Stasera al Manamanà Gianni Mura con la sua “Ischia”

23 Maggio 2013
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Gianna Lai

Stasera alle 18,30 al Manamanà in piazzetta Savoia, su iniziativa dell’Ass. di lettori Miele Amaro, viene presentato, con la partcipazione dell’autore, il giornalista Gianni Mura, il romanzo ”Ischia”. Feltrinelli. Ecco una recensione del libro a cura di Gianna Lai.
 

Se non fosse per chi li circonda, per chi ha bisogno urgente di  giustizia,  potrebbero finalmente dimenticare il loro mestiere a Ischia, Michelle e Magrite. E tutto quel lavoro, e tutte quelle indagini ancora da chiudere a Parigi o a Nantes. E quel caos italiano di governi inetti e imbroglioneschi, che si alternano diversi, per  politiche sempre uguali. Una vacanza al mare,  appena dissimulata dalla necessità di riposo e di  cure per la lombalgia, una prova di convivenza in realtà, fra giudice e commissario, che sia libera da  ogni influenza e condizionamento esterni. A ‘Ischia’, secondo il titolo del bel romanzo di Gianni Mura da poco in libreria, dove invece il mondo intorno non dà pace. E sembra voler travolgere i due amanti, e quella nuova intesa appena raggiunta, proprio mentre cresce e prende forma originale l’incontro sentimentale. Come se il contrasto fosse tra la bellezza struggente dell’isola, e l ‘incertezza continua del presente.  Come se la vacanza, perdendo il suo carattere di tregua a ogni costo, sia preparatoria a un  rapporto  intimo ed emozionante,  eppure così immerso dentro il disordine del mondo.  Come se quel giornalista milanese un pò amico restituisse gratitudine,  con la sua ospitalità, avendo però ’spalancato di nuovo le porte dell’inferno’,  nel ricordo della prima indagine fatta insieme da Michelle e Magrite. E allora , quelle morti così crudeli, quella narrazione così precisa in ogni suo efferato e orripilante dettaglio,  fanno  presagire  il senso forte di un passato che ritorna e che fa soffrire. Ma  che non può alterare il valore di un’idea, di ‘un ideale, ‘Diminuire le ingiustizie. Essere un poliziotto, commissario ormai, dal volto umano’. E il passato ritorna allo stesso modo nei caratteri della  scrittura, ritmata dalle storie dentro la storia , se pensiamo ai  racconti iniziali sull’amico Carlo, sulla denuncia del genocidio dei Catari nella Francia medioevale, sulla morte di Marie-Claude, che ha dato a Magrite  ‘la spinta per cambiare lavoro e forse anche pelle’. I personaggi si costruiscono così, attraverso le storie appositamente sparse, disseminate   nella narrazione, per  alimentare il presente della ’strana coppia giudice-commissario, Michelle e Magrite’ Due naufraghi che tengono insieme le loro  solitudini, al canto de le Litanies pour un retour, di Jaques Brel, che lui le dedica la prima sera dell’incontro. Ed emergono via via e prendono consistenza gli altri, come Peppe ‘o Francese, che racconta il vero volto dell’isola, preda di traffici illeciti, e di camorristi in combutta con il nord, e di colossali abusi edilizi. Perchè a  Napoli, o a Ischia, è come a Marsiglia. E lo denunciano  quegli episodi di estrema, profonda violenza  contro Odile e Barbara, la coppia di lesbiche da poco in vacanza, e il suicidio della ragazzetta di tredici anni, fuggita da casa.  Che costringono Magritte, il poliziotto dal volto umano, a smettere la veste di turista e, per difendere la giustizia, a fare addirittura a cazzotti. E racconta  la sua vita Peppe, ‘che sembra un romanzo di Zola’. Del carcere in Francia e dell’incontro con Denise, fino alla malattia e alla  morte della moglie, e alla solitudine onesta e appartata di oggi. E sa anche capire che il giovane Ovidiu, straniero morto  sugli scogli dell’isola poco dopo l’arrivo del commissario, è stato ammazzato dai trafficanti. E che bisogna aiutare la compagna perchè non venga coinvolta e ancora offesa. Se non parla italiano Magrite, parla