Perché ho firmato il ricorso contro la legge elettorale

12 Aprile 2014
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Gianna Lai 

C’è per fortuna una bella Costituzione ancora in Italia, e molto amata, tale da mantenere  la sua vitalità a dispetto di  parlamentari  nominati, e di una classe  dirigente ormai del tutto screditata, che di questo paese  sono la vera antipolitica. E c’è una Consulta in Italia,  vero argine contro l’iniquità delle loro leggi, e della gravissima  svolta autoritaria imposta dalla  Finanza europea, che può salvare welfare e lavoro e  diritti e  Costituzione. Condivise  con determinazione  dal nostro presidente della Repubblica come se, per continuare a firmare provvedimenti iniqui e leggi devastanti, avesse preteso la rielezione, è la Corte che deve poi intervenire quando le leggi hanno provocato danni ormai irreversibili. Come nel caso del Porcellum, che la attuale maggioranza parlamentare si guarda bene dal modificare, pretendendo di neutralizzare in Parlamento e nel Paese l’opposizione dei Cinquestelle. E come può succedere qui da noi con la  legge elettorale della Sardegna, approvata in fretta e furia poco prima delle elezioni, che pone ai cittadini davvero un grave caso di coscienza di fronte alla impossibilità di esercitare il diritto di voto, già cancellato, appunto col Porcellum, a livello nazionale. Mi posso assumere  la responsabilità di avallare con il voto un sistema che distrugge la democrazia e la partecipazione, e che accentua i caratteri della casta chiusa in sè, proprio come in India  sono le caste, creando un Consiglio di nominati? Che, per far fuori la gente che la pensa diversamente, stabilisce premi e sbarramenti e alleanze obbligate e di servizio, in modo da garantirsi maggioranza e opposizioni controllate? Che, pur perdendo voti a valanga, gradisce se i cittadini, espropriati e delusi, smettono di votare, e sopratutto i giovani,- meglio così, meno partecipazione meno rompiscatole in giro? Sto parlando del sistema Pd-Pdl in Sardegna, specchio dell’alleanza di governo a livello nazionale che, per chiarire subito le intese sulle quali si sarebbe  formato il nuovo parlamento sardo dopo queste ultime elezioni, ha stipulato  un matrimonio altrettano nefasto e stabile, con questa legge elettorale, quanto quello definito a Roma.
Eppure nessuno aveva dato mandato al Pd di stringere alleanze col Pdl di Cappellacci su questo terreno, nè di intendersi sull’esclusione sistematica delle donne dal Consiglio, nè di fissare premi di maggioranza obbrobriosi che sono uno schiaffo alla indicazione della nostra Carta costituzionale, decisamente orientata verso  il proporzionale. Un altro Porcellum in Sardegna, di fronte a una massa di elettori rassegnata, anzi ancora frastornata dalle vicende giudiziarie che coinvolgono i gruppi consiliari, tutti i gruppi, come se anche sul peculato fossero state formulate  larghe e fraterne intese. Un attacco alla Costituzione imperdonabile, e siccome tanti di noi hanno fatto parte dei Comitati in difesa della Costituzione fin dal loro primo sorgere, negli anni novanta, intendiamo quella battaglia mai interrotta. Che si tratti di opporsi ai provvedimenti Renzi-Berlusconi, di aderire all’appello Rodotà-Zagrebelsky, che si tratti di ricorrere alla Corte sulla legge elettorale della Sardegna. Contro i governi della destra siamo riusciti negli anni scorsi ad impedire lo scempio della Costituzione. Non è più bello oggi lo scempio se a compierlo, insieme a Berlusconi, c’è anche il Pd. Gli elettori di Centro sinistra lo capiranno, sarà poi la Corte a decidere, quando e se il Tar le invierà gli atti.  

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  • 1 Antonio Pabis
    12 Aprile 2014 - 14:08

    E per quanto riguarda lo SBARRAMENTO alle donne, ecco cosa ci insegnano i kurdi di Ocalan: PER OGNI CARICA POLITICA UN UOMO E UNA DONNA.

    Kurdistan Turco. La rivoluzione e la democrazia paritaria raccontata da Zozan, una combattente

    di Emanuela Irace

    La rivoluzione che ha previsto la democrazia paritaria

    Per ogni carica politica un uomo e una donna. Nel Kurdistan turco si realizza l’uguaglianza di genere nelle assemblee elettive, voluta da Ocalan. La testimonianza di Zozan, resistente kurda e dirigente politica.

