Pigliaru, quale politica di crescita in Sardegna?

23 Febbraio 2014
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Gianfranco Sabattini

Le elezioni sarde pongono la questione della fuoriuscita dalla crisi e della crescita. In campagna elettorale abbiamo sentito tanti slogan. Ora per la nuova Giunta  si tratta di avanzare una seria politica economica. Ecco cosa propone Gianfranco Sabattini, autorevole economista dell’Ateneo cagliaritano. 

1. Le ultime elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale, se si prescinde dalla bassa partecipazione (peraltro grave) alle urne degli aventi diritto, il risultato per quanti aspirano ad assistere ad un cambiamento della politica regionale può per qualche verso risultare positivo. La elezione di un Presidente estraneo alla “casta” costituita da tutti coloro che sul finire del loro mandato politico nella scorsa legislatura hanno cambiato con un colpo di mano la legge elettorale per garantirsi una sicura riconferma, a scapito però della rappresentatività del nuovo Consiglio, è l’espressione di un indubbio vantaggio. E sebbene non sia stato possibile “pulire” le liste elettorali da tutti gli “indagati” ed evitare che alcuni di essi fossero rieletti, il neo-Presidente ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di arruolare nella sua squadra di governo quanti di essi sono stati riconfermati nella composizione del nuovo Consiglio.
Oltre a questo indiscutibile aspetto positivo del rinnovo del Consiglio, risulta anche vantaggioso per la Sardegna il fatto che il nuovo Presidente, pur “estraneo” agli intrighi del mondo della politica regionale, è dotato di una professionalità della quale nessuno dei suoi tanti predecessori è risultato dotato. Si tratta di un fatto quasi “rivoluzionario”, del quale la Sardegna potrà avvantaggiarsi, se la futura politica pubblica terrà conto dell’urgenza che, per il governo dell’Isola, sia realizzata una discontinuità rispetto al passato. Quest’ultima, però, sarà difficile realizzarla se non si terrà conto della necessità che si operi in tal senso una “sterzata” decisiva.

2. Per rinnovare il modo di fare politica in Sardegna, occorreva realmente un Presidente libero dai “ricatti” elettorali ai quali non avrebbe potuto sottrarsi se egli fosse stato espressione del personale che negli ultimi lustri ha costituito la maggior parte della società politica della Sardegna.
Il punto di partenza della “sterzata” dovrebbe essere la precisa consapevolezza del come si configura oggi la Questione Sarda: la Sardegna ha sperimentato sinora politiche pubbliche che hanno considerato le attività produttive ad effetti diffusivi endogeni come irrilevanti rispetto alla crescita e allo sviluppo. L’insuccesso di tale politica è dipeso dal fatto che il modello di “industrializzazione forte” privilegiato non ha avuto il supporto di una sufficiente giustificazione economica e di una larga legittimazione sociale.
Il vecchio approccio alla politica di crescita e di sviluppo risulta oggi del tutto obsoleto, rispetto al quale l’unica risposta possibile dovrebbe essere una politica pubblica fondata sull’elaborazione di linee di azione totalmente innovative, in quanto aperte ad una considerazione più complessiva dei rapporti tra attività produttive, cambiamenti sociali, equità distributiva, mercato e forma organizzativa della struttura istituzionale.

3. La nuova politica regionale dovrebbe evitare le procedure decisionali dei governi succedutisi alla guida della Regione. Sinora, tutti i governi regionali hanno mostrato di essere affetti da una sorta di “delirio accentratore”, la cui vocazione ha generato un insieme di effetti negativi, quali la mancata creazione di condizioni per un’effettiva politica di crescita e sviluppo dei singoli territori, la mancata definizione delle modalità organizzative per il coinvolgimento, nella messa a punto delle politiche di crescita e di sviluppo, dei singoli attori locali, lo scoraggiamento di ogni forma di partecipazione responsabile di questi operatori alla formulazione delle politiche pubbliche per l’approfondimento del loro senso di appartenenza alla comunità e al territorio, il mancato rafforzamento della capacità degli attori locali di auto-organizzarsi e della loro volontà di contribuire a cambiare le condizioni delle loro comunità.
Tutte le forze politiche regionali dovrebbero impegnarsi a “vivere” una stagione costituente, fondata:
- sulla convocazione di un Nuovo Congresso del Popolo sardo, per riproporre, sulla base dell’esperienza vissuta, dacché è stata concessa l’Autonomia Speciale, la definizione dell’identità storico-culturale delle popolazioni isolane; con l’impegno di tutte le forze partecipanti al Congresso di vigilare perché sia evitato lo “stravolgimento” delle decisioni finali, com’è accaduto per quelle assunte dal Primo Congresso del 1950, da “decisioni calate dall’alto”;
- sulla riscrittura delle ipotesi di crescita e sviluppo dell’Isola conformi alle direttive indicate dal Congresso, nella prospettiva della valorizzazione di tutte le opportunità dei singoli territori regionali legate alle risorse tradizionali;
- sulla riscrittura dello Statuto con conseguente articolazione dell’organizzazione complessiva della Regione, in funzione del coinvolgimento nei processi decisionali dei livelli di governo sotto-ordinati rispetto al livello regionale.
La contemporaneità dei tre momenti (identitario, economico ed istituzionale) dovrebbe in ogni caso indurre, da un lato, a considerare il momento identitario come fonte dalla quale derivare le direttive socio-economiche da seguire nella formulazione degli interventi da promuovere a livello dei singoli territori regionali; dall’altro riscrivere lo Statuto solo in funzione della riformulazione degli obiettivi di crescita quantitativa e di sviluppo qualitativo che saranno perseguiti.
La riscrittura dello Statuto, secondo la procedura inclusiva dei tre momenti indicati, dovrebbe perciò essere coniugata con un processo di profonda riorganizzazione della struttura giuridico-formale della Regione, per renderla più idonea ad assicurare l’autonomia decisionale delle sue diverse articolazioni territoriali.

4. La futura politica pubblica regionale dovrebbe destinare le risorse scarse a disposizione per “correggere” la base produttiva regionale per liberarala degli errori del passato, ma anche per risolvere le tensioni sociali indotte dall’instabilità occupazionale che, durante il periodo di riorganizzazione dei rapporti produttivi potrebbero insorgere.
Le risorse delle quali la Sdegna disporrà dovrebbero essere utilizzate per finanziare una politica sociale destinata a garantire un reddito minimo (linea di politica economico-sociale sempre più condivisa ed adottata nelle economie di mercato in crisi e impegnate nella realizzazione di una politica pubblica di crescita e sviluppo riformatrice) alla forza lavoro che, nel periodo di transizione verso l’attuazione della nuova politica pubblica regionale, dovesse perdere ogni capacità di accesso al reddito.
L’impostazione della nuova politica di crescita e di sviluppo dell’Isola sarebbe, tuttavia, del tutto improbabile se la sua attuazione non fosse sorretta da un largo e generalizzato consenso di gran parte, non solo delle forze politiche, ma anche dell’intera società civile regionale. Il consenso sull’attuazione della nuova politica pubblica, ovviamente, dovrebbe servire ad evitare che il governo futuro della Sardegna non sia più realizzato sulla base di politiche d’intervento caratterizzate da continui cambiamenti in funzione del mutare delle maggioranze politiche. Potranno pure cambiare le modalità di attuazione degli interventi, ma questi dovrebbero essere sempre vincolati al perseguimento degli obiettivi fissati sulla base del consenso politico e sociale acquisito.

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