Chi governa il mondo?

17 Febbraio 2015
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Gianfranco Sabattini

“Chi governa il mondo?”, è la domanda con cui Sabino Cassese titola la traduzione italiana del volume “The Global Polity. Global Dimensions of Democracy and the Rule of Law”. Il volume, viene detto nella Prefazione curata da Lorenzo Casini, è stato scritto per “soddisfare un’esigenza divenuta via via più forte con la nascita della globalizzazione”; esigenza che è stata sempre più avvertita, al punto che, a partire dalla fine della guerra fredda, al tema sono stati dedicati numerosi studi, “il cui punto di svolta è stato, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del XX secolo, la presa d’atto che il mondo non è retto da un ‘governo’ propriamente inteso […], bensì da qualcos’altro, una governance, definibile come una combinazione di istituzioni, politiche e iniziative congiunte”.
Nel libro, Cassese esplora una situazione giuridica complessa, cercando di ricostruire i meccanismi attraverso i quali la governance del mondo viene esercitata, sia pure in modo non unitario, né uniforme, né organico, né strutturato. Il libro si distingue, secondo il prefatore, per due ragioni fondamentali: la prima è espressa dal fatto che il problema è trattato nella sua interezza, mentre la seconda è che il problema è trattato dal punto di vista delle diverse discipline sociali (diritto, sociologia, economia).
Nel tracciare i lineamenti del regime politico globale, Cassese non manca di evidenziare il fatto che nel tempo gli Stati hanno vissuto un complesso processo, contemporaneamente di aggregazione e di disaggregazione, fino ad essere affiancati negli ultimi decenni da un crescente numero di organismi non statali. La disaggregazione, in particolare, si è verificata tra la fine del secondo conflitto mondiale e la fine del primo decennio del secolo in corso: gli Stati, che nel 1945 erano circa 50, nel 2010 erano quasi 200. Al loro fianco sono comparsi nuovi soggetti (imprese multinazionali, organizzazioni internazionali, governative o non, altre soggetti ancora), che hanno ridimensionato la posizione preminente degli Stati. In questo sistema “neo-medievale”, afferma Cassese, il ruolo determinante è stato assunto dai circa 2000 “regimi” (insieme di principi, norme, regole e processi decisionali, stabiliti sulla base di accordi volontari tra gli Stati per il governo delle relazioni internazionali connesse alla cura di una o più materie d’interesse comune: sviluppo economico, difesa, tutela dell’ambiente, ecc.); i regimi, nel loro insieme, hanno concorso alla formazione di una global polity.
Quest’ultima, non esprimendo un ordine giuridico unico, si è connotata come una sorta di “ad-hoc-crazia”, in quanto i numerosi regimi che hanno concorso ad esprimerla non hanno avuto un modello organizzativo comune ed uniforme, dovendo bilanciare, per ogni materia regolamentata, la diversità delle regole adottate dai singoli Stati con quelle poste a fondamento della global polity della governance mondiale. In “verticale”, non è stata prevista alcuna soluzione di continuità, nel senso che non è stata fatta alcuna distinzione tra il piano globale e quello locale; mentre, in “orizzontale”, i diversi regimi, anche se interconnessi, sono risultati sempre autonomi gli uni dagli altri, con conseguente frammentazione delle norme assunte come diritto internazionale. Inoltre, nella global polity, la distinzione tra pubblico e privato è stata formulata in modo molto labile, mentre il rispetto a livello globale delle regole assunte è stato assicurato “tramite meccanismi di ‘induzione’ o altri ‘surrogati’”, a differenza di quanto avveniva all’interno degli ordinamenti nazionali, dove il rispetto era assicurato dal legittimo esercizio del potere.
Ancora, nella global polity, i regimi regolatori hanno di solito imposto il rispetto del diritto e delle regole democratiche; in questo contesto perciò i principi della democrazia politica hanno finito con l’essere stati imposti da istituzioni sopranazionali ai governi nazionali, come è avvenuto ad esempio con la costituzione dell’Unione Europea. Ciò non è stato privo di conseguenze, se si considera che i principi democratici espressi dalla global polity, fondata su istituzioni rappresentative, hanno condotto ad una “democrazia dibattimentale” cosmopolitica, attuata attraverso l’adozione di meccanismi di partecipazione alle decisioni.
