Non ci servono capi, ma partiti veri

7 Gennaio 2014
3 Commenti


Aldo Lobina 

Non posso sapere come andrà a finire perché non ho il dono della divinazione. Non so cioè se il movimento di Grillo – forse non lo sa nemmeno lui -  si presenterà in Sardegna alle elezioni di febbraio. Certo che se Grillo non concederà il simbolo il patrimonio elettorale sardo pentastellato si ridistribuirà solo in piccola parte tra   i cartelli elettorali superstiti, per il resto non parteciperà al voto. Un’astensione che servirà doppiamente a Grillo da una parte per misurare la sua forza, anche in negativo, dall’altra  per mostrare al suo stesso movimento come si sta in politica per essere nelle sue grazie. Punirne uno per educarne cento. Meglio la gallina domani in Italia e in Europa che l’uovo alla coque oggi nella isola di Sardegna.
L’intransigenza manichea non aperta alla discussione, la concretezza dell’esempio col rifiuto dei rimborsi elettorali, la giusta protesta anticasta, l’analisi, non del tutto sbagliata, della pressoché coincidenza  di valori e prassi di PDL (oggi Forza Italia2) e PDmenoL , il giudizio  sulla congiuntura economica imposta da altri e le nefandezze  dei rappresentanti eletti, sindaci , consiglieri regionali,   parlamentari, lontani dai bisogni essenziali dei cittadini, l’uso di internet, agorà mediatica libera in contrapposizione alle televisioni e ai giornali di regime,  hanno costituito una amalgama che è riuscita a coagulare un voto di protesta senza eguali, destinato a consolidarsi di fronte alla confusione regnante.
Già .. la confusione regnante. Nata dal venir meno di quella capacità aggregante, di quella attitudine mobilitante che i partiti del secolo appena trascorso sapevano mettere in campo sotto l’egida di un sistema di valori e di idee guida. Valori che riuscivano a trovare buoni testimoni e buoni interpreti  nell’applicazione di  quei principi operanti nella nostra Carta Costituzionale.
La strada, purtroppo ancora seguita, di una rigenerazione monocratica dei partiti, che si riconoscono meno nei programmi, frutto di elaborazione approfondita, e di più in  personaggi alla Berlusconi o alla Renzi o alla Grillo,  il tradimento della democrazia partecipativa, che doveva complementare e arricchire quella rappresentativa, hanno contribuito a rompere quel  delicato sistema democratico che abbiamo il dovere di costruire e ricostruire  continuamente.
Se nel secolo appena trascorso il conflitto sui beni economici si traduceva in organizzazioni politiche distinte, sopravvenuti nuovi e diversi rapporti sociali,  gli eredi di quelle, nella migliore delle ipotesi, oggi  sono alla ricerca di nuove ragioni della rappresentanza che si fondino sull’adesione  a valori educativi, solidaristici, a diritti civili nel segno di  disegni alternativi di società, non sempre facilmente interpretabili.  Nella peggiore delle ipotesi si arricchiscono a spese pubbliche con molti demeriti.
Presto, molto presto,  io credo che la demarcazione sempre più profonda tra ricchi e poveri , i problemi formidabili legati alla occupazione, soprattutto giovanile, quelli posti dagli immigrati, i nuovi diritti e i nuovi doveri legati alle persone e all’ambiente di una società più articolata e più aperta non solo geograficamente, imporranno scelte di campo  meno nebulose.  Esse non potranno fare a meno di organizzazioni partitiche rinnovate e della loro funzione politica. Non vedo infatti come possano essere considerati validi surrogati della funzione politica dei partiti i movimenti mono o paucitematici,  né considero salutari i partiti in balia dell’affabulatore di turno, che provenga  dal mondo dello spettacolo o da quello dell’impresa o da quello della politica poco importa.
La salvezza della nostra democrazia e della nostra Costituzione, il miglioramento delle condizioni di vita del nostro popolo, non può fare a meno dei partiti, lavati dagli scandali e dall’incompetenza, dall’occupazione del potere per il potere. Senza contrapposizioni con la  società civile, ma parti integranti di essa.
Penso che sia questa la sfida che abbiamo di fronte noi cittadini: ricostruire i partiti come strumento di selezione e composizione di interessi collettivi, baluardo di una stabilità democratica, priva di seduzioni lideristiche.

3 commenti

  • 1 Renato Monticolo
    7 Gennaio 2014 - 15:38

    Forse più che di capi o partiti c’è un estremo bisogno di progetti condivisi e portati avanti che abbiano, questi si, un capo e una coda.

  • 2 Franco Meloni
    8 Gennaio 2014 - 00:44

    Sono d’accordo specialmente con le considerazioni finali di Aldo Lobina e con il commento di Renato Monticolo. Lasciatemi trasmettervi una sensazione di fastidio sull’enfasi date nei commenti di questi giorni alle competenze accademiche di Francesco Pigliaru. Francamente abbiamo bisogno soprattutto di buoni politici (sempre più rari proprio per la crisi dei partiti evidenziata da Lobina) che sappiano fare il loro mestiere di politici per il periodo di impegno istituzionale e, questo sì, sappiano utlizzare le migliori competenze tecniche disponibili nelle amministrazioni e al di fuori, prendendo queste ultime anche dalle università, ma non solo. Rammentiamo le delusioni di Monti e del suo governo strapieno di illustri professori. Vediamo allora quanto Pigliaru, l’auspicabile presidente Pigliaru e non il prof. Pigliaru sarà in grado di fare per il bene della Sardegna e dei sardi. Aggiungo, anche se apparentemente fuori tema, ma invece ritengo pertinente, che quanto all’università, ai suoi docenti e ai suoi responsabili (rettori e pro rettori in primis) sarebbe ora che dimostrassero in quale precisa misura sono utili al paese e alla Sardegna, concorrendo a risolverne i problemi, piuttosto che stressarci su quanto il paese e la Sardegna fanno (o non fanno) per l’università.

  • 3 michele podda
    8 Gennaio 2014 - 08:54

    Affidarsi ciecamente a un capo è sempre molto pericoloso; persino nelle imprese militari alla vigilia di una battaglia si teneva un consiglio in cui i responsabili dei vari reparti riferivano e discutevano insieme sulle decisioni da prendere.
    In politica, quella democratica, il rapporto con i cittadini è condizione sostanziale per l’opera di governo, e piuttosto che un capo serve un COORDINATORE dei rappresentanti del popolo, il cui massimo impegno non dovrebbe essere quello di escogitare sistemi straordinari per produrre benessere sociale, ma semplicemente ASCOLTARE e RISPONDERE, con l’OPERATO e con la GIUSTIFICAZIONE di esso.
    Fra sindaci, consiglieri regionali e parlamentari (hai dimenticato i consiglieri provinciali, ancora in vita), io considero di primaria importanza i primi, perché i SINDACI costituiscono l’anello di collegamento privilegiato fra CITTADINANZA e POTERE POLITICO o GOVERNO, sempre che si tratti di comunità di dimensioni limitate, e non di metropoli che dovrebbero avere i “sindaci di quartiere”. La conoscenza diretta permette infatti un giudizio più veritiero sulle capacità e soprattutto sull’onestà e l’impegno degli eletti.
    Riportare in auge le vecchie SEZIONI purtroppo non sarà facile, ma io credo che i mezzi moderni (internet) potranno un giorno permettere una certa partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica.

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