Vendetta, delitto d’onore e superiore motivo morale

20 Luglio 2014
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Giulio Lobina

Quando trascorri una notte serena in struttura hai tempo per leggere. Di tanto in tanto A aveva bisogno di una grattatina sulla schiena per far uscire aerei di linea che aveva dentro la pelle e si avvicinava con la maglietta alzata sopra le spalle, poi, dopo una o due orette passava per fumarsi una sigaretta handmade in veranda e ti accorgevi che aveva finito di fumarla sentendo una tosse carica, da bronchite cronica. E poi ancora per un bicchiere d’acqua. Andava dritto in cucina, lì c’è la caraffa blu.
E tu hai tempo di leggere. Seduto su un divano morbido che diversamente concilierebbe il sonno, ricco di cuscini. Della TV ti stufi, ad un certo punto, e la lettura di un buon libro, o di due, ti regala momenti di riflessione e collegamenti che appaiono utili per preparare una lezione universitaria sull’attualità di Màrquez e gli intrecci con il delitto d’onore per il quale i Vicario, dopo tre anni di carcere, verranno assolti dall’accusa di omicidio. Nel testo dell’autore colombiano, uno dei romanzi più corti ma più intensi di Gabo, i fratelli Vicario vendicano così l’offesa all’onore della propria sorella e dunque della famiglia intera, annunciando un omicidio compiuto con i coltelli da macellaio, sbudellando la vittima, il turco Santiago Nasar, il quale morì nell’innocenza di una verginità del pensiero, giacchè mai si seppe se fu davvero lui a violare la verginità di Angela Vicario sposata da un uomo che la riteneva illibata, che la ricondusse a casa della madre il giorno dopo le nozze.
Hai tempo di rimanere affascinato da un modello di vendetta che non è solo “barbaricina”, ma oltrepassa il mare e l’oceano e giunge ove Màrquez ambienta la sua Detective story. Il delitto d’onore era permesso anche in Italia, a veder bene. Oltre la nostra isola di Sardegna dunque. Oggi, sui social networks si tende, in qualche modo, a giustificare alcuni delitti d’onore. Augurando morte o auspicando vendette private contro certi delitti prima ancora di capire se l’indagato, poi imputato, sia realmente riconosciuto reo. Diventiamo tutti un po’ come i fratelli Vacario. Pronti ad imbracciare due coltelli per macellare e sventrare porci. E anche quando ci tolgono di mano i coltelli, andiamo a prenderne degli altri.
Io non ho compreso se fosse o no colpevole Nasar, il turco.
Ma ho compreso che Màrquez ha lasciato di proposito questo dubbio, soffermandosi invece su un’altra questione. Ha messo in gioco il delitto d’onore. L’amicizia, l’Amore, il desiderio, la civetteria di certe donne che sapevano come imbrogliare il marito fingendosi Vergini, con tutti i loro stratagemmi della prima notte di nozze. Dal bromuro per colorare le lenzuola di rosso sangue, al provocare lo stato di ebrezza nel marito perchè fosse confuso e perchè la mattina dopo la sbornia non ricordasse nulla se non il piacere del viso beffardo della moglie compiaciuta dell’esser sembrata, a lui almeno, vergine.
Ho compreso che Màrquez non fa neppure riferimento a quella nostra seconda parte del principio della vendetta dell’offesa. Il codice della vendetta barbaricina, infatti, offre al sardo un pentimento che diventa onore ancor più grande della vendetta. Pigliaru, nel testo che sto leggendo parallelamente ai romanzi, quando la notte posso dedicarmi alla lettura, ricorda infatti un “superiore motivo morale”.
Ma veniamo all’articolo intero, per completezza:
1. - L’offesa deve essere vendicata. Non è uomo d’onore chi si sottrae al dovere della vendetta, SALVO NEL CASO CHE, AVENDO DATO CON IL COMPLESSO DELLA SUA VITA PROVA DELLA PROPRIA VIRILITA’, VI RINUNCI PER UN SUPERIORE MOTIVO MORALE.
Ecco. L’onta del non vendicarsi viene meno, nel codice barbaricino, se uno rinuncia alla vendetta avendo già dato agli altri prova della sua virilità nell’arco della propria vita, ponendo alla base della rinuncia un superiore motivo morale. Mi sono chiesto, dunque, quale potesse essere per i Vicario, macellai, un superiore motivo morale per non vendicare l’offesa alla sorella.
Poi mi sono anche chiesto se mai, nella loro vita, i due macellai, uno dei quali era stato anche soldato, avessero effettivamente dato prova della propria virilità. No. Credo proprio che questo delitto fosse per loro il primo segno di virilità. Credo fosse per loro il modo di mostrare al proprio paese quanto fossero uomini. L’avevano detto a tutti. Tutti sapevano che avrebbero ucciso Nasar, non tanto per esser andato a letto (forse) con la propria sorella. Ma piuttosto perchè a causa di questo il marito di lei l’aveva ripudiata dopo la prima notte di nozze, il giorno dopo il matrimonio, il giorno dopo la festa grandiosa nella quale avevano bevuto tutto il giorno e la notte con l’amico Nasar.
E Angela pronunciò il nome di Nasar, forse, proprio perchè essendo un uomo ricco ed essendo amico dei fratelli Vicario, questi non avrebbero mai pensato d’ucciderlo, rinunciandovi temendo a loro volta non tanto il carcere ma la vendetta degli arabi.
Per loro fu dunque una prova di virilità. La prima prova di virilità, senza la quale uno dei due non si sarebbe mai sposato. La sua donna infatti lo aspettò per tre anni, mentre era in carcere in attesa di giudizio, lo aspettò per tre anni e quando rientrò a casa assolto perchè il delitto fu giustificato dalla vendetta per un’offesa gravissima, lo sposò.
Oggi sono a piedi.
Oggi ho avuto dunque un po’ di tempo per scrivere questa piccola riflessione sulla vendetta e sul delitto d’onore. Sulle offese per le quali si pretende vendetta e su questo “superiore motivo morale” che altro non può essere secondo me del comprendere che il perdono è stato ben più volte citato anche nei Vangeli, non tanto con motivi morali…quanto con quella frase di Cristo che davanti all’adultera che stava per essere lapidata, disse alla folla: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Nasar era un turco. Ma i fratelli Vicario no. E Angela non era certo la Maddalena, ma per costumi, a lei s’avvicinava prima dell’incontro con Cristo.
Ho letto in questo periodo tanti di quei giudizi, dati senza prudenza e senza richiesta alcuna, da far drizzare la pelle. Ho letto sentenze emesse dal popolo della rete su processi non ancora celebrati.
Atru ca is contusu de bixinau. Non c’è piazza più grande di un social network, ma se fosse davvero tale, se fosse una piazza, qualcuno o qualcuna dovrebbe anche sedersi su una panchina e leggersi un bel libro, anzichè aprire la bocca giusto per dire la sua. Certo, siamo in democrazia, e tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione. Ma un conto è esprimere una opinione, altro è anticipare sentenze, condannare, diffamare, calunniare dimenticandosi la prudenza, il buon senso e la civiltà.
Quando scagliamo una pietra, non torna indietro. Non torna indietro.
Il dubbio ti fa scrivere un Romanzo…ma le condanne giungono “oltre ogni ragionevole dubbio”.

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