi proponenti dei prossimi referendum.
E’ la legge n. 8 che si propone sia abrogata.
E la conseguenza non consiste prevalentemente nel fatto politico e culturale della messa in discussione del  principio stesso secondo cui la Regione deve darsi un proprio piano di tutela del territorio e delle sue valenze ambientali e paesaggistiche, sulle coste come nell’interno, principio e obbligo che restano sanciti dalle leggi generali nazionali in materia, né nella sola messa in discussione di un PPR vigente da correggere persino in modo radicale.
Nell’ipotesi di affievolimento del fondamento legislativo regionale dal quale è scaturito (sia pure nelle forme non del tutto coerenti con la stessa legge) il PPR -conseguenza potenziale, quantomeno da non escludere, dell’abrogazione della legge oggetto di referendum- dispiegherebbe il suo effetto anche la cessazione dell’efficacia delle misure di salvaguardia provvisoria, previste, nelle more dell’approvazione del piano, anzitutto della fascia dei due Km dal mare, i cui termini sono stati rinnovati dalla legge n. 8 essendo ormai decaduti quelli fissati dalla legge regionale n. 45 del 1989 e dalle leggi regionali integrative succedutesi fino al 1993.
Non è certo che tali effetti possano essere totalmente scongiurati, in caso di vittoria dei Sì, nemmeno dall’iter della nuova legge urbanistica in attesa di esame da parte dell’Assemblea regionale, considerato il difficile contesto politico attuale e quello che si verificherebbe in caso di successo dell’iniziativa referendaria.
Anche in questo caso, rifuggire dall’informazione e dal dibattito sembra un sintomo dall’indisponibilità a sostenere un serrato confronto sull’esperienza del PPR e sulle storture da correggere, atteggiamento che non giova alla causa del buon governo del territorio.
Il rischio che insieme all’acqua sporca venga gettato via anche il bambino dovrebbe indurre invece a operare con maggior saggezza.

11 commenti

  • 1 Mauro Nieddu
    30 Settembre 2008 - 19:31

    L’articolo di Tonino centra in pieno l’abisso in cui siamo precipitati. II vuoto della politica , riempito solo dal personalismo e dagli interessi, determina la totale separazione dei mezzi rispetto ai fini. Così il centrodestra può permettersi di inglobare nella battaglia in difesa degli interessi dei poteri che da anni divorano il patrimonio paesaggistico della regione, anche coloro che vedono solo l’ingiustizia dell’arbitrio di un singolo. Ancora più grave è la situazione che riguarda l’acqua. La battaglia contro le disfunzioni di Abbanoa poteva e doveva essere l’occasione per metterne in luce, come giustamente fa questo articolo, il carattere di spa provvisoriamente a capitale pubblico, e per porre al centro dell’attenzione il problema dell’acqua come diritto e non come servizio da mettere sul mercato. Invece si finisce per utilizzare un disagio che poteva determinare crescita di consapevolezza, per fini elettoralistici ,e per di più da parte di coloro che a livello nazionale hanno eliminato la flebile salvaguardia che veniva posta alla privatizzazione dell’acqua.Grazie alla resistenza della defunta sinistra dell’Unione, infatti, la pessima legge Lanzillotta sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali si era fermata ad un passo dall’includere anche gli acquedotti. La finanziaria Berlusconi ha abbattuto anche quella flebile barriera, col voto favorevole della stessa Lanzillotta e di molti deputati PD. Questo ha certamente prosciugato buona parte della credibilità del centrosinistra su un tema così delicato. La situazione regionale non aiutà e così ci troviamo senza difese ad assistere all’assalto che enormi interessi stanno per dare ad un diritto fondamentale, sfruttando l’inconsapevolezza che il vuoto di pedagogia democratica ha creato. Il referendum regionale è da questo punto di vista un’enorme truffa elettoralistica del centrodestra, il suo risultato verrà comunque piegato verso esiti peggiori degli attuali e anche i voti dati in buona fede in nome di molte buone ragioni saranno utilizzati per scopi esattamente opposti. E’ lo stesso rischio che io ed altri paventavamo riguardo al referendum sulla statutaria: nel vuoto di iniziativa politica e di egemonia culturale da parte del mondo democratico, una battaglia in nome di una maggiore qualità della democrazia e di un maggiore grado di partecipazione ha visto sugli scudi coloro che lavorano per esiti opposti, che lottano non contro l’assolutismo del principe ma per prendersi il principato e se possibile estenderlo. Purtroppo nell’assenza di dibattito politico, di spazi e forme di partecipazione, di cultura democratica diffusa e di soggetti politici di massa che innervano la società, il significato di ogni iniziativa politica non nasce dalla sua oggettività, ma viene costruito da chi controlla la macchina dell’informazione e la piega ai propri interessi.

