Salute delle donne e medicina di genere

13 Agosto 2013
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Gianfranco Sabattini

Sul problema della medicina di genere sono stati recentemente pubblicati i risultati dell’attività svolta da una “Unità di ricerca” dell’Università di Cagliari, collocata all’interno di un sottoprogetto avente per titolo “Determinanti della salute della donne, medicina preventiva e qualità di cura”, coordinato da Flavia Franconi, Professoressa di Farmacologia Cellulare dell’Università di Sassari e Presidente GISeG (Gruppo Italiano Salute e Genere). Il sottoprogetto si inquadra nel più ampio progetto strategico nazionale: “La medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica: l’appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna”.
Lo sviluppo di una medicina gender oriented, orientata cioè a cogliere le differenze di genere rispetto ai processi di malattia, sta consentendo di evidenziare la causa dei frequenti fallimenti diagnostici e terapeutici nei confronti della salute delle donne. I recenti sviluppi di questa nuova branca di ricerca medica sta infatti permettendo di rilevare che la diagnostica medica ha sinora sottovalutato le condizioni di vita delle donne, con grave pregiudizio per la loro salute.
In particolare, la medicina di genere sta mettendo in luce come l’orientamento terapeutico verso le donne sia stato sempre di tipo prevalentemente naturalistico e sempre condizionato da pesanti deficit nella rilevazione di alcuni stati di malessere che si coniugano soprattutto al femminile, facendo velo in particolare sulle interazioni tra salute delle donne e condizioni di oppressione e violenza familiare.
Il nostro Paese si trova al 74° posto, dopo il Bangladesh, nel Global Gender Gap Report 2011 stilato dal World Economic Forum e occupa questa posizione soprattutto per i ritardi accusati riguardo a due aspetti della vita della donna: ‘opportunità e partecipazione alla vita economica’ (90a posizione) e ‘salute’(75a posizione). La situazione esistente in Italia è aggravata dal fatto che il diritto alla salute è garantito dalla Costituzione, il cui dettato però non prescrive effettivamente un’equità di cura fra uomini e donne. Ciò perché il corpo maschile ha sempre costituito, fin dall’antichità, la ‘norma’, nel senso che tutto ciò che veniva stabilito con riferimento allo stato di salute dell’uomo era poi acriticamente generalizzato al femminile, senza tenere conto delle differenze. Solo nel 1991 si è cominciato a riconoscere questo tipo di diversità; e solo ora si tende a valutare importante la “Medicina di Genere” da parte dei decisori pubblici e di alcune categorie di specialisti e ad indicare alcune linee di impegno futuro per il potenziamento dei risultati del nuovo approccio allo stato di salute di tutti i cittadini.
Il lavoro dell’Unità di ricerca dell’Università di Cagliari, coordinato da Antonio Sassu, si colloca in questa prospettiva ed i risultati cui l’Unità è pervenuta con riferimento alla Sardegna conferma lo “stato di minorità” della donna, sia sul piano della percezione dello stato di salute, che su quello dei fattori socioeconomici, della complessità dell’intreccio sesso/genere nella diagnostica e nella terapia e del tema del consumo dei servizi sanitari. C’è solo da augurarsi che i decisori politici traggano dai risultati acquisiti i giusti stimoli per adeguare in tempi rapidi l’attuale organizzazione del sistema sanitari nazionale, peraltro molto deficitario riguardo a molti aspetti della sua efficacia ed efficienza.

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