Il sistema Sulcis come “ordinamento” malavitoso

20 Dicembre 2014
3 Commenti


Andrea Pubusa

Leggo la Nuova. “Il saccheggio del Sulcis per un pugno di voti” titola. E svela: rubavano tutto. In un mese 160mila litri di carburante distribuito fra gli amici, pezzi storici delle miniere elargiti in cambio di favori: l’inchiesta condotta dai carabinieri col coordinamento della Procura alza il sipario su una fitta rete di rapporti e di scambi. Perfino le piastrelle sono state staccate dai muri delle vecchie residenze minerarie per ornare le residenze proprie, i carrellini di ferro che gli operai usavano per trasportare i minerali. Come fosse roba loro, da anni, un valore di migliaia e migliaia di euro che serviva a oliare gli elettori, ricompensando voti e connivenze politiche: una tanica di gasolio era il corrispettivo di cinque voti, per cento consensi l’omaggio doveva essere un carrello da sistemare in giardino o un’autopala antica.Arrestati l’ex presidente dell’Igea Bista Zurru. la sua segretaria e l’autista della società. tal Tuveri ex sindacalista UIL, con le amanti ed altre 66 persone.
Il sistema Igea, soggiunge il giornale regionale, costato 600 milioni di euro pubblici dal 2009 al 2013, ha l’aria di una mafia capitale in sedicesimo, trasferita nel Sulcis: appalti truccati perché andassero a imprenditori graditi. Un giro incredibile di favori gestito da una banda dove compare puntualmente il sessantaduenne Marco Tuveri, di Carbonia, ex operaio Igea poi sindacalista Uil ora sospeso e infine autista plenipotenziario del presidente Giovanni Battista “Bista” Zurru, per gli amici «il maestro», 76 anni, una vita passata sulla breccia della politica locale, che di lui si fidava e lo lasciava fare. Sullo sfondo l’icona intramontabile di Giorgio Oppi, vicinissimo a Zurru, che si muove nel Sulcis, suo antico feudo politico, intrattenendo rapporti e impartendo ordini sul filo del rasoio penale.
Le intercettazioni contribuiscono ad alzare il sipario su questo mondo nascosto. Dunque, c’è da oliare qualche convogliatore di preferenze, per il voto delle comunali 2013 ad Assemini. Il candidato Francesco Pissard sollecita, è urgente: serve un carrello da miniera e un’autopala, di quelli che l’Igea conserva come beni storici. Piacciono, questi cimeli: si possono sistemare in giardino, il fascino dell’archeologia industriale in chiave domestica. Marco Tuveri lo sa, il suggerimento gli è arrivato anche dall’autorevole leader Udc Giorgio Oppi ed il 9 maggio 2013 Pissard lo chiama per chiedergli se «per quella cosa lì, chiesta con Enrico (Oppi, nipote del consigliere regionale, ndr) è tutto a posto. Tuveri risponde che si sta organizzando e che poi si metteranno d’accordo, che comunque «in settimana gliela faranno avere». Aggiunge inoltre che farà risultare l’operazione come donazione Igea.
Il 13 maggio successivo Tuveri parla della questione con Agostino Tolu, servono un carrello e un’autopala. Tolu - riferisce il giudice Giuseppe Pintori nell’ordinanza, citando le intercettazioni telefoniche eseguite dai carabinieri - si mette a disposizione e dice di poter recuperare un vagone in precedenza nascosto da Attilio Usai nella miniera di Acquaresi: (Tuveri) «Ascolta Ago, ascolta Agostino, serve un vagone urgente». (Agostino) «E per dove?». (T.) «urgente, da portare ad Assemini, lo sa anche il presidente». (A.) «E da dove cazzo lo tolgo?». (T.) «Dove lo, dove lo troviamo un vago… un vago…». (A.) «eh, io lo trovo, quello che stavo preparando per il casino, per Flumini, tanto il sindaco non risponde mai».