Ma quali sono, si chiede Cassese, i caratteri di questo tipo di democrazia? Diversamente dagli Stati democratici moderni, la global polity, non essendo radicata nell’eredità lasciata dall’autoritarismo, ha sinora mancato del tratto caratteristico dello Stato-nazione, cioè di “un esecutivo forte”. Infatti, la global polity è sempre stata priva di un diritto unitario e uniforme e, in sua sostituzione, sono stati adottati “svariati ordini giuridici, frammentati, autonomi, tali da rendere lo spazio giuridico globale un sistema composito”. La democrazia cosmopolitica, perciò, pur essendo riuscita a “tenere a bada”, attraverso la pluralità dei regimi, i “poteri diffusi”, non ha però potuto essere identica alla democrazia edificata attraverso l’avvento dello Stato-nazione. La conseguenza di questo stato di cose è stata che la global polity, pur dotata di un’organizzazione amministrativa sviluppata ed articolata, è risultata priva di un diritto costituzionale; per cui, la domanda che pone Cassese è: è possibile promuovere un costituzionalismo non statale e globale?.
Sebbene, secondo Cassese, un processo di costituzionalizzazione globale sia stato avviato con la creazione delle pre-condizioni necessarie, quali il rafforzamento della società civile internazionale, la creazione di un’opinione pubblica e la proliferazioni di corti giuridiche sovranazionali, è mancata la parallela formazione di un esecutivo centrale; il diritto è stato conseguentemente ridotto a diritto procedurale non costituzionale, per cui è divenuto lecito chiedersi se la global polity “minaccia o rafforza la democrazia”.
La risposta al questa domanda non può prescindere dalla necessità che si tenga conto che il processo di democratizzazione della global polity non è stato in grado di autogenerarsi e di autoalimentarsi; per cui, quando sono insorti dei conflitti, la loro composizione ha portato al dilemma di stabilire quale tra le soluzioni alternative potesse essere la migliore. La soluzione di questo dilemma ha presentato delle difficoltà di scelta estreme: quale che fosse stata la soluzione prescelta, essa era priva di legittimazione, per la scarsa democraticità della global polity, che non poggiava, né su un demos cosmopolitico, né su un Parlamento mondiale espresso attraverso processi elettorali.
Sul punto Cassese è ottimista, in quanto è del parere che la contrapposizione tra la legittimazione della legislazione globale e quella delle autorità nazionali si verifichi solo in casi estremi; ciò perché, fatte salve poche eccezioni, le istituzioni soprannazionali hanno sempre stabilito standard procedurali, non tanto per imporre, quanto per promuovere lo sviluppo della democrazia negli Stati, correlata al diritto ed allo sviluppo economico. Il rispetto della tutela dei diritti individuali ha dato luogo alla natura tendenzialmente democratica della global polity, mentre il sostegno dello sviluppo ha assicurato la conservazione nel tempo dei principi democratici, quando lo sviluppo economico è stato correlato strettamente a regole distributive socialmente condivise.
La continuazione del processo di costituzionalizzazione della democrazia globale, al di là della formazione di un demos cosmopolitico e della formazione di istituzioni rappresentative, dovrà però essere basata sull’accoglimento di un insieme di caratteri propri dello Stato di diritto, quali il pluralismo, l’autogoverno e la separazione dei poteri. Non è possibile stabilire in astratto come l’accoglimento di tali caratteri possa essere realizzato, conclude Cassese, non è possibile stabilirlo in astratto, ma esso dovrà essere deciso sulla base di valutazioni proprie di ogni singolo caso, in considerazione del fatto che la global polity è a tutt’oggi ancora imperfetta e incompleta; essa, tuttavia, pur mancando di organicità, sta “avanzando, incessantemente, con estrema rapidità”.
Tutti vorremmo che le previsioni ottimistiche di Cassese si avverassero; si ha però motivo di dubitare che la democrazia cosmopolitica possa rapidamente fare passi in avanti; ciò per diversi motivi, i principali dei quali sono da rinvenirsi nella natura dell’uomo e nel paradigma della concorrenza e della competitività adottato come “sale” dello sviluppo dell’umanità. Gli uomini continueranno a conservare la loro natura di “legno storto” di kantiana memoria e, per quanto possano concordare regole comuni, conserveranno sempre qualche “residuo” della loro malformazione originaria, che varrà a non farne degli “angeli”. Gli effetti della malformazione, seppure contenuta e plasmata da regole comuni, si riproporranno attraverso lo scontro che, pur sublimato dall’idea di concorrenza, continuerà a manifestarsi tra gli uomini e tra gli Stati, per la supremazia dei più forti nei confronti dei più deboli. Pertanto, l’obiettivo di una democrazia cosmopolitica informata ai principi dello Stato di diritto potrà essere assunto come ideale, il cui raggiungimento, però, dovrà essere collocato fuori dall’orizzonte delle possibilità che si offrono agli uomini attuali. Per questo motivo, la global polity, migliorata e resa sempre più perfetta, sarà chiamata ancora per molto tempo, del quale non è possibile prevedere la durata, a contenere solo le pulsioni di dominio.

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