Chiedo asilo…

15 Ottobre 2014
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Caterina Gammaldi, dirigente del CIDI

Antefatto
Com’è mia abitudine leggo di tutto e ascolto molto per farmi un’idea di quel che gli altri pensano e scrivono/dicono. Un’abitudine che non è venuta meno nel corso degli anni, ereditata dalla scuola di cui sono stata allieva prima (fino agli anni ‘70) e insegnante poi  per lunghi anni (dagli anni ‘70 al 2012).
Oggi il mio mestiere è un altro: faccio la nonna di un bimbo che frequenta la scuola dell’infanzia e ne osservo le conquiste; accompagno gli insegnanti in servizio e quelli che si avviano alla professione nei percorsi di formazione.
L’esperienza professionale, mai documentata e valutata ( ai “miei” tempi non “usava”),  è cresciuta nel  confronto  nella comunità professionale, negli organi collegiali, nel l’associazionismo, nel sindacato, nei partiti.
Un mix di politica, cultura e didattica di cui continuo ad essere orgogliosa.
E ora?

Una nuova stagione
Non so dire quando è cominciato, ma via via nel tempo ho visto sedimentarsi nella società e nella scuola principi neoliberisti e luoghi comuni che non mi piacciono.
Tutti, proprio tutti hanno la terapia giusta, in spregio delle sfide educative e delle condizioni reali di lavoro nella scuola (e non solo).
C’è una continuità nelle scelte che non consente di distinguere il pensiero dall’azione e chi si riconosce in una parte viene spesso isolato, definitivo utopista o piantagrane.
Rafforzare l’identità, l’autonomia, la competenza, la cittadinanza è reclamato a gran voce da ogni dove e a tutte le età. Ma .per quali idealità?
La scuola dell’emancipazione, del riscatto sociale, della Costituzione  per cui in tanti abbiamo lavorato e ancora lavoriamo,  cede il passo a idee di modernizzazione pretestuose e ingannevoli ( made in Italy, coding etc.
Segno dei tempi?

Le consultazioni
Più volte mi è capitato di partecipare, nel corso degli anni a momenti di consultazione su documenti di indirizzo o programmatici che avevano a riferimento la buona scuola fra i 3 e i 19 anni.  Più volte ho dato un contributo di idee e proposte, costruendo insieme ad altri (colleghi delle associazioni professionali, dei sindacati, di scuola)  testi scritti che sono stati presentati al Miur , al Parlamento, ai soggetti attivi sul territorio..
Questa volta mi sembra di non capire o di capire molto bene il senso dell’operazione in corso.  Chi ha avuto l’opportunità di leggere il questionario su cui è stata aperta la consultazione on line del documento La buona scuola, può osservare che, a fronte di una scelta già scritta in ogni premessa, le alternative sono solo di consenso o dissenso.
È vero,  c’è sempre una voce “altro” che consentirebbe un commento o un’alternativa,, ma in una società in cui tutti inseguono la semplificazione   non credo  ci siano le condizioni per l’argomentazione.
Viviamo il  tempo delle risposte individuali , date in solitudine e quando si dovesse decidere di darle in  momenti di confronto non oso immaginare quel che potrebbe accadere alle cosiddette proposte minoritarie.
Eppure, a voler prendere sul serio l’idea di consultazione si potrebbe convenire che siamo di fronte a una grande opportunità.  Ma chi si preoccupa di fornire orientamenti in tal senso? Non mi pare che incontri di un’ora del governo o dell’amministrazione  con i soggetti collettivi  - quando ci sono - possano consentire alla politica di acquisire punti di vista, idee e proposte anche diversi.
Il consenso si costruisce con i pareri dei singoli su cui pesano esperienze, storie personali assai diversificate.

Il merito
Sarà perché la mia generazione ha giurato, all’atto del l’immissione in ruolo, sulla Costituzione, sarà perché tutte le leggi e gli atti che sono stati emanati chiedevano alla scuola di farsi garante del diritto di apprendere, sarà perché appartengo a una generazione che non ha mai reclamato aumenti di stipendio se non riconoscimento e valorizzazione della professionalità che fa bene alla scuola, a trovo particolarmente pericoloso non collocare la proposta del governo in quel che, a buon diritto,  possiamo considerare la tradizione culturale del nostro Paese.
Il cambiamento!!. Penso che ne abbiamo proprio bisogno, ma non perché l’Europa lo vuole, se mai perché il nostro paese ha bisogno di cittadini colti e consapevoli, non sudditi.  I rischi della modernizzazione, dell’apertura ai privati, di qualche ora in più, di una governance che sceglie gli organismi monocratici , dell’indebolimento del valore legale del titolo di studio,   la rappresentanza di secondo livello … sono tutti li a ricordarci che la strada del confronto e del dialogo è certo difficile, ma l’unica praticabile se si vuole dare valore all’istruzione per tutti e per ciascuno.

