“Alla ricerca di un socialismo possibile”

20 Maggio 2015
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Francesco Cocco 

Gianluca Scroccu “Alla ricerca di un socialismo possibile”- Carocci Editore
Gianluca Scroccu ci ha dato un altro bel lavoro in cui la rigorosa analisi scientifica  si associa ad un modulo narrativo avvincente. Ancora una volta oggetto della ricerca è un personaggio che ha caratterizzato la storia italiana nella seconda metà del Novecento. E’ la vicenda di Antonio Giolitti che dopo aver vissuto l’esperienza della lotta partigiana,  esser stato autorevole componente della Assemblea costituente, aver ricoperto incarichi governativi come sottosegretario agli esteri (governo Parri), nel 1956 lascia il PCI, nelle cui file aveva iniziato la militanza dal 1940, in pieno regime fascista..
Pochi cenni biografici ma sufficienti a farci comprendere che quando Antonio Giolitti nel 1956 lascia il PCI  assistiamo ad un evento sconvolgente non solo nel suo partito  ma nel più complessivo panorama politico italiano. Non era un atto di bizzarria personale a determinare una simile decisione , o una di quelle improvvise giravolte alle quali nell’ ultimo quarto di secolo ci ha abitato la vita politica italiana.  Era una decisione maturata in un clima che per molti versi assumeva i caratteri del  dramma personale, talmente radicati erano i valori dai quali apparentemente sembrava volersi allontanare.
In realtà  scorrendo la vita politica e culturale di un personaggio di primo piano anche nella vita culturale italiana, è facile rendersi conto che la crisi del ‘ 56 che lo portò a lasciare la militanza nel PCI, nasceva da lontano. Come nota l’ Autore, “Giolitti era molto attento alle politiche culturali del suo partito e non mancava di segnalare insufficienze”.Questo anche per il ruolo che lo vedeva affiancare Cesare Pavese  nella direzione della sede romana della  Casa editrice Einaudi ,  propugnatrice di una linea talvolta conflittuale con la politica culturale del suo partito di appartenenza.
Giolitti aveva compiuto una scelta di vita dominata da un alto senso di responsabilità che gli imponeva di lottare contro “gli stereotipi sul militante comunista che erano stati incamerati duranti il fascismo”. Un’ azione culturale di libertà non sempre compresa e tollerata dagli apparati  di partito.
Quando nel febbraio del ‘56 il segretario generale, N. Kruscev, in occasione del XX congresso del PCUS, critica il culto della personalità di Stalin, Giolitti dà una lettura dell’ evento  evidenziandone i limiti in nome dei valori della libertà. Osserva in proposito G. Scroccu :“...a suo avviso il XX congresso  aveva abbattuto l’ostacolo del potere personalistico staliniano ma non aveva messo in discussione  il rapporto tra comunismo  e democrazia.” Individua così il nodo essenziale delle decisioni successive di Antonio Giolitti e soprattutto pone in rilievo  uno dei punti nodali in quegli anni della storia del movimento operaio in Italia e nell’ Occidente europeo.
Come è noto nell’ottobre del ‘56 ci fu una rivolta operaia in Polonia, risolta  con l’investitura di Gomulka, un dirigente già vittima della persecuzione staliniana. Poi nel mese successivo la rivolta ungherese, repressa con l’ intervento sovietico. All’ ottavo Congresso del PCI , tenutosi nel ‘57, l’intervento di Giolitti fu molto critico:” …noi non abbiamo soltanto accettato senza critica…abbiamo anche partecipato  all’ applicazione di metodi errati…”.  La critica verrà ribadita e approfondita  in un successivo opuscolo dal titolo “Riforme e Rivoluzione”.
La rottura era consumata  e verrà formalizzata con una lettera al comitato federale di Cuneo nel luglio del 1957.  A lasciare il PCI  era un intellettuale e politico di primo piano. Nell’ opinione pubblica  era il nipote di Giovanni  Giolitti , il mitico presidente del Consiglio che aveva dominato la scena politica italiana agli inizi  del Novecento sino all’ avvento del  fascismo.
Antonio Giolitti inizierà successivamente la sua militanza nel PSI. Ricoprirà incarichi istituzionali di prima piano come ministro del bilancio e componente della  Commissione europea. Ma la sua azione non assunse mai i toni dell’ anticomunismo. Negli anni ‘80   riprenderà il suo collegamento col PCI nelle cui liste nelle elezioni dell’ 87 venne  eletto al Senato come indipendente.
La lettura di questo  lavoro  non è solo un’ avvincente biografia politica. E’ soprattutto uno strumento di riflessione su una pagina centrale della storia politica italiana della seconda metà politica del Novecento. Utile per riflettere sulle occasioni mancate  e sui fili da riannodare  se non si vogliono aprioristicamente respingere le potenzialità che la storia passata del movimento operaio italiano ha saputo tramandare alle giovani generazioni.
                                   
 

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