Una riforma praticabile del bicameralismo

13 Luglio 2013
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Umberto Allegretti - Enzo Balboni

L’istituzione di una Camera delle Regioni in luogo del Senato è un tema classico dei regionalisti, oggi tornato di grande attualità per rilanciare il sistema regionale e per rendere più efficaci i lavori del Parlamento.
Ecco sull’argomento una riflessione inviataci da due autorevoli giuspubblicisti dell’Università di Firenze e Milano.

La riforma del bicameralismo può essere considerata una delle (non molte) riforme costituzionali utili e necessarie nel quadro di quelle in discussione nell’attuale legislatura e potrebbe, anzi a nostro avviso dovrebbe, essere adottata con apposita legge di revisione secondo il procedimento dell’art. 138 Cost.
Punto di partenza: l’eliminazione del “bicameralismo perfetto e paritario”.
Avrà pure un significato il fatto che, sin dai primissimi anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione, la scelta che era stata adottata di un bicameralismo “perfetto e paritario” cominciò a essere messa in discussione. Ricordiamo, en passant, che la componente cattolico-democratica in Assemblea costituente aveva a lungo spinto per un Senato che, in qualche forma, fosse rappresentativo degli interessi locali e delle categorie professionali. Una eco di quelle discussioni si ritrova anche nel dibattito intervenuto al III convegno dei Giuristi Cattolici (Roma, 1951) laddove l’idea viene risospinta da Mortati, mentre Dossetti e Amorth – pur non difendendo la composizione del Senato su base, sia pur larvatamente, “corporativa” (come invece facevano diversi altri giuristi cattolici conservatori, e tra questi Carnelutti) – si esprimono chiaramente in modo contrario a due Camere dotate degli stessi poteri e formate da un’identica classe politica.
Si può pertanto sostenere agevolmente che l’eliminazione del bicameralismo così come ci è stato tramandato in questi due terzi di secolo,  e da più parti affacciata, possa essere considerata “matura”. Anche Giorgio Berti e Leopoldo Elia avevano parlato di un “bicameralismo procedurale” ovviamente diverso da quello attuale meramente ripetitivo.
Dovendo scegliere una nuova forma per la seconda Camera, sembra opportuna la scelta di un “Senato territoriale a favore della quale militano diverse motivazioni.
L’introduzione di un Senato cosiffatto porterebbe a compimento, o rappresenterebbe comunque un decisivo passo in avanti, verso l’organizzazione in senso sanamente e seriamente federale, o comunque compiutamente autonomistico, dello Stato italiano. È percezione condivisa che la storia istituzionale italiana, da 150 anni in qua, non è quella di uno Stato federale; tuttavia quel tanto di buono che viene evocato dall’idea federalista – una sana combinazione di differenziazioni possibili e competitive (migliorative) in un quadro di mantenuta e rafforzata (perché meglio partecipata) unità nazionale – potrebbe essere meglio sostenuto se un’apposita istituzione della Repubblica si dedicasse al suo rafforzamento, controllando ed eliminando le difformità insostenibili e valorizzando, al contrario, l’unità nazionale per tutto quello che fosse necessario.
Qualificandosi come organo in senso territoriale il Senato potrebbe – proprio per poter essere definito tale – svolgere almeno tre essenziali funzioni:
1.    partecipare al processo di revisione costituzionale;
2.    partecipare ai processi normativi;
3.    partecipare alla fase c.d. ascendente del diritto dell’Unione europea.
Se fosse utile indicare un modello europeo per le idee qui sostenute non avremmo esitazioni a indicare il Bundesrat o Consiglio federale della Germania. Questo, diversamente e assai meglio del modello statunitense, si attaglierebbe, attraverso le  indispensabili variazioni, anche alla situazione italiana, recando peraltro con sé la opportunità di un ragionevole accorpamento di Regioni più piccole (territorialmente e tenuto conto delle rispettive popolazioni) nonché della “speciale” posizione costituzionale alla quale sono pervenute cinque regioni italiane, e inoltre la revisione della ripartizione di competenze prevista dal testo attuale del tit. V  sulla quale esistono molte convergenze. Ma di ciò non ci occupiamo in questo paper, che volutamente si limita alla cornice istituzionale di un Senato delle Regioni e delle autonomie nei suoi tratti essenziali.
La prima e più importante ragione per la quale guardiamo a una esperienza  come quella tedesca (ma anche quella austriaca e ad alcune proposte da tempo formulate nel dibattito spagnolo), è rappresentata dal fatto che essa ha dato complessivamente buona prova di sé, realizzando alcuni obiettivi che parrebbero auspicabili anche in Italia. Come è stato giustamente osservato, scopo del Bundesrat è l’integrazione del Länder nella politica nazionale, prima ancora del rafforzamento della loro autonomia, e ciò tramite l’adozione di procedure che non favoriscano singole Regioni, ma il loro insieme. Ancora, nel modello tedesco, il Bundesrat appare configurato come organo certamente autonomo, capace però di dialogo non solo col Bundestag ma anche col Governo.