  • 2 GIORGIO COSSU
    1 Ottobre 2008 - 11:54

    CHIARO, preciso nell’analisi sui due problemi acqua e ambiente e sulle conseguenze probabili sul PPR.
    CONCORDO e aggiungo un episodio illuminante che dimostra la tua tesi sull’acqua. Andavo a Macomer per un Convegno sulla Costituente statutaria di Soddu e Melis. Viaggiavo con due ex-sindaci, parlai della tesi di Soddu sulla riforma degli enti regionali, suscitò un confronto animato e non risolto tra quello di Desulo e quello di Sorgono perché il primo rivendicava la titolarità sull’acqua delle sue fonti.
    Fu tanto più esemplare perché la tesi di Soddu era dello scioglimento di tutti gli enti regionali per affidarne le competenze ai comuni, per efficienza e per il federalismo interno. Trovai la conferma plateale delle conseguenze negative dell’assenza di un ente regionale.
    Sul PPR ho espresso da tempo non solo critiche al metodo e agli effetti del piano, ma anche delineato alternative per evitare che l’ambiente venga di fatto ridotto a rendita privata, e salvaguardarlo grazie a funzioni pubbliche regolate con forme di differenziazione territoriale che assicurino accessibilità, fruibilità e relative forme di reddito e occupazione, ma questo non toglie che non si debba far cadere una tutela eccessiva e generalizzata, cadendo nel disordine speculativo.
    Trovo non corretta sul piano del metodo e debole e furbesca sul piano politico la tentazione della Giunta di sfuggire il giudizio popolare. E’ certo non solo che “La democrazia si alimenta di informazione” quindi “non calare sordina” è costume non proprio dell’istituzione ma un obbligo di responsabilità. Espongano ragioni articolate del NO e assicurino e impegnino su correzioni opportune. Responsabilità delle azioni e correttezza di metodo, evitando l’altra idea nascosta di trasformare le astensioni in approvazione completa del Piano Paesaggistico.
    CHE i partiti della maggioranza intendano puntare sull’astensione se è legittimo sul piano delle leggi non è trascurabile sul piano politico per il PD erede di tradizioni culturali basate sulla partecipazione popolare consapevole.
    Uno stretto collaboratore di Soru, estraneo a quelle tradizioni e culture, ha indicato la strada dell’astensione, segno palese delle intenzioni reali della Giunta. Nella storia dei grandi partiti popolari nessuno si è mai astenuto dal confronto anche in casi delicati e incerti, fino a Craxi che invitò ad andare al mare, non portò bene nè fu onorevole.
    Se in casi incerti si può capire l’astensione non può essere arma per evitare richieste ed impegni di correzione prevalenti, e poi vantare consensi inesistenti. Il ricatto del “meno peggio” continua ad essere un cattivo indirizzo, estraneo ad un governo responsabile e di reale democrazia.
    Ricorrere a nascondere le responsabilità dentro le naturali astensioni, favorendo anche la patologica estraneità alle scelte pubbliche e oscurare le ragioni rinunciando al confronto e al dibattito è un pessimo esercizio di politica e di chiaro opportunismo, è un segno ulteriore di precarietà culturale e politica, estraneo al coraggio ed alla linearità e trasparenza della democrazia, propria di un Partito DEMOCRATICO che ha voluto fare del metodo della partecipazione la propria bandiera prima e oltre le ragioni politiche.

  • 3 GIORGIO COSSU
    1 Ottobre 2008 - 12:30


  • 4 angelo aquilino
    2 Ottobre 2008 - 07:01

    In Sardegna domenica 5 ottobre referendum sul nulla per soli 9 milioni di euro
    Appena eletto presidente della giunta regionale della Sardegna,nell’aprile del 2004, il dottor Renato Soru si affrettò ad emanare un decreto (noto come decreto salvacoste), che vietava la costruzione di immobili a meno di 2.000 metri dalla riva del mare. Il divieto riguardava le zone non urbane nel territorio di quei comuni che fossero privi di piano regolatore. Il decreto era da intendersi come apripista di un successivo più completo e dettagliato Piano Paesaggistico Regionale (P.P.R.) In effetti, qualche tempo dopo, l’assessore regionale all’urbanistica Gian Valerio Sanna (che ,tra l’altro, è un apprezzato architetto, presentò il piano completo che venne approvato in consiglio regionale con i voti della maggioranza che sosteneva e che, con qualche defezione ed alcuni tradimenti sostiene ancora il dottor Soru. Il centro destra non ha smesso un istante di