Fin qui l’articolo di Mario Lissia sulla Nuova e sembra la sceneggiatura di un film sulla banda del buco. In altre intercettazioni si parla del gasolio come dono d’amore per il Suv dell’amante di Tuveri. Non rose rosse come segno d’amore, ma taniche di carburante! Ahi! Quanti politici sardi inciampano su una pompa di benzina!
L’impressione è che il sistema Sulcis riveli tre cose. Anzitutto una provvista continua, un fiume di soldi pubblici, invocati e ottenuti per mantenere ed alimentare dei carrozzoni nel nome delle antiche miniere e in virtù del fascino dei minatori un tempo veri, ora pseudo. La seconda, la formazione di partiti-cosca, ognuno col suo capo, sul modello mafioso. La terza, la formazione di un sistema deviato, che ha come protagonisti i capi delle cosche, che mettono le mani sulle istituzioni e gestiscono le risorse pubbliche, i poteri e le finanze. Un vero e proprio “ordinamento” con proprie regole in frode alle leggi solo formalmente rispettate. Se Procura e Carabinieri avessero pazienza e spulciassero i concorsi in tutte le istituzioni sulcitane troverebbero che l’esito di essi spesso è frutto di accordi o anche di scontri fra le cosche e i loro capi e capetti.
Le cause? Tante innazitutto la fine dei grandi partiti di massa, la DC e il PCI e la loro sostituzione con gruppi al servizio di notabili locali e regionali. I primi sintomi sono risalenti: i guai giudiziaria di Paolo Fogu e di Ugo Piano, rispettivamente sindaci socialista e comunista di Iglesias e Carbonia. Da quelle vicende s’intuisce il formarsi di un comune sentire, l’appropriazione privata delle istituzioni pubbliche, e di un comune agire, l’uso delle risorse come “cosa nostra”. Il risultato? La formazione di una sorta di partito unico con tante articolazioni, sul modello delle consorterie ottocentesche, che in una dialettica di tipo mafioso mettono le mani su tutto. Essendo una mafia in sedicesimo, non spara. Del resto lavora sul carburante non sulla cocaina. Infine, l’aspetto più doloroso, un’assuefazione della popolazione, largamante coinvolta, per convinzione o per necessità, nel sistema.
E i sindacati? Nel migliore dei casi si configurano come “cinghia di trasmissione”, con collegamenti con questo o con quel partito-cosca, anziché combatterli. Sono obiettivamente funzionali al sistema, sempre impegnati a chiedere nuovi finanziamenti per alimentare il pozzo di S. Patrizio.
La riprova? Negli anni ‘50 e ‘60 alla crisi mineraria partiti e sindacati rispondono mettendo in campo un progetto e una grande mobilitazione popolare. P. Vesme come altrernativa alle miniere nasce così. Da almeno trent’anni non c’è più progettualità, ma solo la ricerca di finanziamenti. Scorrono i milioni a fiumi ma non sono finalizzati ad alcun progetto di sviluppo, soltanto ad alimentare il sistema che arricchisce pochi ed elargisce un po’ di posti per lavori fittizi e appalti inutili. Così si crea consenso ed una massa di pressione per ottenere nuovi finanziamenti. Sarà un caso che il Sulcis sia la zona più povera d’Italia? C’è connessione fra questa mancanza di democrazia e la disperazione imperante? Un sistema che neanche la crisi ha scalfito. Ora ci prova la magistratura. Ma l’alternativa non può essere giudiziaria, dovrebbe essere politica. Ma qui c’è il vuoto. Anzi no, ci sono le cosche coi loro capi-bastone.  Chi le spazzerà via?