Sinteticamente, quindi, e con riserva di eventualmente specificare i diversi punti, gli elementi principali della proposta potrebbero essere i seguenti:

1) La nuova Camera, comunque denominata, per essere reale espressione delle realtà territoriali dovrebbe essere costituita in assemblea dei rappresentanti degli enti regionali e locali, i cui membri – distinti tra membri di diritto (i Presidenti di Regione e i Sindaci delle Città Metropolitane) ed elettivi (con elezione di secondo grado) – sarebbero comunque la diretta espressione degli stessi organi regionali o locali. Ogni modalità di formazione diversa, (es.: elezione popolare dei senatori, sia pur legata alle elezioni regionali; Camera mista di rappresentanti degli enti regione e di senatori elettivi), non raggiungerebbe il fine, che ci pare prioritario ed essenziale, di salvaguardare il rispetto delle autonomie regionali e locali, unitamente alla corresponsabilizzazione delle autonomie stesse nel perseguimento e nello sviluppo dell’unità nazionale (particolarmente sotto i profili culturali, economici e sociali), il che potrebbe avvenire disegnando attentamente un organo che affianchi non solo le funzioni legislative della Camera, ma soprattutto quelle esecutivo-amministrative del Governo.
Guardando al caso della Germania, quanto alla partecipazione del Bundesrat alla funzione legislativa, essa avviene – come noto – con l’attribuzione del potere d’iniziativa legislativa generale (art. 76 LF), che non si limita cioè alle sole leggi di interesse territoriale, ma anche con la partecipazione all’iter legislativo con grado di intensità diverso, e col potere di aggravarlo o, addirittura, di opporre il veto. Veto che può essere sospensivo o, addirittura, assoluto sulle leggi di interesse dei Länder e che, da eccezione, è sostanzialmente divenuto regola, grazie anche alla enorme dilatazione del concetto di interesse dei Länder dovuto alla giurisprudenza del Tribunale Costituzionale Federale.
Le competenze del Bundesrat, in via di primissima approssimazione, riguardano non soltanto la legislazione federale e la revisione costituzionale – essendo necessaria la maggioranza dei 2/3 dei suoi membri per la revisione della Legge Fondamentale – ma anche l’amministrazione tout court (in quanto, ad esempio, ai sensi dell’art. 84.2 LF “Il Governo federale può emanare, con l’approvazione del Bundesrat, disposizioni amministrative di carattere generale”). Esse concernono, inoltre, il diritto comunitario, la funzione di controllo e l’emergenza legislativa. Ciò parrebbe auspicabile – non ovviamente in identica forma – anche per il caso italiano.

2) All’istituzione di un Senato territoriale dotato dell’autorevolezza e della trasparenza che mancano al sistema delle attuali Conferenze (Stato-Regioni; Stato-Città e Unificata), conseguirebbe probabilmente una notevole deflazione di quel contenzioso Stato-Regioni che tanto grava, oggi, sulla operatività della Corte costituzionale, in quanto le istanze regionali troverebbero una sede permanente di confronto, appunto, in tale Camera.

3) Il Senato non dovrebbe più concedere né revocare la fiducia al Governo (in ciò ci discostiamo dall’impostazione nobilmente conservatrice dell’amico Manzella, il quale postula apertamente un “ritorno al passato”, cioè all’originaria proposta della Commissione dei 75, perché ci pare che le aperture al nuovo che avanza, sotto la pressione di una forte mobilitazione dell’opinione pubblica, siano troppo modeste).

4) Sarebbe automaticamente superata una – forse la principale – delle difficoltà poste dall’attuale legge elettorale, fonte di ingovernabilità e, in breve, dell’esigenza del Governo di ricorrere troppo spesso alla fiducia, anche come mala derivazione della pessima legge elettorale impostata su premi elettorali al Senato differenziati per Regione. Sarebbe poi compatibile con la proposta qui avanzata un calibrato  rafforzamento del governo effettuabile, con distinta revisione, nella linea in generale indicata come modello del cancellierato.

