Il presidenzialismo che viene dall’alto

19 Agosto 2013
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Sandra Bonsanti
(da Libertà e Giustizia del 24 luglio 2013)

Aspettando quel peggio che deve ancora arrivare, sappiamo che quest’anno non ci sono vacanze per nessuno. Grava sui pensieri di tutti lo spettro della doppia crisi, economica e istituzionale, che è ormai tra noi, autentico dominus della vita pubblica e privata. Resta solo, consci che le bizzarrie della Storia non ci consentono di prevedere sbocchi identici al passato, il dubbio su quanta e quale democrazia ci resterà alla fine.
Sapendo che è una corsa a perdere.
Barbara Spinelli ci parla di un novecento che lei conosce molto bene. Costituzionalisti e storici come Gustavo Zagrebelsky denunciano le ferite al sistema istituzionale, altri, come Rodotà denunciano la crisi della società dei diritti. Tutti gli economisti ci preparano, appunto, al peggio.
A incupire i pensieri di tanti cittadini ci sono ormai anche due problemi.
1) esiste qualcuno, singolo o forza politica, che porta più responsabilità di altri per questa drammatica situazione?
2) la pacificazione invocata e suggellata con le larghe intese, la ricerca ossessiva di mettere insieme Pdl e Pd contro le scelte degli elettori è risultata una strategia utile a vincere le due crisi oppure le ha fomentate dando loro il valore di una assoluta necessità istituzionale? Ha fatto bene oppure ha sbagliato il Presidente della Repubblica a sostenere e quasi a imporre questa scelta?
Ce n’è per perdere il sonno, la lucidità, la voglia di partecipare ancora alla vita politica di un Paese che si dibatte fra dubbi del genere.
Possiamo solo dire alcune cose e ribadirle tra noi, minoranze inascoltate.
Primo: non possiamo tacere, questo è il tempo delle parole, delle prese di posizione, del parlar chiaro. Pazienza se gli appelli si susseguono. Peggio assai sarebbe il silenzio.
Secondo: riteniamo sbagliato aver messo mano, in queste condizioni e con questi personaggi, allo smantellamento della seconda parte della Costituzione. Non così si fanno le riforme necessarie, non violando l’articolo 138. Non imponendo tempi di dibattito, togliendo la parola persino a Parlamento che sarà comunque limitato nella facoltà di influire.
Terzo: sì, ci sentiamo oppressi da una cappa di raccomandazioni da parte del Presidente della Repubblica, convinto che il ricorso frequente alle urne sia una patologia. Se di patologia si tratta, e potremmo anche dargli ragione, non la si cura certo dall’alto, imponendo scorciatoie e accusando di antipolitica chiunque dissenta. Non la si cura di certo sognando De Gaulle e la Repubblica presidenziale.
Quarto: responsabilità. Gli intellettuali, la società civile in questi anni hanno parlato: a contatto col territorio hanno visto crescere motivi e ragioni della disaffezione prima e della rabbia poi. La risposta a chi chiedeva partiti diversi e’ stata: senza questi partiti non c’è democrazia.
Abbiamo fatto la nostra parte. Siamo soddisfatti? Certo no. Ma l’auto assoluzione generale, il rifiuto di guardare in faccia colpe e sottovalutazioni, ci fa orrore.

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