    * criticare il piano in ogni occasione e con tutti i mezzi di stampa e di televisione
    * ricorrere contro in tutte le sedi (compreso TAR e consiglio di stato).
    * proporre referendum abrogativi

    Se il lettore di questo modesto scritto ha la pazienza di fare una ricerca su google con la voce ricorso al tar sardegna si troverà a dover leggere un elenco smodato di comuni,aziende ed imprese che hanno fatto al ricorso TAR contro il P.P.R. Non è escluso che il lettore, possa convincersi che, in Sardegna, ricorrere al TAR contro il P.P.R. sia diventato uno sport di massa.
    Un paio di tentativi di far indire il referendum abrogativo sono andati falliti per vari motivi.
    Il prossimo 5 ottobre 2008 gli abitanti dell’isola verranno chiamati a votare sulla eventualità di abrogare non il P.P.R. ma il decreto salvacoste e che l’ha preceduto. Ed è proprio qui la cosa,a dir poco, singolare. Supponiamo,infatti, che si verifichino entrambe le due seguenti ipotesi:

    o la prima:viene raggiunto il quorum (50%),

    o la seconda: vincono i sì abrogativi

    la prima ipotesi è ritenuta, da tutti irrealistica nel recente passato il referendum (anche questo promosso dal centro destra) contro la legge dello statuto sardo (legge statutaria) il quorum del 33,33% non venne neppure avvicinato,si recò alle urne poco più del 15% degli aventi diritto.
    Anche se la seconda ipotesi si verificasse il Piano Paesaggistico Regionale (P.P.R.) non verrebbe abrogato e rimarrebbe valido ed efficace ad esercitare la medesima funzione del decreto salvacoste abrogato.

    Pertanto, in Sardegna, domenica 5 ottobre 2008 avremo un bellissimo referendum sul nulla al costo di soli 9 milioni di euro.

    Però cosi vuole il centro destra sardo ed il suo padrone. Chi siamo noi per dire il contrario? Infatti non diciamo niente.

    Forse andremo a votare mille volte no!

    Forse non andremo a votare lasciando ai promotori di questo referendum l’onere del raggiungimento del quorum.

    A pensarci bene, una cosa potremmo dirla, anzi due:

    1. non è vero che il centrodestra non mette le mani nelle tasche degli Italiani.
    2. meno male che Silvio c’è, altrimenti non sapremmo come buttar via i quattrini.

  • 5 Roberto Copparoni
    2 Ottobre 2008 - 07:55

    Mai come ora i quesiti referendari sono stati strumentalizzati in chiave elettorale.
    I temi, peraltro assai rilevanti, sono stati imbastarditi e strumentalizzati ad arte da mille argomentazioni sulle quali primeggia il quesito: “sei pro o contro Soru?” a cui, paradossalemente, se rispondi si, ottieni l’effetto contrario e se rispondi no, manifesti apprezzamento per il suo operato.
    Personalmente, se deciderò di andare a votare, penso che esprimerò un no sul quesito reletivo alla c.d.salvacoste e due si per gli altri. Del resto sono fermamente convinto che l’acqua debba essere un bene comune, così come del resto anche …le coste della nostra isola.

  • 6 Tore Melis
    2 Ottobre 2008 - 09:13

    Caro Angelo Aquilino,
    In parte concordo con il tuo giudizio sul referendum, per l’ennesima volta, infatti, un istituto democratico così prezioso viene utilizzato strumentalmente e per mera propaganda elettorale. Ciò che invece non mi convince, è il tuo tentativo di far passare Soru, Gian Valerio Sanna e Company, come vittime della persecuzione di “comuni,aziende ed imprese che hanno fatto ricorso al TAR contro il P.P.R.”. Non credi che, aldilà delle buone intenzioni del Presidente, tutta questa conflittualità sia stata generata dal modo con cui si è affrontata la questione? Non ritieni che su una materia così delicata come quella urbanistica e paesaggistica, si sarebbe dovuta attivare un’ampia concertazione, istituendo tavoli di contrattazione paritari? Non pensi si stato avventato e frettoloso approvare il PPR senza avere in mano la possibilità di affiancarci, immediatamente, la legge urbanistica? Quando una qualunque amministrazione opera riforme importanti (vedi anche la Statutaria), non deve mai farlo ritenendo di poter governare in eterno. Le riforme che durano sono quelle costruite con la mediazione, con la concertazione e con il confronto. In estrema sintesi, le riforme si fanno con la POLITICA, la vera “Ars regia”, il resto è tutto precario e non può che avere una prospettiva di mandato!