disinvoltamente il francese  Peppe, personaggio narrante di rilievo in questa storia nella storia, che dà movimento al racconto, insinuando un  punto di vista nuovo rispetto all’autore del libro, quello del  narratore in prima persona. Che narra dell’isola, della nascita del termalismo sociale, degli illustri scrittori che l’hanno  celebrata nelle loro opere, Lamartine, Maupassant, e Truman Capote. E  ne legge interi brani, e ne fa rivivere sguardi e sensazioni  sui luoghi e sulla villegiatura. E parla  di Oscar Wilde e di Elsa Morante, e di Guttuso e di Bakunin, che vi hanno soggiornato. E di Capossela che vi soggiorna ancora. Alimentate dalla lettura dei contemporanei, Camilleri, Bocca, De Luca,  Maigret, una felice parentesi letteraria le ‘chiacchiere’ di Peppe, che Magrite, sempre avido di storie, gli chiede invece di riprendere ancora.  Nello struggente  racconto di Fréhel, alimentato dalle sue canzoni  a casa di Peppe, questa volta. E in tutti quei dialoghi, così numerosi e ben delineati, per rappresentare la normalità della vita quotidiana, e lo scambio delle idee e dei punti di vista. Per sottolineare  i tratti dei personaggi, la loro presa di coscienza, o  segnare i passaggi significativi della storia. Anche quando si interrompono alla fine del capitolo, i dialoghi, per creare la suspence e rimandare a dopo la scoperta degli assassini di Ovidiu, per esempio. O quando durante il temporale, che si abbatte violentissimo sull’isola, devono rappresentare il contrasto fra la tragedia che si consuma nel territorio, e  le tenerezze prima sconosciute dei due amanti,  Magrite che si commuove davanti al corpo nudo di Michelle. Così  se la nostalgia ti assale e ti conduce ai luoghi dell’infanzia,  alla lingua dell’infanzia, quasi del tutto sconosciuta. Così se è il cibo a sostenere, a puntellare la narrazione, che vuole e pretende spazio e buona scrittura per sè, e che lo scrittore si soffermi a esporlo, a metterlo in scena, come fosse vero personaggio. E ogni momento è opportuno per segnalare rapporti di amicizia, rivelare simpatie, per rafforzare il filo del discorso. E indicare la particolarità delle culture regionali e delle abitudini e dei gusti, tra ricette milanesi, pecorino e vini sardi e cucine dei luoghi di mare. E il mirto e il limoncello e il ‘nocillo’, e le scelte innumerevoli di paste, salami e sottoli. Fino a quando non diventa di nuovo impegnativo il discorso, nella riflessione sul suicidio dell’amico di Magrite,  Jolivet, che richiama alla memoria quello dell’amata Jean Seberg. O nella disamina puntuale dei tristi destini del nostro paese, divenuto così interessante per Magrite, mentre Peppe   si rende interprete dello sconcerto di tutti noi, e della volontà generale di protesta. La scrittura distesa della narrazione  si alterna al disincanto del dialogo, segnato ora da un nuovo coinvolgimento, e da una certa concitazione,  se il confronto parte dal  G8 di Bolzaneto, per arrivare allo spread e alle agenzie di rating, che ‘ci levano il respiro’. L’antipolitica è quella di chi difende il suo potere e i suoi soldi, Berlusconi e le delocalizzazioni e lo Ior e la mafia.  E poi i suicidi e l’attacco al lavoro. E una xenofobia istituzionalizzata nella Bossi-Fini. E una crisi irreversibile della sinistra. E’ l’Italia spiegata a un francese curioso, che sembra avere qualche affinità con la Francia di Coluche, ‘tutti insieme per andargli in culo con Coluche’, nel movimento di  Grillo, sicuro argine alla formazione   di gruppi e partiti di estrema destra. Da Ischia all’Italia  della contemporaneità, passando per la Francia di Michelle e di Magrite, si fa attento il discorso sui drammi del nostro paese, e le responsabilità sottese di una classe dirigente impegnata altrove, e che opera politicamente in contrasto con i bisogni e le richieste popolari.    
 
 

  

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