3 commenti

  • 1 Francesco Cocco
    20 Dicembre 2014 - 20:33

    Caro direttore, la domanda che ti poni è retorica. Sai bene che esiste un nesso strettissimo tra mancanza di progettualità ed un sistema fondato sul peggiore clientelismo parassitario. Questo a prescindere dalla colpevolezza o meno degli imputati nell’affare Igea. Il patrimonio materiale e culturale lasciato nel Sulcis e nell’ Iglesiente dalle generazione del minatori e dei tecnici che per oltre un secolo vi hanno operato è tale da garantire un sistema di risorse dal quale ripartire per lo sviluppo. E’ un assalto al nostro patrimonio culturale ed alla nostra stessa identità. E’ patrimonio pubblico riservato alle generazioni presenti e future del popolo sardo non alle bande di sciacalli intente ad arraffare e non certo a progettare.

  • 2 Su Presidenti
    21 Dicembre 2014 - 02:23

    La zona più povera d’Italia ma anche quella in cui sono arrivati più soldi di tutte le altre zone altrettanto povere.
    Ricordo i bei tempi in cui, in occasione di un convegno sulle aree minerarie dismesse tenutosi in un paese del Gerrei (altra zona, come si sa, notoriamente “ricca”), il buon Luigi Cogodi si rivolse all’allora Presidente dell’EMS e gli spiegò che EMS stava a significare Ente Minerario Sardo e non Ente Minerario Sulcis. Era un assalto alla diligenza (poco poco ma molto poco anche a voi e agli altri, se non gridate troppo però).
    Con tutti i soldi che sono transitati da quelle parti, il Sulcis dovrebbe essere un giardino.
    Il problema è che risulta molto difficile che tutta quella marea di denari possa continuare ad arrivare ancora allo stesso modo da qualunque parte e quindi anche nel Sulcis.
    L’impressione è che anche li siano finiti i bei tempi e che, nonostante tutte le sacrosante verità legate alla necessità dei posti di lavoro, non siano purtroppo esenti da colpe neanche gli abitanti di quei territori, che in altri tempi erano noti a tutti per la loro grande dignità.
    Per troppo tempo però il posto di lavoro è stato visto come diretta conseguenza della benevolenza di alcuni e troppe persone lo hanno cercato solo ed esclusivamente in quel modo.
    E aggiungerei anche, qualche volta, con eccessiva “foga”: il posto di lavoro è un diritto ma deve trattarsi sempre di attività che producono reddito.
    Altrimenti, se non si fa in modo di pensare anche ad altro e a serie alternative, si tratta di assistenzialismo.
    E questo è avvenuto e avviene per troppe attività in perdita perenne ma intoccabili, spesso al solo scopo di mantenere sicure e redditizie rendite di posizione dei capibastone locali che ci hanno marciato da una vita e continuano a marciarci ancora.
    Ora però molti nodi potrebbero venire al pettine e molte “certezze” potrebbero definitivamente vacillare a scapito (purtroppo) dell’anello più debole: dei lavoratori.
    Il Sulcis non meritava e non merita tutto questo ma troppi sapevano come girava il mondo e l’umanità e purtroppo hanno preferito far parte della consorteria piuttosto che prendere posizione.
    Rimane comunque una considerazione e anche, se vogliamo, una sorta di speranza o un raggio di sole: sia ad Iglesias che ad Assemini questa volta i carrelli e le pale non sono bastati per vincere le elezioni.
    Come dire insomma che, almeno per una volta, prima della Magistratura ci hanno pensato i cittadini. Che sia un bel segnale?

  • 3 supresidenti
    24 Dicembre 2014 - 21:01

    Qui un altro su presidenti che concorda con il presidente di qui sopra. Ora prepariamoci alle canne, che ahimè non si fumeranno, ma produrranno bioetanolo per Portovesme. L’agricoltura morirà definitivamente ma se uno di loro oggi sul giornale dice che gli ha affittato un terreno incolto beh forse è meglio che muoia davvero. Qui sopra si ricordava la dignità delle lotte dei sulcitani in passato. Ora il sulcitano che va per la maggiore è quello che vuole il piatto pieno senza fatica. Gli altri sono già emigrati pur di non vendere la propria dignità a questo sistema mafioso. Fadei bona paschixedda.

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