Il populismo di Renzi e la fine dello stato di diritto

26 Ottobre 2014
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Maria Mantello – Micromega

Sulla strada già ben asfaltata dal grande piazzista mediatico Silvio Berlusconi, la politica del proclama sembra essersi sublimata nel presidente del Consiglio in carica che irradia i suoi twitter-spot da internet ai talk-show, dalle conferenze stampa ai convegni.
Il riduzionismo argomentativo fino all’esaurimento ne è la caratteristica. L’argomentazione implica infatti confronto, riflessione, ascolto. Per la dialettica delle idee da sostenere, discutere, verificare occorre almeno un poco di tempo.
Troppo! Bisogna decidere subito e soprattutto fare. Questo lo stilema della reiterazione comunicativa.
L’aveva in verità inventato già Craxi, ma Renzi su di lui ha un vantaggio: la simpatica impertinenza di un giamburrasca che maschera l’arroganza di chi prima proclama e poi ascolta (se mai!). Anche i sindacati, con cui in un’ora apre e chiude il dibattito. Che svolta! Ma lo spot-twitter tiene. E questo basta!
Al limite, come sulla scuola, c’è il virtuale sondaggio. Meglio se il modulo è binario: sì/no; vero/falso, e comunque all’interno del circuito stimolo-risposta che dai cani di Pavlov ai piccioni di Skinner ha fatto cattiva scuola.
Il proclama comunque passa e ognuno nella superficialità diffusa può trovarci una propria soddisfazione nell’induzione dell’automatismo emozionale, che risparmia dal fastidioso peso di pensare.
Si cambia, finalmente si cambia! il ritornello continua. E nelle fiducia in bianco, il non senso avanza nel corto circuito allucinatorio dell’esaltazione dell’utilitarismo mercatista.
Bisogna pur cambiare! Ho fiducia che qualcosa cambi, ripetono in molti. Basta critiche! Basta contrapposizioni!
Così nella falsa riconciliazione tra chi il potere detiene e chi ha l’abbaglio di farne parte perché comunque resta a sorreggerlo, il populismo cresce e sguazza nella servitù consenziente che alleva. E se si prova a dire che «gli schiavi della civiltà industriale sviluppata sono schiavi sublimati, ma pur sempre schiavi», c’è magari qualcuno che forse ricorda pure che la frase è di Marcuse e si inalbera: E basta con sta storia dell’uomo a una dimensione!
Poi magari si scopre che questo qualcuno ha stampato edizioni preziose e riservate a pochi eletti di cerchi magici berlusconiani, oppure ha abbracciato l’iperliberismo quando essere di sinistra non gli serviva più per far macchia nei salotti di annoiati iperborghesi.
E in questa brodaglia di defezione morale trova plauso anche chi in Parlamento impettito ciancia di senso di responsabilità sentenziando: meglio turarsi il naso che far cadere il governo!
Era il refrain di chi votava e invitava a votare DC. Ma non fa scandalo ormai in un Pd che della Dc sembra essere una fotocopia e per giunta riuscita male.
Fatti salvi i pochi eroici dissidenti che vengono minacciati di espulsione o di sanzioni, mentre tutti gli altri votano deleghe in bianco per eliminare garanzie costituzionali, per assaltare la scuola pubblica, la magistratura, per affossare diritti e tutele sul lavoro con la promessa tanto falsa quanto consolatoria che ci sarà più lavoro. Forse, ma lavoro per schiavi.
Si cambia verso! Certo, abbattendo anche lo stato di diritto, verso un organico vassallaggio, se i proclami renziani diverranno “riforme”, come ben argomentano e spiegano quei “gufi” di intralcio alle “riforme”. Ma i loro argomenti sembra interessino poco anche a tanti italiani che quando si sveglieranno dall’ennesima fascinazione del capo, si troveranno intorno il vuoto della precarizzazione generalizzata della vita peggio dei nonni dei loro nonni.
La storia si ripete, la prima volta come tragedia, la seconda come commedia, diceva qualcuno… Oggi sembra essersi perso sia il senso della tragedia sia quello della commedia.

(14 ottobre 2014)

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