5) Il numero dei senatori potrebbe stare tra 100 e 150: una cifra che consente una differenziazione nel numero dei rappresentanti tra Regioni di maggiori e minori dimensioni, e che comporterebbe – di per sé – una significativa diminuzione del numero dei parlamentari, anche se il numero dei deputati della Camera scendesse solo a 400-500.
Il numero dei rappresentanti delle Regioni, prevalente su quello dei rappresentanti degli enti locali, potrebbe allora aggirarsi intorno ai 60-90, ripartito tra le varie regioni italiane in base al numero degli elettori residenti in ciascuna di esse. Quello delle Città metropolitane potrebbe essere intorno alla dozzina e quello dei restanti Comuni tra 30 e 50. Ovviamente tutte queste indicazioni numeriche sono suscettibili di negoziato politico e non sono tali da spostare l’asse del ragionamento.

6) Le funzioni del Senato regionale sarebbero certamente differenziate da quelle dalla Camera dei deputati, che resterebbe l’unica camera c.d. “politica”. In particolare, il nuovo Senato potrebbe essere dotato di un potere di veto sospensivo nei confronti dell’altra Camera, superabile con un nuovo voto di questa, salvo alcune enumerate leggi che per la loro particolare natura dovrebbero rimanere di carattere bicamerale; e questo potrebbe essere lo spazio appropriato per l’introduzione, eventuale, di “leggi organiche”. Ciò potrebbe riguardare le leggi di revisione, le leggi elettorali e le due leggi europea e di delegazione europea annuali. Un’articolazione effettuata essenzialmente in tal senso delle competenze senatoriali e del rapporto tra le due camere dovrebbe andare indenne da quegli effetti di alimentazione dell’incertezza e dell’inevitabilmente conseguente contenzioso che sono  inerenti a  troppo complesse formule di ripartizione, inclusa quella tedesca.

7) La scelta delle modalità di nomina dei rappresentanti regionali e locali come membri del Senato potrebbe essere fatta – anche qui in difformità dal modello tedesco - nel senso di attribuire una rappresentanza mista con prevalenza all’organo di governo: Presidenti regionali ed assessori, eventualmente con facoltà di delega, in modo da non pregiudicare la continuità dell’esercizio delle funzioni presidenziali e da assicurare, ove occorra, la presenza in Senato dei membri dell’esecutivo regionale competenti per le particolari  materie. Quanto ai rappresentanti degli organi consiliari, a loro volta comprensivi di esponenti delle minoranze, dovrebbe comunque trattarsi di consiglieri in carica. Questi sarebbero designati con un sistema elettivo di secondo grado dai e tra i membri eletti degli organi regionali e locali. In caso contrario (come dimostra anche la problematica esperienza austriaca) sarebbero frustrati gli obiettivi di cui ai n. 1, 5 e 9, e si riproporrebbe in modo surrettizio l’allargamento degli esponenti dei partiti, oggi assai criticato.

8) La presenza in Senato degli enti locali sarebbe auspicabile e giustificata dalla rilevanza costituzionale del loro ruolo ai sensi degli artt. 5, 114 e 118 Cost. (principio pluralista e di sussidiarietà istituzionale).
I membri elettivi di secondo grado potrebbero però essere, in questo caso, scelti dai Consigli delle autonomie locali  costituiti presso le regioni  (si ricordi anche che il Gruppo degli Esperti di nomina presidenziale che ha lavorato all’avvio della legislatura  ha ipotizzato che uno dei rappresentanti eletti dal consiglio regionale sia un sindaco).

9) I membri del Senato conserverebbero le indennità funzionali relative alla carica principale (nel senso di carica originaria): come presidenti di Regione o assessori o consiglieri regionali o sindaci o consiglieri comunali. Con la sola saggiunta di una (parziale) indennità perequativa e di una diaria per la presenza programmata di una settimana nella Capitale.

10) Le eccellenti qualità dei funzionari del Senato andrebbero dispiegate in un aumento della capacità di amministrazione e controllo della macchina amministrativa pubblica (sia statale che regionale-locale, che funzionale), che diventasse una mission non trascurabile dell’attività quotidiana del nuovo Senato, non dimenticando ed anzi facendo tesoro della massima del grande scienziato dell’amministrazione Lorenz von Stein, secondo il quale: “l’amministrazione è la costituzione in azione”.

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