  • 7 angelo aquilino
    3 Ottobre 2008 - 14:13

    caro tore melis,
    non desidero nè difendere soru né farlo passare per vittima. nel mio pezzo c’è solo il rammarico che 9 milioni di euro vengano buttati senza costrutto. fammi una cortesia, limitati ad accettare che esistano cose più utili in sardegna sulle quali spendere 9 milioni di euro, che poi è solo e tutto quello che sostenevo nel mio pezzo.
    angelo aquilino

  • 8 GIORGIO COSSU
    3 Ottobre 2008 - 15:06

    CANNAS esaspera la scelta del referendum per la strumentalizzazione della destra ma non vede la strumentalizzazione operata anche da chi non ha discusso e verificato gli effetti e il consenso sul Piano Paesaggistico. La chiusura di Soru e Sanna e l’assenza di confronto e oggi la scelta di puntare sull’astensione esaspera il referendum come pro o contro Soru, come ricatto del “meno peggio” su cui i soriani conducono tutte le discussioni. Un governo deve rispondere non di “meno peggio” spesso “ipotetici” ma di scelte ottimali e sostenute dal consenso, senza ricorrere al populismo e ad evocazioni di nemici. Questo modo improprio, tipico del metodo autoritario ha condotto a divisioni innaturali spingendo sempre dentro veri “cul de sac”. Sulla Statutaria la discussione seria è stata condotta da sinistra, nessuna apertura a un serio di confronto dei soriani prima, e strumentalizzazione del voto che doveva confermare la legge poi, come prevalere di consenso o “smacco dei NO” Dore s..
    Questa pratica politica molto precaria che estremizza e radicalizza il confronto sterilizza la democrazia, contrappone i fatti a ipotetici avversari al peggio, ed è estranea alle culture dei grandi filoni popolari: sinistra, cattolici democratici, liberale, tutti basati sulla partecipazione libera e non plebiscitaria.
    Se Aquilino avesse letto con attenzione l’articolo che commenta si sarebbe accorto che è probabile che cada il PPR in quanto fondato sulla l.8, CHE ci sono state molte richieste di modifica, che non sono risolte dalla legge Urbanistica, in quanto riguardano differenziazione del territorio e piani di zona per utilizzi leggeri. In assenza di confronto serio di una cultura dell’intervento pubblico che non sia basato in modo prevalente sui divieti ma sulla promozione dello sviluppo, quindi con effetti di fermo di crescita e riforme, si allontana la partecipazione e il divario tra potere e cittadini. La risposta alla mia CRITICA sull’errore del proliferare di seconde case e di assimilarle al turismo, sugli effetti di privatizzazione del territorio, l’assenza di un piano territoriale, e la necessità di differenziazione e piani di zona che privilegino la natura di bene pubblico con accessibilità, fruibilità e forme di reddito e occupazione, E’ STATA: (nel piano i STL, che dove non ci sono imprenditori sono scatole vuote), abbiamo istituito la Conservatoria delle Coste, ancora ferma, ventilando l’acquisto di tutte le aree soggette a vincolo, impossibile e priva di quegli effetti, o abbiamo previsto la perequazione urbanistica, con risposte conosciute e incongrue, non c’è spazio di confronto utile.
    COPPARONI se avessi letto l’articolo e l’esempio del mio commento sull’acqua non avresti scritto di due SI “fermamente convinto che l’acqua debba essere un bene comune,” dovresti sapere che riguardano proprio l’abrogazione art.3 “unico ambito territoriale regionale” e 15 “la tariffa unica regionale”, quando si discute si legga davvero.
    L’ASTENSIONE si giustifica solo in casi di coscienza delicati, qui escluso, o in casi estremi, di fronte alla norma programmatica che richiedeva discussione e confronto e alla richiesta prevalente di modifiche non mi sembra che ricorra davvero l’Annibale alle porte e comunque resta che doveva essere discusso in modo aperto e responsabile diventa difficile farsi conteggiare in modo manicheo e strumentale, di fatto ricattatorio.

  • 9 antonioleonijr
    5 Ottobre 2008 - 11:34

    Effettivamente la posizione di Copparoni e dei Verdi sardi per il SI ai quesiti sull’acqua è difficile da capire, anche perchè nella discussione e nei comunicati pubblici non risulta argomentata. Par quanto manchi poco alla conclusione della vicenda referendaria un supplemento di informazione sarebbe opportuno.

  • 10 GIORGIO COSSU
    7 Ottobre 2008 - 20:58

    ERRATA CORRIGE : un lapsus non CANNAS ma AQUILINO, per una citazione precedente

  • 11 GIORGIO COSSU
    7 Ottobre 2008 - 21:03

    Leoni SE è come dici, mi sembra frutto di squilibrio incomprensibile, se si ritiene l’acqua un bene comune non c’è dubbio che sia necessario l’ambito regionale e quindi un NO o l’astensione strumentale

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