Magnifica Del Zompo, eccoti due appunti

23 Marzo 2015
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Andrea Pubusa

Dunque la prof. Del Zompo è Magnifica Rettora. Ha vinto facile su concorrenti improvvisati, lei che ha costrutito questa sua vittoria nello scontro nella tornata passata con Giovannino Melis, così come questi mise le basi della sua vittoria nel confronto perdente con Mistretta e questi nel confronto perdente con Casula.
La gestione del Magnifico Giovannino è stata orientata all’organizzazione e all’efficienza. Che può fare del resto un aziendalista se non guardare all’Università come azienda? E’ rimasto fuori dal suo orizzonte, ma mi pare anche dal dibattito dei giorni scorsi, tutto incentrato sui temi pur importanti delle risorse e dell’organizzazione, la domanda di fondo: qual è il ruolo dell’Università, della ricerca scientifica e dell’intellettualità? Quale ruolo in Sardegna?
E’ inutile dire che nella corsa insensata verso l’efficientismo e l’aziendalismo fine a se stesso si è persa di vista la missione dell’Università, che è quella di creare un pensiero critico ed autonomo, da immettere, per il tramite della ricerca e  della didattica, nel corpo sociale. Ora, da questo punto di vista l’Università, come le istituzioni pubbliche in genere, sono state investite da un’onda liberista, che, “gramscianamente” ma da destra, ha puntato a conquistare tutte le casematte che costellano la società e a dettarvi la propria egemonia. Così anche gli Atenei sono stati coinvolti in questa “mercatizzazione”, che si rileva fin nel linguaggio. Ci sono i crediti e i debiti. Gli esami pesano non per il loro valore culturale, ma per i crediti che il loro superamento conferisce allo studente, le pagine del testo sono commisurate ai crediti a prescindere dalla materia, i docenti sono valutati sulla base di parametri astrusi e complessi, per apprendere i quali occorre faticare quasi come per conquistare la cattedra. Le facoltà non si giudicano più per il rigore dei loro studi, ma per la faciloneria con cui si promuove e i finanziamenti ministeriali giungono in proporzione al numero dei laureati. Si premia chi promuove di più, non chi prepara meglio. Un totale ribaltamento rispetto al senso comune, che induceva e induce gli studenti capaci e i genitori seri a preferire facoltà e professori rigorosi anziché imbonitori che danno la pacca sulla spalla allo studente, ma in realtà se ne fregano di lui e del suo futuro. Un ribaltamento anche rispetto alla logica di mercato, dove chi produce di più, ma male, perde i clienti e chiude bottega. E agli studenti si dà un premio alla laurea se, superficialmente, interpretano il corso come una corsa, nel quale vince chi arriva più presto, anche se con la media minima. Insomma, un premio alla medocrità veloce, non al valore frutto di applicazione sulle “sudate carte”.
Si potrebbe continuare, basti ricordare i corsi proliferati dappertutto anche negli stazzi e che studiano perfino il mitico membro del segugio, spostando l’interesse degli studenti verso percorsi inutili e improbabili e creando un danno permanente a loro e soprattutto alla società. Si invoca poi la meritocrazia che quando viene enunciata è pura idiozia, mentre quando viene seriamente praticata in un’attività delicata e faticosa qual è la trasmissione e l’apprendimento del sapere, significa riconoscere l’operosità e la costanza e sanzionare il disimpegno e l’approssimazione.
Come si vede, si tratta di problemi di grande complessità. Resi ancora più difficili dall’andare contro le tendenze oramai invalse e che hanno sedimentato interessi convergenti fra gruppi, docenti e perfino settori del mondo studentesco (molti corsi secondari si tengono in vita grazie alla facilità degli esami). Questo è un compito più arduo, perfino di far quadrare un bilancio che, in Atenei periferici come il nostro, è come far la quadra del cerchio. Si tratta poi di contrastare con fermezza una politica governativa tutta orientata verso la privatizzazione e l’intromissione dell’impresa.
Il ciclo di Mistretta aveva lasciato drammaticamente a Melis un arduo fardello, essendo stata la sua lunga stagione costellata insieme di velleitari proclami efficientistici e di reali approdi amicali e settoriali;  sono state anche allora introdotte o aggiunte nell’amministrazione sacche di irrazionalità, assurde per una sede dove la razionalità dovrebbe assolutamente primeggiare.
Melis ha puntato ragionieristicamente al conto profitti e perdite o a qualche piccolo aggiustamento organizzativo. E la cultura? Il livello di elevamento culturale di un Paese non si misura col metro del ragioniere. C’è consapevolezza di questo? La Sardegna, dopo anni di contiguità fra docenti e potere, dipartimenti e potere, dopo manifestazioni di disgustoso servilismo di vasti settori della docenza al potere politico, oggi, vede l’avvento di molti prof. alla guida della Regione. E offre un non edificante spettacolo di immobilismo, incapacità e, peggio, di piaggeria verso i gruppi forti nazionali. C’è necessità di voltare pagina. L’autonomia non è una parola da enunciare ad ogni piè sospinto. L’autonomia è una conquista culturale ed è frutto di grande rigore intellettuale e morale. E le università, che della cultura sono le sedi più importanti, nella creazione del sentire autonomistico hanno una funzione centrale. Se non sono autonome (oosia sede del pensiero critico) le università, come può esserlo la società? Come possono esserlo le istituzioni rappresentative?
Ed allora, ecco il punto. Occorre che la Magnifica Del Zompo sia capace di questo, o almeno che abbia capito che questo è il suo compito principale. Già questa consapevolezza ci assicurerebbe d’essere a metà dell’opera. Questo serve agli studenti sardi e alla Sardegna, non un semplice Rettore.

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