Esempi di razzismo creativo

25 Novembre 2008
1 Commento


Manuela Scroccu

Il disegno di legge n. 733 contenente “Disposizioni sulla sicurezza pubblica”, attualmente in discussione al Senato, è ormai diventato una mostruosa chimera giuridica in cui il qualunquismo securitario è innervato da emendamenti di un razzismo talmente greve, che cercare di commentarlo da un punto di vista del diritto è impresa titanica (almeno per chi scrive).  Siamo ormai oltre. L’impegno e l’assoluta devozione che la maggioranza di governo (Lega in testa, ma non solo) e i suoi parlaservi stanno dimostrando nell’erigere una “macchina legislativa” aberrante al solo fine di rendere la vita impossibile agli immigrati, identificati come i capri espiatori della crisi economica, ha un che di fideistico, di “religioso” che nulla ha a che fare con il rigore e la razionalità che dovrebbe dimostrare chi predispone un progetto legislativo destinato a regolare la vita delle persone.
Cominciamo, allora, l’analisi di questo museo dell’orrore giuridico prendendo spunto da alcune tra le disposizioni che si vorrebbero introdurre (c’è veramente l’imbarazzo della scelta) nel nostro ordinamento giuridico attraverso il “pacchetto sicurezza”.
Innanzitutto, si propone di impedire la celebrazione del matrimonio, in Italia, da parte dello straniero che non possa dimostrare la regolarità del proprio soggiorno. A questo proposito giova ricordare che un matrimonio tra “irregolare” ed “irregolare” non comporta, a tutt’oggi, nessun tipo di “regolarizzazione”. La ratio della norma allora sembra da ricercarsi (oltre che nella crudeltà pura e semplice che però non è una categoria giuridica) nella paura dei matrimoni misti tra cittadini immigrati e cittadini italiani o comunitari. Si cerca in tal modo di rendere difficile la possibile acquisizione della cittadinanza. Infatti, si prevede anche che l’acquisto della stessa per matrimonio possa avvenire solo dopo due anni di residenza nel territorio dello Stato o dopo tre anni nel caso in cui il coniuge si trovi all’estero. I tempi verrebbero dimezzati in presenza di figli, ma le precedenti disposizioni prevedevano un termine di soli sei mesi.
Aberrazione numero due: si introduce la necessità di esibire il permesso di soggiorno per tutti gli atti di stato civile. Sembra pertanto di capire che  anche il semplice ma sacrosanto diritto di riconoscere un figlio nato in territorio italiano verrà subordinato al possesso di tale titolo.
Ancora: si rende più farraginoso il procedimento per ottenere il ricongiungimento familiare.
La direttiva vigente stabilisce che, una volta trascorso il termine di 180 giorni assegnato allo Sportello Unico Immigrazione come limite per la consegna del nulla osta alla ricongiunzione famigliare, il soggetto interessato possa inoltrare direttamente la richiesta di rilascio del visto al consolato italiano competente, dimostrando l’avvenuta presentazione della domanda con tutti i documenti prescritti. Ebbene, l’abolizione di tale termine rende di fatto impossibile la presentazione diretta presso il consolato italiano competente anche a fronte della perdurante inerzia dell’amministrazione competente.
Verrebbe introdotta, inoltre, una tassa di 200 euro, non solo per ogni richiesta di concessione, acquisizione o naturalizzazione, quindi per ogni concessione inerente alla cittadinanza italiana, ma anche per ogni rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno.
Quest’ultimo documento, poi, diventerebbe  una sorte di patente a punti subordinata alla sottoscrizione da parte del cittadino straniero di “un accordo articolato per crediti specifici e obiettivi di integrazione”. Integrazione che, alla faccia dei dibattiti sul tema, viene magistralmente e ufficialmente definita nell’art. 41 comma 1 del testo proposto dalle Commissioni riunite:”ai fini di cui al presente testo unico si intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri nel rispetto dei valori sanciti dalla costituzione italiana impegnandosi reciprocamente  a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società”. Il senatore Adamo (PD) ha chiesto, durante la discussione al Senato, che quantomeno il Governo (o chi per lui) provveda a fornire il testo di un soggetto evitando di produrre un testo legislativo con un errore di sintassi. Almeno, che si rispetti la grammatica perché il resto è un esempio magistrale di ingegneria della deficienza giuridica.
Le condizioni che sono poste allo straniero in sede di sottoscrizione di questo accordo di integrazione, prevedono l’attribuzione di 10 crediti a fronte del possesso dei seguenti requisiti:
1) livello adeguato di conoscenza della lingua italiana; 2) adesione alla carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione contenuta nel Decreto del Ministero degli Interni dl 23 aprile 2007; 3) infine, conoscenza basilare delle regole fondamentali dell’ordinamento giuridico il cui rispetto costituisce un presupposto indispensabile per la convivenza pacifica.
Chi, come e quando dovrebbero essere accertati tali requisiti non è dato sapere. Ma non è tutto: all’atto del rinnovo del permesso di soggiorno, il cittadino straniero può incrementare i crediti attribuiti al momento dell’ingresso attraverso il superameno di un corso (?) che attesti il livello di integrazione dello straniero nella comunità, il raggiungimento di un reddito minimo e infine la mancanza per un periodo di due anni di violazioni di una norma di comportamento per cui derivi una decurtazione dei crediti. Perché, dimenticavo, i crediti possono essere decurtati in caso di condanna per violazione di una delle norme del codice penale non soggetta all’ordine di espulsione del giudice o anche  in caso di commissione di illeciti amministrativi e tributari (non meglio specificati). Per dire, in Parlamento sono molto meno selettivi. La ratio di tutto questo? Che se ne fa lo straniero  dei punti accumulati in più con il suo comportamento virtuoso? Assolutamente niente, sono inutili!
Questo non è materiale per giuristi. Qui ci vorrebbe Franz Kafka.

1 commento

  • 1 A.P.
    25 Novembre 2008 - 08:10

    Cara Manuela, anche il buon Franz era un giurista, aveva studiato legge, come ben dimostrano i suoi scritti. Tuttavia, nonostante la sua grande capacità di descrivere le mostruosità delle istituzioni, non avrebbe mai pensato a queste!

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