Le condizioni di lavoro
Più volte abbiamo segnalato il peggioramento delle condizioni di lavoro nella scuola, certo per le emergenze educative di cui scrivono in tanti, ma se mi è consentito  per un eccesso di burocratizzazione, procedure e strumenti inutili, invocati per la trasparenza degli atti..
Quasi che il problema non fosse far crescere l’idea di cultura della scuola, il tema di gran lunga più importante..
Non eludiamo il tema della precarizzazione del lavoro, le 50000 cattedre vacanti ogni anno, le migliaia di insegnanti in graduatoria per una manciata di ore, spesso ostaggio di istituti privati in cui non sono pagati in cambio del punteggio gridano vendetta..
Colleghe e colleghi a cui si sottrae la dignità del lavoro, ogni volta licenziati, con poche garanzie e nessuna speranza per il futuro.
Ben venga, dunque,  la stabilizzazione, a patto che non si chieda loro di essere lavoratori a tutele crescenti, con contratti diversificati, assunti per occuparsi di temi che sono propri della funzione docente, a ciascun insegnante..
Se osserviamo quel che accaduto al tempo  di Tremonti e Gemini, gli interventi sono stati fatti per ridurre la spesa.  Dovremmo avere il coraggio di ammettere che i modelli organizzativi oggi praticati nella scuola primaria e secondaria sono l’esito di un processo che ha inteso risparmiare a danno della qualità del lavoro, degli studenti e degli stessi insegnanti.
L’assunzione dei precari dovrebbe essere vista, a mio parere, come un modo per restituire quel che è stato tolto, a partire dai modelli orari, dalle compresenze, dai laboratori.
La scuola dei tempi distesi, del tempo necessario … garantisce apprendimenti significativi.

La formazione iniziale. La ricerca - formazione e lo sviluppo professionale
C’è nella  situazione che ho tentato di descrivere un’idea di insegnante individuale, che per meriti, anche questi individuali, accede al premio.
Se non mi inganno gli insegnanti italiani, anche nella proposta del governo sono,  ancora dipendenti pubblici ( v. il ricorso al concorso per l’assegnazione di una cattedra a un abilitato))  e ritenuti una comunità professionale di uomini e donne, che lavorano insieme per far crescere la cultura del Paese..
Ebbene per questa prospettiva è lecito proporre che il ruolo della scuola non sia marginale nel percorso di formazione iniziale. Già nel percorso di scienza della formazione primaria e nel biennio della laurea specialistica che segue la laurea triennale,  le competenze culturali - professionali dovrebbero essere costruite insieme fra università e scuola. .A maggior  ragione nel tirocinio. Invece le didattiche disciplinari sono esclusivo appannaggio dei docenti/ricercatori universitari. Ne va del riconoscimento e della valorizzazione della ricerca didattica applicata.  Si legge che la formazione in servizio sarà obbligatoria.
Bene, ma come si costruisce il circolo virtuoso fra le proposte dell’amministrazione, dei soggetti qualificati, delle scuole se non nella direzione di costruire occasioni reali di  ricerca – formazione che abbiano una ricaduta sulle scuole?. Solo la ricerca - formazione centrata sulla scuola può consentire lo sviluppo professionale. Crescere come  intellettuale collettivo  intorno a obiettivi dichiarati e praticati è quel che serve alla scuola. .  Non ci piace discutere di premialita, di carriera; si va verso nuove gerarchie fra insegnanti e insegnamenti. La scuola cresce se c’è un esercizio di responsabilità e di azioni collettive.

PS. Nei giorni scorsi ho pensato a lungo … ” voglio scendere..”  Mi rendo conto ora che ho scritto  che non posso smettere. È il mio mestiere. Continuo a essere insegnante anche se non ho cattedra né alunni ( se non quelli che mi vengono dati nei PON, in genere quelli in difficoltà di apprendimento o che hanno necessità di orientarsi).. Per loro continuo a pensare che valga la pena insistere e  trovare la strada per far crescere la scuola nella , nella relazione educativa e  nell’ apprendimento. Alla politica del qui e ora, al mondo della cultura, alla scuola chiedo asilo ….

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