La démocratie en Amérique e dintorni

15 Dicembre 2008
1 Commento


Andrea Pubusa

Accadono cose strane laggiù, nell’Illinois. Chicago è sempre Chicago, direte. Un tempo la città dei gangster, oggi della corruzione dei partiti. Il Partito democratico nella “città del vento” esprime Obama, ma anche Rod Blagojevich. Non è curioso? E mentre il primo riaccende le nostre speranze, il secondo viene arrestato su ordine della Procura federale. Rod Blagojevich non è un politico qualunque, è il governatore dello Stato, un democratico e un alleato del presidente eletto; e non è stato incriminato per reati qualunque. Blagojevich (che è tornato in libertà dopo il versamento di una cauzione da 4.500 dollari), è accusato nientemeno di avere messo in vendita il seggio al Senato a Washington lasciato libero da Obama – per legge in questi casi è il governatore che sceglie il successore – di avere stipulato contratti di favore in cambio di fondi neri elettorali e di avere bloccato sussidi al Chicago Tribune, il quotidiano cittadino in difficoltà, per costringerlo prima a licenziare membri del Consiglio d’amministrazione a lui ostili.
Il Procuratore federale Patrick Fitzgerald si è affrettato a precisare che l’inchiesta non riguarda Obama. Meno male. Ma ciò che colpisce è un’altra circostanza: la precisazione che anche in carcere Blagojevich avrebbe potuto scegliere il successore del presidente eletto al Senato.
Ora, in queste news da Chicago stordisce un aspetto istituzionale: laggiù nell’Illinois, per legge, il governatore sceglie il successore al Senato del Presidente eletto e l’avrebbe potuto fare anche dal carcere, se non fosse stato prontamente liberato su cauzione, in cambio di 4.500 dollari. Soldi, soldi, soldi. Si può comprare  una carica, si può comprare la libertà. Direte, quanto a crimini, a Chicago tutto è possibile. Non per niente è stata la città di Al Capone. Certo, certo. Ma un quesito sale spontaneo: dove và la democrazia in America? E siccome noi, in Italia, la seguiamo con un ritardo di qualche decennio, dove andiamo noi? Dove và la nostra democrazia?
Se in Illinois la carica senatoriale può essere compravenduta, vuol dire che gli elettori sono fuorigioco. La rappresentanza è soppressa. Un po’ come da noi, dove l’elezione non è dovuta agli elettori, ma all’inserimento in una certa posizione nella lista. Obietterete, ma in Italia l’inserimento non avviene per soldi. E, per grazia del Signore, questo, almeno finora, è vero. Ma già adesso in cambio di una fedeltà al capo, sì. Obietterete ancora: anche i partiti di massa chiedevano, nella Prima Repubblica, disciplina e fedeltà. Si dice che il PCI negli anni ’50, all’atto della candidatura, facesse firmare delle dimissioni in bianco per l’ipotesi di defezione, dal partito o dal gruppo parlamentare. Sarà vero. Certo non era accettabile. Ma si trattava di una fedeltà ad un collettivo, al Partito, che teneva congressi e aveva migliaia o milioni di iscritti, che conduceva una battaglia quotidiana fra la gente, fra le masse. Al di là delle critiche, alcune giustificate, non erano mai decisioni personali, venivano investiti gli organismi dirigenti nazionali e locali e c’era una mobilitazione delle sezioni. Migliaia di persone. Allora era disciplina. Oggi no. Oggi è ubbidienza ad un capo, ai suoi interessi, ai suoi piani. Punto. Lì in Illinois si tratta di una compravendita di carica, roba da Anciénne Régime.
Molti, fra noi, pensano che il berlusconismo sia il punto di caduta più basso anche sul piano istituzionale. No, amici miei, non lo è. Il fondo non è stato ancora toccato. Amici, preparatevi ad una più profonda immersione. Le notizie da Chicago ci dicono drammaticamente che questo è possibile. Del resto, anche a Cagliari, che è mille chilometri lontana da Chicago, non c’è un listino regionale? Una vera e propria nomina alla carica. Al listino, fin dalle prossime elezioni, nel centrosinistra, si accederà unicamente per scelta del candidato Presidente e si sa già che non verranno confermate le consigliere così elette che non hanno assecondato millimetricamente il governatore. La colpa? Qualcuna ha nientemeno preteso – come dice la Costituzione – di rappresentare la nazione, la comunità regionale, di pensare qualcosina in proprio. Il sistema elettorale induce più che ad una rapresentanza della comunità ad una funzione di servizio verso il leader. E lo scioglimento dell’Assemblea elettiva, a seguito delle dimissioni del Presidente o, come in Abruzzo, al suo arresto, non è anch’esso un segno di questo degrado? Peggio che in America, dove in questi casi subentra il vicepresidente ed il Parlamento è salvo. Il che consente non solo un ruolo forte della rappresentanza, ma anche dei singoli parlamentari, alcuni dei quali sono molto autorevoli e influenti. Insomma, c’è da noi un veloce scivolare dell’ordinamento verso parvenze di democrazia, sostanzialmente verso la sua eversione fin nel nucleo centrale della democrazia formale: la rappresentanza. Della democrazia sostanziale, secondo la tradizione socialista o cattolico-popolare, fondata sulla partecipazione dei lavoratori, come pure recita il capoverso dell’art. 3 della Costituzione, neanche a parlarne. Prevale una tendenza verso il capo ed una voglia di esso, anche a sinistra. Ed il capo assume, a destra e a sinistra, sempre più la faccia dell’imprenditore, di quello più ricco e più forte. Non siamo neppure più al “comitato d’affari della borghesia” di marxiana memoria, no, siamo al governo diretto, personale, di questo o quell’imprenditore! La rappresentanza sempre più frutto della ricchezza. Dunque non è rappresentanza generale. Eppure la questione democratica è considerata secondaria. Anzi viene vista con fastidio, anche a sinistra.
Questo blog e chi scrive vengono spesso accusati di eccessi polemici, di critiche astiose. Verso il presidenzialismo, verso l’interpretazione che di esso dà l’attuale inquilino di viale Trento, al pari dei tanti altri governatori. Ma, amici miei, non vi pare che, per normali democratici quali ci consideriamo e vogliamo essere, le notizie di Chicago, di Roma e, in piccolo, anche di Cagliari debbano destare allarme? Non provate qualche angoscia sullo stato e soprattutto sulle tendenza della nostra democrazia? Non vi pare che ci sia già molto su cui interrogarci? Non vi pare che la nostra democrazia mostri più di un segno di patologia? Non credete che dobbiamo prontamente attivare gli anticorpi? O cosa dobbiamo ancora aspettare?

1 commento

  • 1 Enea
    16 Dicembre 2008 - 20:20

    Hai ragione Andrea. Sono in gioco i principi fondamentali su cui si basa una solida democrazia: la partecipazione. Le elezioni in Abruzzo sono il segno tangibile di una crisi pericolosissima di partecipazione al voto. La Sardegna ha bisogno di un governo di emergenza, di un governo di larghe intese che rimetta insieme i cocci di una democrazia usata e abusata. Non è tempo di destra e sinistra; è tempo di riorganizzare la partecipazione e la legittimazione delle istituzioni in nome dei principi di convivenza democratica per conto dei sardi e della Sardegna.

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