    Entrato di soppiatto sul tavolo dei negoziati, che hanno scandito la road map di pacificazione interna tra il Governo di Ankara e il leader dell’opposizione kurda Abdullah Ocalan, il principio di uguaglianza di genere è diventato realtà dal 30 marzo scorso. Una vera è propria rivoluzione che non ha uguali nel mondo. Né a Oriente. Né a Occidente. Succede in Turchia o meglio nel Kurdistan turco, propaggine orientale della Repubblica, ai confini con Iran e Siria. Con le elezioni amministrative di fine marzo, il Bdp, “Partito della pace e della democrazia” - evoluzione parlamentare del PKK - ha istituzionalizzato la piena rappresentanza di genere per ogni carica politica.

    Un principio adottato fin dal 2000 in tutti gli organismi interni al partito. Una pratica che prevede la partecipazione dei due generi per ogni funzione. Un uomo e una donna per ogni carica. È la democrazia paritaria voluta dal leader kurdo Ocalan - da 15 anni in isolamento nel carcere dell’isola di Imrali con l’accusa di terrorismo. È questa la vera sfida con cui dovrà fare i conti l’autoritario Primo Ministro turco Recep Tayyp Erdogan.

    Travolto dagli scandali ma vincitore alle ultime elezioni municipali, ad eccezione del Kurdistan. L’AKP, “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo”, il partito del Premier, ha infatti tenuto in Anatolia, conservando tra le altre Istanbul e Ankara, ma le grandi città kurde sono restate in mano al Bdp. In totale sono 11 province, 68 distretti e 23 città in cui ha vinto il partito a maggioranza kurda quest’anno largamente votato anche da altre etnie. Un risultato che ha dato vita ad una nuova categoria socio-politica destinata ad entrare nella Storia. “La novità di queste elezioni sono le centinaia di donne elette nelle città. Con la co-elezione dove vince il Bdp ci sarà sempre un sindaco e una sindaca.

    Nessuno dei due potrà prendere una decisione senza l’accordo con l’altro. In caso di conflitto media il Consiglio della città e il Consiglio comunale. Lo stipendio viene ripartito in parti uguali, anche se il Governo di Ankara ne riconosce formalmente solo uno”. dice Zozan, responsabile politica delle donne di Van. 350mila abitanti e una provincia a maggioranza agricola. Incastonata tra le montagne. A 1700m sul livello del mare. Un coacervo di etnie e culture. Turcomanni, armeni, azeri ecc. E 90% di kurdi. Un paesaggio mozzafiato. Sullo sfondo il lago omonimo. Al centro l’isolotto che conserva una delle poche chiese rimaste intatte sul territorio. Un gioiellino d’arte bizantina. Sulle pareti l’affresco della Madonna che allatta.

    “Rispetto alla democrazia paritaria, come donne del Bdp, ci siamo poste tre obiettivi: Istituzionalizzare il principio che ogni carica debba essere ricoperta da entrambi i generi. Politicizzare la partecipazione delle donne avvicinandole alla politica. Socializzare questo modello diffondendolo a tutti i livelli della società. Non è stato facile ma ce l’abbiamo fatta. Anche se ci sono resistenze feudali la mentalità corrente da oggi non sarà più la stessa“. Una esigenza nata dal basso, spiega Zozan, che ha dato adito a molte critiche: “Il Governo turco non riconosce questo principio che noi del Bdp stiamo applicando. Siamo convinte che la pratica dei co-sindaci sia un modo per modificare i rapporti di forza interni alla società.

    Noi non vogliamo parlare di quote ma di piena rappresentanza di genere”. Zozan non vuole essere fotografata. Ha passato metà della sua vita in carcere. Non ha visto crescere i suoi tre figli. Il maggiore ha 20 anni. Lei 45. Ha il viso senza rughe, lo sguardo serio. I capelli neri e lunghi sembrano quelli di una ragazza. Per due volte è fuggita dal suo villaggio incendiato dall’esercito. Poi la prigione: “È stata dura. Non me la sento di raccontare”. Sposta lo sguardo e riprende a parlare di politica. I metodi di assimilazione violenta contro l’etnia kurda sono stati per decenni pratica consolidata dei Governi cui ha assistito senza batter ciglio la Comunità internazionale.

    Ancora oggi continuano gli arresti di sindaci e avvocati. Il sistema carcerario turco è durissimo e i minori convivono in cella con gli adulti. Durante le elezioni del 30 marzo ci sono stati brogli e scontri in molte città del nord e ai confini con la Siria. In alcuni distretti è stata ripristinata la legge marziale. Un bilancio catastrofico: 8 morti e una trentina di feriti. Troppi per uno Stato membro della NATO che ambisce ad entrare in Europa. “Dopo l’uccisione a Parigi delle tre attiviste kurde non mi aspetto più niente dalla Ue. Ho fiducia nel mio popolo e nella democrazia. Il processo di pace deve continuare. Spero che la percezione che i kurdi siano terroristi possa cambiare presto”.

    10 aprile 2014 Noi Donne

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