Ipocrisie e portata reale della scelta referendaria di Tsipras

30 Giugno 2015
1 Commento


Tonino Dessì

Non mi piacciono proprio le valutazioni della maggior parte dei commentatori politici italiani (differentemente da molti commentatori esteri, soprattutto economisti) sul referendum indetto dal Governo greco. L’orientamento più ipocrita mi pare tra l’altro proprio quello palesato da diversi commentatori d’area del centro-sinistra, compresi alcuni non organici al PD renziano, come per esempio, su “La Nuova”, il professor Pasquino.
Credo di intuire in alcune posizioni una certa coda di paglia: qualche omesso rigore nella riflessione su come cadde l’ultimo Governo Berlusconi, col Quirinale che aprì la strada alla pessima esperienza del Governo Monti, pesa forse sulla coscienza di non pochi politologi.
La sintesi sembrerebbe essere che Syriza, dopo aver condotto e vinto una campagna elettorale populista, se non demagogica e dopo aver gestito una trattativa in modo fallimentare, ora scaricherebbe ogni responsabilità sull’elettorato, eccitandone avventuristicamente il risentimento antieuropeo.
Eppure un minimo di buon senso dovrebbe portare a considerazioni più concrete e realistiche.
Il nuovo Governo greco ha ereditato una situazione creata da precedenti governi, non solo da quelli dissipatori, ma anche da quelli commissariati dalla Troika. Ha cercato di negoziare una via d’uscita (una ristrutturazione del debito) a condizioni non ulteriormente depressive per l’economia del Paese e non più gravemente deprimenti per la sua situazione sociale. Non vedo proprio cos’altro avrebbe dovuto fare un nuovo Governo all’indomani delle elezioni.
Si è tuttavia scontrato con un atteggiamento finanziario inflessibile del FMI e con un’inaudita rigidità politica della Commissione UE, oltre che con i limiti strutturali di autonomia della BCE (al netto della buona volontà dimostrata in termini di fornitura di liquidità d’emergenza, ma non, per esempio, di garanzia per i titoli di Stato). La Grecia si trova di fronte a un “prendere o lasciare”, laddove il lasciare significherebbe, secondo certi toni ultimativi, l’uscita dalla UE.
Si tratta di una decisione d’emergenza, che a mio avviso giustifica il ricorso al referendum. Mi rendo conto della delicatezza degli aspetti istituzionali e politici. La Costituzione Italiana, per esempio, un referendum del genere (in materie che intersecano politica internazionale, economica e tributaria), non lo consentirebbe. E tutti i democratici non possono comunque non guardare con estrema cautela ai referendum indetti dai Governi, perchè sui rischi dei regimi plebiscitari la Storia ci ha ammaestrati abbastanza.
Tsypras in effetti aveva un’altra possibilità, quella di dimettersi, con due varianti: provocare nuove elezioni, con effetti politici, economici e sociali difficilmente prevedibili in una situazione nazionale prossima al collasso, oppure subire una soluzione “all’italiana”, con l’esautoramento proprio e del suo partito dalla guida del Governo e con la costituzione di una nuova formula di governo, più o meno organicamente “filo-Troika”, ma non conforme al recente esito elettorale.
Sicuramente una scelta del genere, in entrambe le varianti, avrebbe fatto emergere da subito un problema che, piaccia o meno, si porrà all’indomani del risultato del referendum, soprattutto se Tsypras uscisse sconfitto. Il problema è quello dell’esercizio, da parte dei Governi prevalenti nella UE - dei quali le istituzioni collegate restano stretta espressione - del potere di interferire sulla politica interna di altri Paesi UE, di destabilizzarla e di provocare la rimozione dei rispettivi Governi, perchè non in linea con loro, nonostante essi abbiano avuto la fiducia dei rispettivi elettori o dei propri Parlamenti. Un potere esercitato mediante la leva economico-finanziaria, ma non previsto, quanto a finalità e ad esiti, da nessun trattato.
Mi auguro di leggere su questo problema, nei giorni che ci separano dal referendum greco, un barlume di riflessione disancorata da logiche politiche contingenti, tutte italiane. Una riflessione consapevole che la sconfitta, coattiva ancorchè referendaria, del Governo Tsypras, avrebbe un potenziale assai più nefasto sulla “legittimità” (non solo formale, ma sostanziale e di “opinione pubblica”) dell’operato degli interlocutori europei, di quanto non avrebbe una vittoria, dalla quale in fondo non sortirebbe altro se non un rafforzamento della Grecia nell’inevitabile ripresa di una trattativa.

1 commento

  • 1 Francesco Cocco
    2 Luglio 2015 - 12:25

    Problematico e con molto buon senso. Virtù, quella del buon senso, sempre più rara.

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